Le tappe e le modalità delle CPI: occorrerà tempo per avere risposte

Il Gran Consiglio, dunque, va verso l’istituzione della quarta Commissione parlamentare d’inchiesta (CPI) nella storia del Cantone. Visti i rapporti di forza in gioco (nella Sottocommissione «speciale» che ha proposto tale indirizzo sono presenti tutti i principali partiti, tranne la Lega) è infatti difficile immaginare che la Gestione o il Parlamento decidano a questo punto di fare dietrofront. Detto ciò, occorre anche tenere presente che l’istituzione di tale gremio non si farà da un giorno all’altro e che restano ancora diversi aspetti da delineare sulla futura CPI.
Le tempistiche
Riguardo alle tempistiche, ad esempio, allo stato attuale va detto che è difficile ipotizzare (ma potremmo essere smentiti dai fatti) che la CPI venga istituita dal Gran Consiglio prima di qualche mese. Essendo ottimisti, il tema potrebbe approdare in Parlamento a gennaio. O, più probabilmente, a febbraio o a marzo. E questo perché, in estrema sintesi, occorrono ancora alcuni passaggi prima di poter portare in aula il rapporto.
La Sottocommissione dovrà infatti sottoporre la richiesta all’Ufficio presidenziale e quest’ultimo coinvolgerà il Governo il quale, secondo l’articolo 39 paragrafo 1 della Legge sul Gran Consiglio e sui rapporti con il Consiglio di Stato, va «sentito» prima del voto in Parlamento. La posizione del Governo, va tuttavia chiarito, non sarà vincolante. Ad ogni modo, non è chiaro entro quando l’Esecutivo dovrà dire la sua sull’istituzione di una CPI. Ciò non è definito nella legge, ma è verosimile che l’Ufficio presidenziale stabilisca un termine, probabilmente di circa un mese.
Nel frattempo, ovviamente, anche la Gestione dovrà definire alcuni aspetti importanti prima di poter portare il suo rapporto in aula. Aspetti anch’essi definiti nero su bianco nell’articolo 39 della già citata Legge, al paragrafo 2.
Nel decreto istitutivo, infatti, dovrà figurare «il mandato» affidato alla CPI. Ossia, occorrerà definire nel dettaglio quali sono gli obiettivi dell’inchiesta e quindi il perimetro entro il quale la Commissione dovrà muoversi. La Sottocommissione ha già indicato nel suo rapporto quattro ambiti in particolare che ha tentato di verificare, senza riuscirci. È quindi facilmente ipotizzabile che quei quattro ambiti vengano perlomeno in parte ripresi pure nel rapporto della Gestione che giungerà in Parlamento, ma non è nemmeno escluso che vengano in parte ritoccati prima di approdare in aula.
Nel decreto istitutivo dovrà poi figurare anche «il finanziamento», ovvero quanti soldi il Legislativo intende mettere a disposizione per l’inchiesta, così come dovrà figurare «il numero dei membri (almeno 5)». Più nel dettaglio, anche i membri stessi della CPI e il suo presidente andranno definiti prima di arrivare in aula. Insomma, come detto, prima di entrare nel vivo della questione occorrerà attendere qualche settimana. O, molto più probabilmente, qualche mese.
I precedenti
Non va poi dimenticato che anche i lavori stessi della CPI richiederanno diverso tempo. E, in questo frangente, ci vengono in aiuto i tre precedenti: nel caso dei «permessi di dimora facili» la Commissione parlamentare d’inchiesta lavorò dal settembre del 2000 al marzo del 2003, per circa 2 anni e sette mesi; per il caso della logistica lavorò invece dal febbraio del 2012 all’ottobre del 2013, per circa 1 anno e otto mesi; nel caso «Argo1» i lavori durarono dal novembre 2017 al febbraio 2019, per circa 1 anno e 4 mesi. Come dire: visti i precedenti è verosimile pensare che anche questa nuova CPI (se verrà effettivamente istituita all’inizio del 2026) terminerà i suoi lavori non prima di un anno intero. Ma, anche qui, sono tutte speculazioni.
