Le accuse a Plein: «Giù il salario o sei licenziato», lui nega

«Non si può mai stare tranquilli: dici una parola sbagliata e il licenziamento è servito». Inizia così il racconto adirato e a tratti commosso di un ex dipendente di Philipp Plein che descrive la situazione vissuta nella casa madre luganese dello stilista tedesco. Insieme a lui, altri due ex dipendenti hanno deciso di raccontarci la loro esperienza. Tutti ci hanno chiesto, comprensibilmente, di mantenere l’anonimato. Dalle loro rivelazioni emerge un quadro in cui regna la paura di essere licenziati dall’oggi al domani e in cui «i dipendenti subiscono insulti gratuiti in riunione, davanti a tutti», come spiega il nostro primo interlocutore. «Sembra che a Plein piaccia far sentire male le persone che lavorano per lui: dal top manager alla centralinista, passando per il fornitore. Ha bisogno della sua corte dei miracoli per sentirsi il re, – aggiunge - è così che lui si definisce. “I am the best, I am the king”, gli piace ripetere». Dalle testimonianze raccolte emerge una situazione che non si discosta da quella già raccontata in articoli pubblicati in passato. In gioco però ora ci sono nuovi fattori. Da un lato, il coronavirus e la crisi economica che porta con sé e rende sempre più difficile l’accesso ad un posto di lavoro, dall’altro, gli aiuti statali messi in campo per contrastare i licenziamenti. Licenziamenti che non si sono però fermati in casa Plein, dove i dipendenti sono passati da 110 a 79 durante il lockdown. Nelle scorse settimane proprio questi tagli hanno portato il sindacato OCST a segnalare il caso all’Ispettorato del lavoro e i granconsiglieri dell’MPS a interpellare il Consiglio di Stato.


Un clima di incertezza e paura, quello che si respira negli uffici di Lugano, che negli scorsi mesi si è ulteriormente deteriorato. Ci è arrivata infatti conferma che, prima di Pasqua, ai dipendenti rimasti sia stato decurtato lo stipendio senza una diminuzione del lavoro, delle mansioni o delle responsabilità: «Venerdì Santo è arrivato via mail un accordo di riduzione dello stipendio fino al 15%. Chi ha rifiutato è stato licenziato» ci dice poi il nostro interlocutore. «Nella lettera c’era scritto anche che, visto che siamo stati chiusi 2 mesi, - pur continuando a lavorare da casa - l’azienda invitava caldamente a non prendere ferie ad agosto». Un secondo ex dipendente conferma l’accaduto e parla di riduzioni più importanti: «Tutti i pochi dipendenti rimasti si sono visti recapitare il contratto di adeguamento salariale con il 30%-50% in meno per motivi legati al coronavirus. Ci sono stati casi in cui dipendenti con funzioni importanti non hanno sottoscritto il nuovo contratto con l’adeguamento e, il giorno successivo, si sono visti recapitare la lettera di licenziamento con effetto immediato. Inoltre, - continua - sono stati previsti anche orari ridotti al 50% a dipendenti che in realtà lavorano al cento per cento». Philipp Plein, da noi interpellato, nega i licenziamenti. «È assolutamente falso - spiega - che dipendenti del Gruppo siano stati licenziati per essersi rifiutati di accettare riduzioni dello stipendio»: inizia così la sua lunga presa di posizione, che pubblichiamo integralmente più sotto.


Come aveva rilevato Paolo Coppi dell’OCST , uno dei problemi in azienda è la mancanza di un regolamento del personale. «L’azienda - ci spiega alla luce delle testimonianze che riportiamo oggi - non è affiliata a TicinoModa e non ci sono contatti con le parti sociali». Stando al sindacalista è importante non fare di tutta l’erba un fascio. «In genere, nell’ambito della moda ticinese - un settore che occupa migliaia di persone - le regole sono seguite, vi è trasparenza e dialogo anche nelle situazioni più complicate: ci sono contratti collettivi, sia nella produzione che nella parte impiegatizia, le cui condizioni minime, seppure migliorabili, sono ben al di sopra di quelle base del Codice delle obbligazioni e, quindi, ben al di sopra di quelle da Plein». Come conferma l’ex dipendente, «non esiste un ufficio del personale: è il signor Plein in persona che assume, ricolloca e decide di licenziare. Negli ultimi 6 mesi abbiamo aspettato il venerdì con l’ansia: è quello il giorno in cui arrivano le lettere di licenziamento». Un terzo ex dipendente, dal canto suo, racconta di non aver mai subito intimidazioni ma che «la consapevolezza di poter essere licenziato da un momento all’altro era forse peggio. In azienda il clima non è disteso e si vive nel terrore psicologico che un giorno anche tu possa essere lasciato a casa senza motivo e che forse quel giorno sarà anche una liberazione da tutto lo stress accumulato». Sulla crisi attuale legata la coronavirus, spiega che «l’azienda ha approfittato della situazione per continuare a ristrutturare usando la scusa della pandemia. Non è cambiato nulla da prima».


