Il libro

L’esplosione, il dramma, la rinascita: «La mia vita dopo Marrakech»

Dopo dieci anni di silenzio da quel terribile 28 aprile 2011, Morena Pedruzzi si racconta – «È stato il periodo più brutto della mia vita, ma non sono più lì, ora sono qui e sto bene, è stato un pezzetto della mia esistenza» – Sugli amici: «So che non ho ancora elaborato la loro perdita, mi sembra impossibile che non ci siano più»
© Ti-Press / Alessandro Crinari
Jenny Covelli
15.11.2021 06:00

Sono trascorsi 3.854 giorni. Era il 28 aprile 2011. «Il giorno in cui tutto è cambiato». Alle 11.30 una bomba esplose nel Caffè Argana di piazza Jamaa el Fna, a Marrakech. Seduti a un tavolino c’erano Corrado «Mondo» Mondada, Cristina «Chichi» Caccia, Morena «Nena» Pedruzzi e André Da Silva Costa. Erano lì per una vacanza tra amici, ma solo due di loro hanno fatto ritorno a casa. E solo una è sopravvissuta. Mondo e André morirono in quel bar, Chichi tornò in Svizzera insieme a Nena con un jet della Rega, ma morì il 6 maggio in ospedale. Morena fu l’unica a sopravvivere, nonostante le ferite gravissime, e tornò in Ticino in agosto dopo un lungo ricovero. «Mi sono ritrovata a metà tra due mondi. Ero parte del ‘‘quartetto’’ e improvvisamente sola tra quelli ‘‘rimasti’’. Ero insieme a loro, ma io adesso sono ancora qua», dice Morena. Dopo dieci anni di silenzio, lontano dall’attenzione della gente (e soprattutto dei media), ha deciso di parlare attraverso un libro, il suo libro: Risollevarsi. La mia vita dopo un attentato terroristico (iet edizioni). «Oggi ho il desiderio di essere io a raccontare la mia storia – scrive -. Uscire un po’ dagli schemi dei racconti di cronaca. Lo faccio per me, perché ho voglia e bisogno di chiudere un cerchio». E non è un caso che ciò avvenga a dieci anni di distanza dalla «bomba che l’ha fatta saltare in aria». Perché il 2021 è uno di quegli anniversari importanti, più impegnativi di altri, più intensi.

La mia vita come due atti teatrali: il secondo sta ancora andando in scena, qui e ora

Il 28 aprile 2011 ha diviso in due la sua vita. C’è un prima e un dopo. «Come due atti teatrali. Il secondo sta ancora andando in scena, qui e ora». E di questo secondo atto fa parte anche il libro. «Ne avevo bisogno. Mi frullava da tanto nei pensieri – ci confida -. Mettere tutto nero su bianco e arrivare a un mio punto ‘‘finale’’. Non credo stravolgerà nulla, ma fa parte della mia ‘‘nuova’’ vita».

Gratitudine
Con questo libro Nena intende anche «restituire il grande abbraccio» alle persone che nel momento più brutto della sua vita le hanno dedicato pensieri, affetto, attenzioni, regali, disegni. «La mia prima medicina», la definisce. Nel letto di cure intensive dell’Unispital di Zurigo ha passato un mese e una settimana. Sdraiata. Lì «il tema del giorno è sempre la vita o la morte». In poche settimane ha subito undici operazioni in anestesia totale, è arrivata a prendere fino a 28 pastiglie in un solo giorno. È passata tra flashback e visioni da disturbo post traumatico da stress e fortissimi dolori. Un «tempo sospeso». «Tutto ciò che arrivava in ospedale per me era una carica incredibile, fondamentale – racconta oggi sorridente -. Soprattutto nei momenti in cui alla mia famiglia mancava un po’ di energia, erano ‘‘scarichi’’». A questi ultimi è dedicato un intero capitolo. «Anche la vita dei miei genitori e di mio fratello è stata stravolta quel 28 aprile 2011». Il fratello Marcello è stato fondamentale. «A Zurigo teneva a bada me, mamma e papà, i dottori, le altre famiglie, gli amici. È diventato una specie di ‘‘manager’’ che gestiva tutto con la sua pacatezza. Non so come abbia fatto».

