Sentenza

L’archivio grafico Huber rimane alla vedova

Secondo il Tribunale federale la moglie dell’importante artista deceduto nel 1992 non deve consegnare le opere attualmente in suo possesso alla Fondazione Huber Kono Confermato il non luogo a procedere delle istanze ticinesi per l’accusa di appropriazione indebita
Un’immagine del 2005 all’inaugurazione del m.a.x. museo a Chiasso, ora passato nelle mani del Comune di Chiasso. ©Ti-Press/Agosta
Luca Bernasconi
23.10.2021 06:00

L’archivio grafico del noto artista Max Huber, deceduto nel 1992, rimane interamente in possesso della vedova. La Fondazione Max Huber Kono non può accampare diritti sulle opere. È questo in estrema sintesi il contenuto della recente sentenza del Tribunale federale in merito a una diatriba fra le due parti sul destino del rilevante archivio grafico.

L’atto costitutivo

Per capire meglio occorre fare qualche passo indietro. Dieci anni dopo la morte dell’artista, la vedova ha istituito una Fondazione di cui ha assunto la presidenza. Nell’atto costitutivo della Fondazione – ricordano i giudici di Losanna nella sentenza – c’è «l’organizzazione di una mostra permanente delle opere grafiche di Huber, il cui archivio grafico è patrimonio della Fondazione». Ma più in là si precisa che in base all’atto costitutivo stesso la vedova «devolve parte dell’archivio grafico del marito». E queste due frasi sono al centro della vertenza.

Ricordiamo che nel frattempo su iniziativa della Fondazione il 12 novembre 2005 fu inaugurato il m.a.x. museo a Chiasso. Dal 2010 è divenuto un’istituzione pubblica del Comune di Chiasso ed è membro dell’ICOM (International Council of Museums).

Reclami e ricorsi bocciati

Dopo una serie di traversie relative ad un’eventuale donazione dell’archivio – operazione mai andata in porto – e mancate esposizioni, si arriva al novembre 2018 quando la vedova Huber si dimette dalle sue cariche di presidente e membro della Fondazione.

Nell’agosto dell’anno dopo la Fondazione sollecita così più volte la donna «a consegnarle tutte le cose mobili riconducibili all’archivio grafico». Per arrivare poi a un momento cruciale, un esposto penale nei confronti della vedova per il titolo di appropriazione indebita, «motivato dal suo rifiuto categorico» di consegnare il materiale «di proprietà della Fondazione, come risulterebbe dall’estratto del Registro di commercio».

Circa un anno dopo, nel giugno 2020, il procuratore pubblico che aveva assunto l’incarto «ha decretato il non luogo a procedere, non essendo realizzati elementi costitutivi di reato. In breve, le opere dell’artista non potrebbero essere considerate “altrui”, ovvero di proprietà della Fondazione, e neppure “affidate” alla denunciata che ne è rimasta sempre in possesso. Difetterebbe inoltre l’elemento soggettivo del reato prospettato, atteso che la denunciata continua a ritenersi la proprietaria delle opere dell’artista». La stessa sorte ha avuto il reclamo interposto dalla Fondazione alla Corte dei reclami penali (CRP) del Tribunale d’appello. E per finire, come detto, anche la massima istanza svizzera di ricorso ha ribadito la validità del non luogo a procedere pronunciato a suo tempo dal procuratore pubblico del Ministero ticinese.

Solo una parte

Il Tribunale federale ritiene corrette le valutazioni della CRP che «ha rilevato l’assenza di elementi atti a provare che l’intero archivio grafico di Huber sia di proprietà della Fondazione, il riferimento al riguardo contenuto tra gli scopi di quest’ultima non essendo sufficiente per affermare che la proprietà del citato archivio sia passata alla ricorrente al momento della sua costituzione». E di più, reputa determinante il punto dell’atto costitutivo della Fondazione secondo il quale «la fondatrice manifesta la (chiara) volontà di devolvere all’insorgente solo parte dell’archivio grafico del defunto marito. Sennonché, nessuna precisazione è fornita al riguardo: né il momento della devoluzione, né le sue modalità e neanche di quali opere trattasi».

I giudici di Losanna concludono affermando che «in realtà, la vertenza non ha vocazione penale, ma presenta una natura prettamente giusprivatistica, in quanto sostanzialmente limitata a determinare la persona proprietaria dell’archivio grafico, e non spetta alle autorità penali risolverla».