Le molte lezioni di Indro Montanelli, giornalista sempre «Controcorrente»

«Giunto al termine della sua lunga e tormentata esistenza, Indro Montanelli, giornalista, prende congedo dai suoi lettori, ringraziandoli dell’affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito». Letizia Moizzi, la nipote di Indro Montanelli, si sentì dettare queste parole dal nonno quando questi era in punto di morte, ricoverato nella stanza 610 della clinica Madonnina, a Milano.
«Soltanto un giornalista», ha ripetuto ieri sera Moizzi, ricordando commossa quel doloroso distacco nella serata che la Fondazione informatica per la promozione della persona disabile (FIPPD) ha dedicato a Montanelli, a Lugano, in occasione dei 30 anni di attività della Fondazione.
Letizia Moizzi ha lavorato con il nonno al Giornale. A proposito della sua assunzione, in un’intervista al Corriere della Sera ha raccontato: «Fu un’imboscata! Studiavo legge e una sera, in trattoria, disse al suo capocronista: “Da domani questa signorinetta comincia a lavorare con te. Trattala peggio degli altri”. E così fu». Oggi è la presidente della Fondazione Montanelli-Bassi, istituzione che ogni anno premia con borse di studio una ventina di giovani desiderosi di intraprendere uno dei mestieri tuttora tra i più affascinanti che ci siano. Un mestiere di cui Indro Montanelli è stato certamente un gigante.
Ieri sera, con Letizia Moizzi, a ricordare il giornalista di Fucecchio erano presenti nella sala 1 del LAC di Lugano anche Luigi Mascheroni, responsabile delle pagine culturali del Giornale e curatore del libro Indro Montanelli. Come un vascello pirata, 50 anni de «Il Giornale» nelle parole del suo fondatore (Rizzoli, 2024); e Alberto Introini, docente di Letteratura italiana e Storia all’Istituto Elvetico di Lugano.
Proprio Mascheroni, che non ha mai conosciuto Montanelli di persona ma ha lavorato per almeno due decenni con gente che aveva vissuto la grande stagione del quotidiano di via Negri, ha disegnato con un tratto insolito la figura del grande corsivista toscano. Narrando alcuni aneddoti, ma anche riflettendo a tutto tondo sul giornalismo.
«Lo stile di Montanelli era unico e inimitabile - ha detto Mascheroni - non c’è gara nel ’900 italiano: penso al suono della frase, al giro della frase, all’aggettivo inutile che mai c’era, alla conoscenza della lingua italiana nelle sue sfumature, al ritmo che nella scrittura è tutto». Una lingua travolgente, che sapeva essere «diretta e di una chiarezza assoluta. Tutti sanno scrivere 180 righe, pochi sono capaci di farne 45 per un editoriale o 7 per un “Controcorrente” (il corsivo breve di prima pagina, ndr). Montanelli era fulminante nella sintesi», e per questo giornalista come pochi.
Indro Montanelli, ha insistito Mascheroni, «aveva tempi, misura, velocità, capacità di concentrare un pensiero fortissimo in uno spazio brevissimo. Era però un primo violino, non un maestro d’orchestra. Non è stato, forse, un grande direttore. Aveva tuttavia un’ottima squadra e sapeva scegliere benissimo i collaboratori» e i colleghi a cui affidare la «macchina», quel lavoro fondamentale in un quotidiano di carta che contempla la scelta delle impaginazioni, le titolazioni, l’indicazione delle foto e molto altro.
«Lui si concentrava sull’articolo di fondo e sulla prima pagina. Mario Cervi, con il quale lavorava nella stessa stanza, mi raccontò che era capace di dedicare al “Controcorrente” molto tempo. Insieme, la sera, guardavano sempre l’ispettore Derrick, poi cesellavano i rispettivi pezzi».
Le lezioni di giornalismo impartite da Montanelli con il suo esempio e con il suo lavoro sono state moltissime. Nelle “Stanze” del Corriere ci sono numerosi pezzi del genere. Mascheroni ne ha ricordate un paio, di quelle lezioni.
La prima, riguardava «la regola semplicissima dell’editoriale: non fare un’analisi ma sviluppare un’idea, una sola. Senza sfumature. “Non devi avere il tempo di fermarti mentre lo leggi”, diceva». La seconda, invece, ha a che fare con la verità. «Montanelli aveva chiaro che bisogna smettere di pensare che esista l’obiettività giornalistica - ha detto Mascheroni - la verità è quello che tu, giornalista, hai visto e provi a raccontare. Non la verità assoluta. Sei in un contesto preciso, e racconti il poco che vedi. Con onestà intellettuale, devi dire la tua verità. Montanelli la definiva “verità con la v minuscola”, in nome di una modestia che alla lunga ti fa essere più onesto».
A volte, ha ricordato Letizia Moizzi, Montanelli «l’articolo di fondo se lo rimasticava, cercava la musica delle parole, l’unico aggettivo che stava bene. Al parco, camminando con il suo bastone, sembrava parlare con qualcuno: ma era una conversazione con sé stesso. La sua vita era la redazione. Non aveva una famiglia. La sua famiglia era il giornale, tutto girava in funzione dei suoi ragazzi. Chi entrava nella sua stanza non lo faceva per chiedergli un aumento di stipendio, ma per sapere cosa fare quando magari avevano litigato con la moglie». Indro Montanelli. Un uomo di un altro tempo. I cui insegnamenti sono però attualissimi.