Il libro, iet edizioni, è disponibile in libreria al costo di 20 franchi. © Edizioni Casagrande
Il libro, iet edizioni, è disponibile in libreria al costo di 20 franchi. © Edizioni Casagrande

Il primo selfie dopo
Di quei difficili giorni, Nena ci consegna anche un’immagine. Il primo selfie che si è scattata, con il telefono del fratello Marcello. Perché i medici non le davano il permesso di specchiarsi, «non sei pronta» le dicevano. Ma «io volevo capire cosa vedessero i miei genitori e mio fratello. Mia mamma, soprattutto, quando mi guardava aveva uno sguardo terrorizzato e addolorato». È una fotografia dura. «Per me è stato uno shock risvegliarmi e ritrovarmi completamente pelata – scrive nel libro -. Per scongiurare infezioni varie avevano rimosso tutto ciò che era superfluo. Mi ha sconvolta addirittura più delle bruciature che avevo sul volto e sulle braccia, delle difficoltà a muovermi e di tutte le ferite che avevo sul corpo». Oggi spiega con lucidità quella sensazione. L’essere cambiata così tanto esteriormente ma non dentro. «Fino al giorno prima mi guardavo allo specchio e l’immagine di me ‘‘fuori’’ era la stessa che avevo interiormente. Improvvisamente non mi sono più vista, è stato come dover resettare tutto». Morena ha pensato molto se inserire quella foto nel libro. «Probabilmente se l’avessi pubblicato nove anni fa non l’avrei messa – confessa -. Perché non avevo ancora quella distanza necessaria. Ma io quel selfie ce l’ho sotto il naso da dieci anni. L’ho visto, rivisto, stampato. Non mi fa più così effetto, per me è stato un passaggio. Sono passata da lì, è stato il periodo più brutto della mia vita, ma non sono più lì. Adesso sono qui, sto bene, e quello è stato un pezzetto della mia esistenza». Restando in tema fotografie, ce n’è un’altra in Risollevarsi che a Nena causa «il mal di pancia». «Quella con la Chichi subito dopo l’attentato». Le avevano portate di peso fuori dal Caffè Argana, per strada, adagiandole su due sedie, con le gambe a dir poco malconce. Tutto intorno era devastato, c’era solo distruzione. «Ci stringiamo fortissimo la mano, incredule e spaventate, senza ancora aver capito cosa è successo. Una grandissima folla si è radunata intorno a noi. Qualcuno scatta delle foto e io mi copro subito il volto. Sono fin troppo lucida: non voglio assolutamente che qualcuno della mia famiglia mi veda ridotta così».

Mondo, Chichi, André
Della morte dei tre amici e compagni di viaggio, nel libro vengono riportate le parole scritte dal fratello Marcello, in quello che è il suo diario quotidiano. Domenica 1. maggio 2011, André e Corrado sono morti. «Sono stati i test del DNA e i referti dentistici a dare la conferma. Il fatto che le salme non abbiano potuto essere riconosciute attraverso le foto mi ha fatto stare molto male». Giovedì 5 maggio 2011. «Il funerale dell’André è stato molto toccante: Cadenazzo era troppo piccola per così tanta gente».

Forse la Chichi ha potuto scegliere tra la vita e il Mondo, e ha scelto il Mondo

«Venerdì 6 maggio 2011, funerali del Mondo. Hanno suonato qualche brano di Vasco. La Carnasc ha suonato Don’t You (Forget About Me). Il papà del Mondo ha ricordato la sua capacità di ‘‘cavarsela ogni volta in un modo o nell’altro... ma stavolta non ce l’ha fatta’’. Dopo il funerale, lo shock: abbiamo ricevuto la notizia che anche la Chichi non ce l’ha fatta. Forse la Chichi aspettava solo che la Nena stesse meglio per essere sicura che ce l’avrebbe fatta da sola. Forse ha potuto scegliere tra la vita e il Mondo, e ha scelto il Mondo». Morena è molto sincera su questo: «Io so che non ho ancora elaborato la loro perdita. Perché mi sembra impossibile. In cimitero non sono ancora andata e non so se andrò mai, forse sì». La loro morte resta l’aspetto più doloroso di quanto accaduto. E di loro, nel libro, Nena ha cercato di restituire l’immagine «più vera e giusta» che potesse lasciare a chi è rimasto. I familiari sono stati i primi a leggere i capitoli in cui si parla dei loro figli. «Se anche un solo genitore si fosse dimostrato contrariato, mi sarei fermata e interrogata. Con loro ho un rapporto unico, abbiamo stretto un legame fortissimo, partito dal dolore».

