Le voci contro il lupo: «È un calvario»

«Il problema è reale e insostenibile». Il lupo sta bene «e si moltiplica, in Ticino come in Svizzera». Una premessa che mette sotto pressione non solo le aziende agricole, bensì «comunità, economia e territori». Il fronte di chi si oppone al lupo si è presentato oggi a Bellinzona. Chi si oppone? Parliamo di rappresentanti del mondo agricolo, dei patriziati, della politica, di Enti e abitanti delle regioni di montagna, i quali hanno rinnovato l’appello perché si adotti «una gestione del lupo che sia davvero efficace e adeguata, colmando le numerose lacune e garantendo un futuro alle attività umane in queste regioni». Anche perché si parla, a suon di grafici, del 2025 come di un anno di record.

«Una sottovalutazione»
Come ha evidenziato Sem Genini, segretario agricolo cantonale, il 2025 sarebbe però soltanto un punto d’arrivo, sì, una conseguenza. Perché, a suo giudizio, «per troppi anni il Consiglio federale e il Governo cantonale hanno sottovalutato il problema e sono stati passivi nella regolazione come nel sostegno, lasciando che il lupo si espandesse, senza agire in modo incisivo per salvaguardare l’allevamento ovino e l’attività alpestre». Da qui l’iniziativa e, in un secondo tempo, la manifestazione pacifica di protesta, prevista il 18 ottobre, alle 14.30, con partenza da Largo Elvezia, a Bellinzona. «Per parlarne in modo corale, perché la nostra voce venga sentita e non venga ignorata. Perché chi fa del lupo un dibattito intellettuale spesso si dimentica che la realtà non è un’opinione».
«Le persone al centro»
A descrivere la realtà, in questo senso, è stato poi anche Omar Pedrini, presidente dell’Unione dei contadini ticinesi, il quale ha parlato di un anno sin qui «disastroso» per il settore primario. «E non si può andare avanti così», ha detto. «Le aziende agricole chiudono, e non è possibile! È assurdo non avere più una singola pecora in un alpeggio in tutta la Valle Maggia o pochissime ancora in Leventina». Tutto per una paura, concreta, del lupo. «Quest’anno la stagione alpestre si è conclusa con il più alto numero di animali predati mai registrato in Ticino. Un incremento drammatico, a cui si aggiungono i capi dispersi che, tragicamente, molto difficilmente verranno ritrovati». Pedrini ha ricordato: «Il lupo, la sua presenza e le conseguenze della gestione attuale hanno conseguenze concrete che non possono venire relegate in secondo piano. Perché parliamo di persone, di comunità e di territori. Parliamo non di pochi allevatori testardi che rifiutano di adottare le misure di protezione, ma di chi subisce le predazioni in pieno giorno, nonostante i cani da protezione e le recinzioni. Parliamo non di aziende agricole poco redditizie, bensì di aziende che vedono il loro reddito ridursi nonostante l’impegno e la passione, perché sul lupo non hanno controllo». Il presidente dell’UCT ha poi formalizzato una richiesta: «Sì, chiedo che questa situazione cambi, che si rimettano le persone e i loro animali al centro, senza sacrificarli in nome di astrazioni e dei presunti benefici del lupo».
«Resteranno soltanto lupi»
Sulla stessa linea di Pedrini, anche Armando Donati, presidente dell’associazione Protezione del territorio dai grandi predatori, il quale è andato persino oltre: «È un calvario». Lui stesso è tornato indietro nel tempo, sino ai primi anni Duemila, alla prima comparsa del lupo. Già allora, secondo Donati, non c’era dialogo, bensì «una contrapposizione ideologica». «Per anni, anzi per decenni, la Confederazione - il Consiglio federale e gli alti funzionari dell’UFAM - e il Canton Ticino, a cominciare dal direttore del Dipartimento del territorio e dall’Ufficio caccia e pesca, hanno sottovalutato il problema». Lo scenario descritto appare quasi distopico. «Soltanto fatti concreti gravi forse potrebbero far reagire le nostre autorità. Ci vogliono gli alpi abbandonati, e sono già diventati numerosi. Ci vogliono le aziende di ovini e di caprini che chiudono. Domani anche quelle di bestiame bovino. Ci vuole la mancanza di prodotti tipici fatti con latte di capra e carne di agnello. Quando nelle valli ticinesi ci saranno soltanto lupi e quando gli animali da reddito al pascolo saranno scomparsi, qualcuno forse aprirà gli occhi».
«Una realtà fragile»
Secondo Alex Farinelli, consigliere nazionale PLR ma pure presidente della Società ticinese di economia alpestre, sul piano nazionale ma anche cantonale manca una visione d’insieme concreta così come una lista di priorità ben definite. Ha pure ammesso: «Come svizzeri, come ticinesi, siamo fieri dei nostri alpeggi. Sono una parte importante della nostra tradizione. Sono parte del nostro patrimonio e andiamo giustamente fieri dei loro prodotti. Però siamo distanti dalla realtà quotidiana di chi li mantiene vivi, di chi li gestisce e ci permette di goderne. Una realtà meravigliosa, ma fragile». Riferendosi ai recenti fatti del canton Vaud e pensando al nostro cantone, ha aggiunto: «E quando aumenteranno gli attacchi alle mucche da latte, le conseguenze sulla redditività di aziende che già non si trovano in una situazione facile, a causa delle difficoltà della filiera del latte, saranno serie. Non solo per gli alpeggi, ma per le persone e le aziende che li tengono vivi. È uno scenario che dobbiamo scongiurare a tutti i costi, altrimenti perderemo una parte importante del nostro patrimonio».
«Basta perdere tempo»
Il microfono è quindi passato a Tiziano Zanetti, presidente dell’Alleanza patriziale, a Damiano Vignuta, dell’Ente regionale per lo sviluppo di Locarnese e Vallemaggia, a Denis Bianchi, del patriziato di Olivone, Campo e Largario, e infine a Flavia Anastasia, allevatrice di Claro. Sono emersi aneddoti vissuti in prima persona e appelli alle autorità. Ma è spettato poi alla granconsigliera Roberta Soldati (UDC) concretizzare il tutto nella forma di una petizione popolare, a fronte di una situazione «divenuta insostenibile». E allora il Gruppo territori e alpeggi, l’Unione dei contadini ticinesi, la Società ticinese di economia alpestre, l’APTdaiGP, la Federazione ticinese dei consorzi di allevamento caprino e ovino e la Federazione ticinese delle condotte veterinarie si sono uniti per dire: «Basta perdere tempo. Salviamo ora o mai più l’allevamento e l’attività alpestre in Ticino». L’intento della petizione è chiedere a Consiglio federale e Governo cantonale di «chinarsi seriamente sulla realtà ticinese per trovare soluzioni specifiche», ma anche di «introdurre modifiche legislative» per ridurre «drasticamente» il numero di lupi e permettere ai pastori di difendersi e quindi di sostenere finanziariamente l’allevamento di animali da reddito. «Allo stato attuale delle cose, la petizione popolare è necessaria». pao