I quattro rifiuti
Come si diceva poco fa, uno dei motivi che ha spinto la Sottocommissione a proporre l’istituzione di una CPI riguarda il rifiuto di alcuni esponenti della Lega (nel dettaglio: Norman Gobbi, Enea Petrini, Alessandro Mazzoleni e Daniele Piccaluga) a presentarsi davanti al gremio politico per rispondere alle domande.
I motivi dietro questi rifiuti sono stati chiariti proprio nelle otto pagine del rapporto della Sottocommissione. Il consigliere di Stato, ad esempio, ha risposto picche - leggiamo dal rapporto - «sia perché non sono più coordinatore della Lega dei Ticinesi, sia perché - in ogni caso - ritengo prevalente la carica di consigliere di Stato». E a tal proposito ha rinviato «alle considerazioni già espressevi dal Consiglio di Stato, con la sua lettera del 3 settembre scorso». Una lettera su cui torneremo più tardi. Dal canto suo Petrini ha risposto negativamente all’invito in audizione per attendere «cautelativamente lo svincolo dal segreto professionale (…)» da parte della Lega. Uno svincolo che, viene poi chiarito nel rapporto, non è arrivato. Il deputato Mazzoleni, invece, semplicemente non ha risposto alla Sottocommissione, mentre il coordinatore Daniele Piccaluga ha declinato affermando che «con tutto quanto già riferito anche sugli organi di stampa, non avrei personalmente niente da aggiungere».
La posizione del Governo
Interessante, come accennato in precedenza, è anche quanto scritto dal Governo alla Sottocommissione, che aveva sollecitato l’Esecutivo per sapere se avesse intenzione di rispondere all’interrogazione dell’MpS presentata a giugno di quest’anno (da cui sono poi scaturiti gli addentellati politici della vicenda) e se avesse già tematizzato al suo interno la questione dell’indagine segreta condotta da Petrini per conto della Lega. Ma anche per sapere, più nel dettaglio, se il Governo avesse aperto inchieste interne. Ebbene, come si evince dal rapporto della Sottocommissione, il Governo ha fatto sapere che «al momento non ha ravvisato elementi che giustifichino l’avvio di inchieste interne e non ha trattato il rapporto Petrini». Sempre il Governo ha inoltre rilevato che i fatti sollevati nell’interrogazione «riguardano essenzialmente persone e società esterne all’Amministrazione cantonale» e che quindi «molte domande (...) esulano dalle competenze del Governo». Come dire, traducendo dal politichese: al Consiglio di Stato non competono indagini su privati cittadini e aziende private. L’Esecutivo ha poi spiegato di non aver l’intenzione di rispondere per il momento all’interrogazione poiché «è in corso una procedura penale» (il filone giudiziario a carico anche di Eolo Alberti). Ma che «verosimilmente (…) non potrà rispondere a tutte le domande nemmeno in un secondo tempo». E questo perché «il Governo reputa importante in questa fase evitare da parte dell’autorità politica qualsiasi atto che possa essere interpretato come un’ingerenza nelle competenze dell’autorità di perseguimento penale e di quella disciplinare». Ossia: va rispettato il principio della separazione dei poteri, anche perché le autorità giudiziarie «devono (…) poter svolgere i loro accertamenti in modo autonomo e libero da pressioni». Infine, «per quanto attiene all’accertamento di possibili comportamenti inappropriati o contrari alle norme rimproverati a magistrati», il Governo ha voluto ricordare che «esso è di competenza dell’autorità giudiziaria interessata e del Consiglio della magistratura». Detto altrimenti: anche in questo caso il Governo ha voluto sottolineare l’importanza di rispettare i ruoli e le competenze.