Un macigno che a volte è un sassolino
In Risollevarsi Nena racconta la normalità della mattina del 28 aprile 2011, prima della bomba. Un termine, normalità, che nel dopo ha assunto obbligatoriamente un valore diverso. È convinta che il corpo umano e la persona siano creati per adattarsi a nuovi ambienti e situazioni, anche se non è facile. «Convivo con il dolore. Ci sono giorni che non ho voglia nemmeno di alzarmi perché troppo faticoso, richiede un sacco di energie. Ma per fortuna è ‘‘un giorno al mese’’. Ho trovato una buona stabilità. Una normalità che non è quella di prima, ma va bene, è la mia». Nel suo libro prende in prestito una metafora fornita dalla sua psichiatra e psicoterapeuta per descrivere tutto questo: «Mi capita spesso di paragonare il trauma dell’attentato a un macigno di cinquanta chili che mi è piombato addosso senza alcun preavviso. Grazie alle terapie, oggi posso dire che certi giorni il macigno si riduce a un sassolino dentro alla mia scarpa, fastidioso ma con cui si può convivere; altri giorni invece è un po’ più grande, ma anche quando i dolori sono forti o i pensieri non mi lasciano dormire, il sasso non arriva a pesare più di dieci chili». E di quella voglia di (nuova) normalità Nena si è cibata anche quando, il 3 giugno 2011, è stata trasferita nella clinica di riabilitazione Balgrist, dove è rimasta per due mesi. «Per me il lavoro, l’ergoterapia, è avere un’identità, sapere quello che faccio, chi sono. Fremevo per tornare dai miei bambini. Ho sempre mantenuto una sorta di distanza, soprattutto con i genitori dei miei piccoli pazienti, ma ora ho imparato che anche se ci si avvicina un pochino, non vuol dire perdere di vista la parte terapeutica e professionale».

Sento forte il desiderio di scoprire il mondo, andare verso l’altro, verso quello che non conosco

Nel 2012 Morena ha ripreso l’aereo per la prima volta. Destinazione: Amsterdam. «Sento forte il desiderio di scoprire il mondo, andare verso l’altro, verso quello che non conosco». Una frase, scritta nel libro, che quasi stride con quello che le è accaduto dieci anni fa. «Non ho mai legato quello che mi è successo al diverso, allo straniero. Per me è stato un evento, un momento, una data, un istante. Non ho mai generalizzato. Mai – chiarisce con onestà -. Una volta mi è capitato di avere un attimo di panico, irrazionale, quando ho visto bruciare il fantoccio di carnevale a Brissago. In un’altra occasione sono andata a vedere l’Ambrì e mi sono sentita schiacciata tra la folla. Ma mai un timore legato a delle persone. Ho sicuramente paura del terrorismo, ma non più degli altri. E, soprattutto, questo non mi ferma».

Nena è sorridente. Nel suo libro si concede, senza filtri. Non glissa su nulla. Nemmeno sull’arrabbiatura che ha provato la mattina del 28 aprile 2011 quando la gita di due giorni nel deserto che avevano in programma è stata rimandata per un malessere di Mondo. Neppure su quello che i suoi occhi hanno visto quel giorno. «Credo che l’equilibrio abbia poco a che vedere con lo stare in piedi, ma sia piuttosto qualcosa che ha a che fare con lo stare interi, senza perdersi, senza andare in mille pezzi», scrive. E, infine aggiunge: «Oggi riesco a guardarmi indietro con fierezza e orgoglio, e sono in grado di cogliere appieno tutto il percorso che ho fatto a partire da quel maledetto 28 aprile 2011. È stata una rinascita».