E se la paura di restare senza lavoro è il motivo che spinge a rimanere in azienda nonostante la situazione, per alcuni perderlo ha significato ritrovare il sonno. «Dopo un primo momento di incredulità verso il mio licenziamento, da quando non lavoro più per Plein riesco finalmente a dormire 8 ore di fila» conclude il nostro interlocutore.
Come si modifica un contratto di lavoro?
Ma come funziona la modifica di un contratto individuale di lavoro? Risponde Giangiorgio Gargantini di UNIA: «Stando al Codice delle obbligazioni, la modifica di un contratto individuale di lavoro è valida solo con l’accordo delle parti. Se il dipendente valuta di non poter proseguire il rapporto di lavoro, ad esempio con lo stipendio previsto dal nuovo contratto, il datore di lavoro (colui che vuole modificarlo) può dare disdetta al dipendente. Di fatto, si tratta di un licenziamento». Per chi volesse approfondire la questione rimandiamo al vademecum della Camera di commercio del Canton Ticino.
La replica dello stilista: "Non abbiamo lasciato a casa chi ha detto no"
«È assolutamente falso che dipendenti del Gruppo Plein siano stati licenziati per essersi rifiutati di accettare riduzioni dello stipendio». Da noi interpellato, Philipp Plein nega di aver lasciato a casa i lavoratori che non hanno accettato la diminuzione di stipendio proposta dall’azienda. Secondo lui, si tratta di «una delazione interessata e falsa di alcuni dipendenti scontenti ed alla ricerca di scorciatoie che ci addolora ma non ci spaventa: non è la prima volta che accade e non sarà l’ultima. Il Gruppo - continua - ha sempre rispettato la legge ed agito in modo etico e responsabile nelle proprie relazioni industriali. Siamo già stati oggetto di varie verifiche da parte degli organi di ispezione del lavoro - continua - che hanno anche intervistato molti dipendenti senza riscontrare irregolarità. A tali organi, il Gruppo ha sempre prestato la massima collaborazione e dato prova di assoluta trasparenza».



Allo stilista abbiamo poi chiesto conto anche dei tagli effettuati fino ad oggi nonostante il regime di lavoro ridotto. «La crisi economica - risponde - cagionata dall’emergenza COVID ha avuto un impatto rilevantissimo sull’intero comparto moda e, in particolare, sul Gruppo Plein che, nell’esercizio 2020 e nell’esercizio 2021, si attende una flessione del fatturato fino al 40% nel 2020 e fino al 20% nel 2021. Ciò ha imposto all’azienda l’adozione di svariate misure nel quadro della riorganizzazione di varie funzioni aziendali già iniziata prima del COVID. Come in numerosi altri gruppi della moda e del lusso, questo ha comportato delle riduzioni di organico e di stipendio che sono state sempre condivise con i dipendenti ed accettate dalla stragrande maggioranza di essi. Va notato che le dette riduzioni sono avvenute su scala globale, in numerosi Paesi del mondo, e solo marginalmente in Svizzera».


Sul lavoro ridotto, lo stilista spiega che «secondo la legge svizzera e diversamente da quanto suggerito dalla stampa e da altri, è una misura di sostegno che non esclude la risoluzione di rapporti di lavoro e non limita la libertà dell’imprenditore di determinare la taglia e l’organizzazione della propria attività. La domanda che è corretto porsi - continua - è: quanti posti di lavoro sarebbero stati persi se non ci fosse stato il lavoro ridotto a limitare i danni? L’obiettivo del Gruppo Plein è di creare un’impresa prospera con posti di lavoro stabili e sicuri. Il modello Plein è un modello di successo, completamente autofinanziato anche dopo le misure COVID, di cui non ha ancora utilizzato i finanziamenti agevolati, e di genuino insediamento in Ticino».


Infine, fa sapere lo stilista «ci stiamo tutti rimboccando le maniche per poter presto ritornare a crescere, espanderci ed assumere in vari settori. Sinora lo abbiamo fatto creando benessere e lavoro e restando agili e competitivi in una situazione di verificata conformità alle leggi ed ai regolamenti del Ticino. E lo abbiamo fatto senza necessità di alcun contratto collettivo. E così - conclude - confidiamo di poter continuare a fare in futuro».