L’eurotrip della frode fiscale, ma parte del denaro è sparita

Capitali che dalla Svizzera transitano prima in Bulgaria, poi in Olanda e infine in uno dei tanti paradiso fiscali sparso sul globo. Uno schema collaudato, un vero e proprio «eurotrip» della frode fiscale, attuato una decina di anni fa proprio qui, nel Luganese, per consentire ad alcuni clienti italiani di “aggirare” la voluntary disclosure (lo strumento che il fisco italiano aveva messo a disposizione dei contribuenti per regolarizzare la propria posizione fiscale). Un ‘operazione di ottimizzazione fiscale, con possibili risvolti penali in Italia, Stato danneggiato per la mancata entrata erariale, ma non in Svizzera.
Il caso, però, è comunque approdato in un’aula penale in Ticino. Tre clienti, un uomo e una coppia, si sono infatti ritrovati a bocca asciutta: nel paradiso fiscale, i loro soldi, non sono arrivati. Uno degli artefici di queste triangolazioni, un 43.enne informatico del Luganese ora residente all’estero, avrebbe sottratto loro almeno 1,29 milioni di franchi tra inizio luglio 2015 e fine dicembre 2016 sotto forma di prestiti ad altre società a lui collegate. Per questo motivo, l’uomo, difeso dall’avvocato Daniele Iuliucci, è comparso davanti alla Corte delle assise criminali con le accuse di ripetuta appropriazione indebita (in subordine amministrazione infedele aggravata) e falsità in documenti.
Gli «irriducibili»
Tutto ha inizio una decina di anni fa, tra il 2014 e il 2015. Da un lato c’è la “sanatoria” italiana, dall’altro paletti più stretti in Svizzera per il trasferimento di capitali. Quattro gestori patrimoniali – i quali assistevano alcuni “irriducibili” clienti italiani che non volevano dichiarare i loro conti al fisco – contattano il 43.enne e con lui mettono in piedi il cosiddetto sistema. L’imputato dispone infatti di una società CV olandese (ma con conto corrente a Londra), il cui pacchetto azionario era stato da lui acquistato nel 2007 da una nota fiduciaria ticinese. Questa società è infatti il fulcro di questa ottimizzazione fiscale. Lo schema, come detto, si basava su una serie di triangolazioni finanziarie: il denaro depositato in Svizzera veniva trasferito nel conto di una società bulgara creata ad hoc e con la ragione sociale del cliente (ad esempio per Mario Rossi veniva creata la Mario Rossi SA). A quel tempo, per lasciar partire il denaro le banche svizzere richiedevano che il conto di destinazione fosse privato, ossia intestato alla medesima persona. I bonifici, è stato ricostruito in aula, avvenivano senza specificare che si trattava di un versamento a una persona giuridica: riprendendo il nostro esempio, il denaro veniva girato da Mario Rossi a… Mario Rossi, con la dicitura SA che spariva dai documenti. Dalla Bulgaria i capitali venivano quindi versati alla società olandese dell’imputato, il quale poi li trasferiva nel paradiso fiscale di destinazione. Lo schema funziona per diverso tempo, fino a che l’uomo trattiene il denaro di tre clienti, costituitisi accusatori privati nel procedimento e rappresentati dall’avvocato Costantino Castelli. Secondo l’accusa, rappresentata dal procuratore pubblico Daniele Galliano, i soldi – parliamo di quasi 1,3 milioni di franchi – sarebbero stati utilizzati per spese personali o dirottati verso altre società dell’imputato. Per giustificare gli ammanchi, l’uomo ha prodotto delle fatture false (32 secondo l’accusa). Inoltre, sempre secondo l’accusa, avrebbe messo in piedi uno schema del “buco tappa buco” per coprire i "buchi".
«Non tutte sono false»
Interrogato dalla presidente della Corte, la giudice Francesca Verda Chiocchetti, l’imputato si è difeso affermando di essere parte di un complesso ingranaggio, di aver subito le decisioni di uno dei quattro gestori patrimoniali con cui aveva attuato lo “schema” e ha ridimensionato il numero di false fatture (11) e delle malversazioni (365 mila euro). La differenza di oltre 900 mila euro? «È andata persa», ha affermato.
Dove sono i documenti?
Secondo Galliano – che ha chiesto una condanna a 36 mesi, 6 dei quali da espiare e il resto sospeso per due anni – «l’imputato aveva l pieno controllo dei conti della società olandese e ha creato fatture con causali fantasiose” per coprire gli illeciti. I 356 mila euro, ha argomentato, sono stati usati per spese personali, il resto per rimborsare altri clienti». «Sapeva quello che stava facendo e sapeva del buco», ha chiosato Castelli. «Quando i destinatari dei versamenti gli chiedevano dove fossero finiti i soldi, inventava scuse».
Dal canto suo, Iuliucci si è battuto per l’assoluzione o, in alternativa, per una condanna per appropriazione semplice (in subordine amministrazione infedele semplice) e per una massiccia riduzione di pena (son superiore ai 21 mesi sospesi). E questo perché «il negozio giuridico era nullo: era denaro che doveva esser sottratto al fisco e non c’era alcun rapporto fiduciario tra lui e gli accusatori privati. Anzi, lui neppure aveva accesso ai conti della società olandese». Per quanto riguarda il denaro sparito 941 mila euro, lo stesso «è andato perso». E senza contabilità («si tratta di denaro da sottrarre al fisco, nessuno vuole tenere traccia») è impossibile capire dove siano finiti.
«Non capisco perché oggi in aula ci sia solo il mio cliente», ha poi chiosato Iuliucci. A questo proposito va segnalato che uno dei gestori patrimoniali, colui che indicava i bonifici da effettuare, era stato indagato e nei suoi confronti è stato emesso un decreto di abbandono cresciuto in giudicato.
La sentenza è prevista per il prossimo 19 aprile.