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L’economia scrive a Keller-Sutter: «Sul telelavoro è tempo di chiarimenti»

AITI e Camera di Commercio ribadiscono l’importanza di un accordo chiaro e durevole in materia di lavoro a distanza con l’Italia - Stefano Modenini: «Le aziende devono potersi organizzare per tempo » - Andrea Puglia: «L’attuale quadro giuridico è un gran pasticcio»
© KEYSTONE / GAETAN BALLY
Francesco Pellegrinelli
19.09.2023 20:24

Una lettera inviata alla consigliera federale Karin Keller-Sutter per ribadire la necessità di una soluzione duratura tra Svizzera e Italia in materia di telelavoro. «Le aziende hanno bisogno di un quadro giuridico chiaro che oggi è assolutamente assente», commenta al CdT il direttore di AITI Stefano Modenini: «Anche il personale fa affidamento sulla possibilità che si trovi al più presto una nuova intesa con Roma». La lettera firmata da AITI e Camera di Commercio è partita nelle scorse settimane assieme all’auspicio rivolto al Consiglio di Stato ticinese affinché sostenga la richiesta del mondo economico.

Riavvolgiamo il nastro

Sottoscritto in piena pandemia per consentire ai lavoratori italiani di lavorare da casa senza incorrere in complicazioni fiscali e previdenziali, l’accordo amichevole sul telelavoro con l’Italia oggi si trova impantanato in un quadro giuridico quantomeno «pasticciato», spiega Andrea Puglia di OCST: «Attualmente abbiamo una norma unilaterale, proclamata dal Governo italiano, secondo la quale i frontalieri che erano già tali al 31 marzo 2022 possono lavorare da casa per il 40% del tempo di lavoro, ossia due giorni a settimana, senza avere implicazioni di natura fiscale». Fosse solo così, però, la questione sarebbe risolta. In realtà è una norma monca, prosegue Puglia: «Sul piano delle assicurazioni sociali (INPS), dal primo luglio, in Italia è tornato in vigore il limite del 25% di telelavoro. Pertanto, la norma italiana valida sul piano fiscale va a cozzare con quella valida sul piano delle assicurazioni sociali». Detto altrimenti: oggi un frontaliere non può utilizzare l’estensione del telelavoro al 40% prevista dalla norma fiscale, in quanto deve sottostare al limite del 25 % del tempo di lavoro imposto dall’autorità previdenziale italiana (INPS). In soldoni: ai frontalieri italiani è permesso di fare unicamente un giorno di telelavoro a settimana. «Altrimenti l’azienda rischierebbe di dover annunciare il dipendente in Italia e il dipendente dovrebbe pagare i contributi pensionistici». Per dirla con le parole di Modenini: «Alle aziende consigliamo di non addentrarsi in questa giungla opaca e di ridurre il telelavoro a un giorno al massimo».

Le resistenze di Roma

Guardando al futuro, poi, il quadro non è migliore. La normativa fiscale italiana che fissa il telelavoro al 40% (per quanto sia priva di valore pratico) scadrà il 31 dicembre. «Ecco un altro motivo per considerare l’intera situazione instabile e monca», commenta Puglia. Dal canto suo, Modenini osserva che sempre più «il telelavoro esteso a due giorni è richiesto da diversi lavoratori specializzati in fase di assunzione come punto contrattuale». Facendosi poi portavoce del nervosismo del settore, il direttore di AITI osserva: «Le aziende devono potersi organizzare per tempo. Mancano pochi mesi al nuovo anno, occorre a questo punto arrivare a un accordo definitivo con l’Italia».

Una richiesta e un auspicio da leggere nel contesto di una sempre maggiore difficoltà a reperire manodopera specializzata. Ancora Modenini: «La situazione è grave. Il personale disponibile diventa sempre più prezioso, tanto che l’Italia sta pensando a nuove forme di sostegno per trattenere in Lombardia il personale italiano». La resistenza che il dossier sta incontrando a Roma va letta in questo senso, aggiunge Modenini. «Con la Francia non ci sono state difficoltà e oggi è in vigore un accordo che fissa il telelavoro a due giorni a settimana». A fargli eco Puglia: «Sappiamo che le autorità negoziali di Italia e Svizzera stanno discutendo un nuovo accordo amichevole che possa fare ordine sul telelavoro e pattuire una percentuale di tolleranza che sia definitiva. I negoziati sono però complessi perché gli interessi non collimano». La sensazione - ribadita anche da Modenini - è che una parte della politica italiana non spinga verso un nuovo accordo. «In Italia c’è pressione da parte dei datori di lavoro a non perdere, a loro volta, i lavoratori qualificati». Di qui, appunto, la necessità - sottolineata nella lettera - di sondare nella controparte italiana la reale volontà a raggiungere un accordo. «È tempo di arrivarne a una. Si dica sì o no», afferma Modenini.

Rumors e strategia

Tra parentesi: non tutti in Ticino però sono propensi all’estensione del telelavoro attraverso una nuova regolamentazione. Nei settori dove c’è molta concorrenza tra residenti e frontalieri un nuovo accordo finirebbe per giocare contro il mercato locale: «Non tutti i settori dell’economia sono uguali», ribatte Modenini. «L’industria non sono i servizi». Dal canto suo Puglia osserva: «Gli effetti benefici sul traffico erano palesi. L’esperienza maturata durante la pandemia ha mostrato i benefici di questo strumento».

Non rimane dunque che attendere gli sviluppi delle trattative in corso tra Berna e Roma. Rumors? «La Svizzera è disposta a fare un accordo amichevole sul modello francese, mentre l’Italia chiederebbe compensazioni finanziarie, che però oggi sono assolutamente improponibili», conclude Puglia. «Con il nuovo accordo fiscale sui frontalieri, la Svizzera ha già fatto molto in termini di compensazione finanziaria. Roma dovrebbe riconoscerlo». L’abilità dei negoziatori italiani su temi individuali però è nota, soprattutto quando è la Svizzera ad avere interessi preponderanti. Non a caso alcuni deputati ticinesi a Berna, tempo fa, chiedevano al Consiglio federale di cambiare approccio adottando uno sguardo più trasversale sui dossier. Del tipo: se la partita la giocate solo su una casella, la perdete.