Natura e territorio

Le capanne momò, piccole e un po’ diverse

In Valle di Muggio esistono due rifugi alpini: l’Alpe Caviano e l’Alpe Loasa - I loro responsabili ci hanno raccontato come sono gestiti e come stanno vivendo quest’estate particolare
L’Alpe Loasa.
Lidia Travaini
09.09.2020 06:00

Una è raggiungibile in un’ora e trenta circa da Bruzella, naturalmente a piedi. La si può trovare anche tra le numerose capanne alpine a cui Ticino Turismo dedica una pagina sul suo sito Internet. L’altra la si raggiunge da Castel San Pietro (il percorso più conosciuto parte da Obino) camminando un’ora circa e la si trova nell’elenco degli ostelli della gioventù presente sui siti turistici cantonali. Semplificando possono però essere definiti i due rifugi alpini del Mendrisiotto. Anche se forse sono poco conosciuti. Sono il rifugio Alpe Loasa e il rifugio Alpe Caviano, il primo di proprietà dell’omonimo consorzio, il secondo del Patriziato di Castel San Pietro. Entrambi sono, e lo avrete sicuramente dedotto, in Valle di Muggio.

Visto che questa per le montagne ticinesi e per le loro capanne è un’estate anomala, con molti escursionisti locali che, complice il coronavirus, si avventurano alla scoperta delle loro regioni, ne abbiamo approfittato per contattare i gestori delle due strutture, con l’obiettivo di capire qual è la loro offerta e come sta andando la stagione 2020.

«L’Alpe Caviano non è una capanna presidiata come quelle che tutti conoscono – esordiscono i responsabili della struttura del Patriziato di Castel San Pietro -, è gestita da volontari». Niente pranzi preparati da «capannari» o pernottamenti con mezza pensione, come quelli che ormai propongono molte capanne ticinesi ubicate più a nord, ma una cucina a disposizione degli escursionisti e un dormitorio con 18 posti letto. Quest’anno il rifugio, a causa del coronavirus, ha vissuto un’annata particolare, ci spiegano: «Abbiamo riaperto solo da un mese circa e solo per singoli gruppi, su richiesta. Questa soluzione è stata decisa per poter rispettare le regole legate al virus. Ai gruppi che si prenotano diamo la chiave del rifugio, che altrimenti resta chiuso. Così tra un gruppo e l’altro abbiamo la possibilità di pulire e disinfettare». Il sistema funziona e pian piano le richieste cominciano ad arrivare: «L’interesse sta crescendo, nei weekend e qualche volta anche in settimana le richieste ci sono».

L’Alpe Loasa è una fattoria in funzione, gestita da tempo da confederati, e da quest’anno in particolare c’è una nuova coppia responsabile. Da decenni ormai è possibile pernottarvi (ci sono 27 posti letto divisi in 5 stanze, un soggiorno e una cucina comune), anche per delle brevi vacanze. Una possibilità di cui beneficiano soprattutto gruppi e scolaresche, visto che esiste anche la possibilità di immergersi nel lavoro agricolo e di partecipare a delle attività, ci spiegano proprio dall’alpe. L’estate 2020 è però stata piuttosto complicata e sottotono: «Diverse scolaresche hanno disdetto la visita perché molti campi estivi sono stati annullati, due di recente hanno ad esempio rinunciato al soggiorno previsto in settembre. Ci sono quindi state meno visite del solito».

L’alpe di Loasa ha anche un sito internet dedicato, dove si spiega ad esempio che all’alpe non manca mai lavoro e che chi contribuisce per più giorni alle attività quotidiane (o alla sistemazione della nevera presente) pernotta gratuitamente. Il sito per ora è interamente in tedesco ma i responsabili garantiscono: «Sarà tradotto anche in italiano».

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