Le tracce luganesi di una presunta truffa da quasi 90 milioni

Portano anche a Lugano le tracce di una presunta truffa da quasi novanta milioni di euro. L’avrebbe commessa un manager lombardo sulla sessantina ai danni di una ricca donna che gli aveva affidato una parte ingente del proprio patrimonio e che se lo sarebbe visto sottrarre. Questa, quantomeno, l’accusa mossa all’uomo, su cui indaga la Procura di Bergamo, la quale ha chiesto assistenza giudiziaria in Svizzera. Da parte sua il manager – accusato di truffa aggravata, autoriciclaggio, estorsione e appropriazione indebita – respinge gli addebiti. Nelle scorse settimane – sempre in Italia – è stato condannato anche in Appello a tre anni di carcere per aver mentito nel compilare la «Voluntary Disclosure» nel 2015.
Collezionista o commerciante
Ed è proprio da quella Voluntary Disclosure che nascono i guai legali del manager lombardo. Le cronache italiane raccontano che era a un passo dall’evitarli, ma un procuratore aveva ordinato di verificare bene le Voluntary Disclosure più pingui: e «la più corposa delle tremila presentate» nella Provincia lombarda in cui risiede e «fra le più consistenti» di tutta Italia era sua. In essa il manager si era definito – secondo due gradi di giudizio a torto – quale collezionista d’arte e non quale commerciante. Un dettaglio decisivo che gli aveva permesso di risparmiare oltre due milioni di euro a livello fiscale (soldi che dovrà rimborsare quando e se la sentenza crescerà in giudicato) e che gli è costato la condanna.
Con l’uomo, almeno all’inizio, era indagata una donna: colei che fra il 2013 e il 2015 aveva comperato da lui opere d’arte per 51 milioni di euro. È però emerso ben presto che era all’oscuro della questione ed ha infine partecipato al processo quale testimone. In udienza ha poi rivelato di averlo denunciato perché negli anni le avrebbe sottratto circa 86 milioni di euro.
Le dichiarazioni
In Lombardia il caso sta facendo parecchio discutere sia per il caso in sé – alcuni dei quadri acquistati dal manager sono di grande pregio – sia per le cifre in ballo, sia per l’alto profilo della presunta vittima: cognata del sindaco di un importante Comune lombardo e parte di una famiglia che possiede una grande realtà industriale della zona. Ed è proprio in ambito aziendale che la donna ha conosciuto il manager, presentatole da una persona di fiducia. Il rapporto fra i due è tanto stretto che lei ha poi deciso a inizio anni Duemila di affidargli la gestione del proprio ingente patrimonio, pari a circa 130 milioni di euro. La gran parte di esso, oggi, sarebbe sparita. In particolare perché il manager le avrebbe rivenduto a prezzi gonfiati migliaia di quadri: «Non sono un’intenditrice - ha detto la donna quando è stata sentita come testimone (riporta l’Eco di Bergamo), - per me erano investimenti. cercavo di costituire un patrimonio in grado di rivalutarsi, senza grossi rischi e invece ho scoperto che è difficile da smobilizzare e che tra commissioni alla casa venditrice e altro si sarebbe svalutato del 30-40%». A ciò andrebbero aggiunte «operazione societarie a lei altamente pregiudizievoli». L’ultima frase si trova nella richiesta di assistenza giudiziaria inviata dall’Italia al Ministero pubblico ticinese. Vi si legge anche: «A oggi, a fronte dell’investimento di complessivi 128 milioni di euro, la signora non dispone che di eterogenea collezione di opere d’arte del valore stimato in 28 milioni, di un immobile a Milano e della liquidazione di una polizza assicurativa. Ne risulta una perdita di 86 milioni, cui fa da pari un profitto del medesimo importo per il manager». Nel corso degli anni, inoltre, l’uomo non si è limitato a sottrarle buona parte del patrimonio, ma si è adoperato per creare una condizione di vera e propria dipendenza della donna dalla sua persona».
In cerca di dati
E veniamo a Lugano. Perché il problema è che per gran parte della presunta truffa vi è poca documentazione. La presunta vittima, in udienza, ha dichiarato: «Lui mi portava i documenti e io firmavo senza avere l’accortezza di consultarli. Non so cosa ho firmato». Nella rogatoria si legge invece che «l’indagato non le ha mai consegnato la documentazione relativa agli investimenti effettuati». Per cercarne traccia, gli inquirenti italiani hanno bussato al confine e hanno chiesto di perquisire quattro società e un’abitazione (fra le società riconducibili al manager ve n’era una via Pioda – sciolta nel 2018 – dedita alla compravendita di opere d’arte). In una di queste è stata trovata documentazione ritenuta interessante, ma il manager e la società interessata – entrambi rappresentati dall’avvocato Elio Brunetti – hanno ricorso, in quanto il legale non è riuscito ad aprire alcuni dei file che si intendevano mandare in Italia. Obiezione accolta su questo punto: per la Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale il Ministero Pubblico ha commesso una violazione grave del diritto d’essere sentiti dei ricorrenti. Dovrà dunque permettergli di prenderne visione prima di, eventualmente, farli avere agli inquirenti.
Un non luogo a procedere
Stando a nostre informazioni, il manager sarebbe stato brevemente indagato per riciclaggio anche in Svizzera, ma nei suoi confronti sarebbe già stato emesso un non luogo a procedere.