Locarnese

L’insidia del fuoco che corre sottoterra

Roland David, capo della Sezione forestale, spiega dinamica ed effetti degli incendi di bosco - Intanto il vento continua ad alimentare le fiamme
Dal pendio di Sasso Fenduto continua ad alzarsi un denso fumo, che si scorge a tratti da tutto il Locarnese (foto Rescue Media)
Barbara Gianetti Lorenzetti
Barbara Gianetti Lorenzetti
03.01.2019 16:50

LOCARNESE - Il fuoco non dà tregua ai boschi del Locarnese e le fiamme continuano a divampare sui due versanti di Sasso Fenduto, sopra a Riazzino, e di Ronco sopra Ascona. Se i pompieri sono i dottori del pronto soccorso – chiamati ad intervenire nelle situazioni d’urgenza -, la Sezione forestale è una sorta di medico di famiglia, che garantisce la cura costante delle aree boschive ticinesi. Fondamentale, dunque, la collaborazione fra le due entità per la riuscita delle operazioni di emergenza. «In effetti – conferma al Corriere del Ticino Roland David, responsabile dell’organismo cantonale – i principi di lotta agli incendi prevedono un coordinamento fra noi e i vari Corpi attivi al fronte». Questo sia perché i funzionari forestali dispongono di una fondamentale conoscenza del territorio sia perché è Bellinzona a realizzare le infrastrutture destinate coadiuvare il lavoro dei pompieri. «Nel caso di Sasso Fenduto, ad esempio, – spiega ancora David – per il rifornimento degli elicotteri si sta facendo capo al laghetto di Ditto, concretizzato proprio a tale scopo». Nei cassetti della sezione cantonale si trova poi anche un catasto dei boschi, indispensabile per indirizzare le operazioni sul terreno. In buona sostanza, in un’area colpita da un rogo possono trovarsi boschi più importanti di altri, in particolare per la loro funzione di protezione dai pericoli naturali. In base a tali priorità i forestali coordinano l’attività dei pompieri, indicando quali zone sono da preservare maggiormente per la loro funzione di tutela di abitati, strade e infrastrutture dall’erosione superficiale, da frane o da cadute di massi. Infine, è sempre il Cantone ad avere una convenzione con le ditte che mettono a disposizione gli elicotteri per i lanci d’acqua.

Da sapere, poi, che gli incendi di bosco possono essere molto diversi uno dall’altro. I più insidiosi, per certi versi, sono quelli, diciamo così, sotterranei. «Spesso generati da fulmini durante i temporali estivi – chiarisce ancora il capo della Sezione forestale –, si diffondono sotto la superficie del suolo, attaccando l’apparato radicale delle piante. Non generando praticamente fiamme, sono forse i meno impressionanti, ma molto difficili da domare e particolarmente dannosi, perché non danno scampo al bosco». Vi sono poi gli incendi radenti, che si sviluppano per lo più in giornate ventose come queste. «La loro velocità di passaggio – spiega il nostro interlocutore – fa sì che spesso gli alberi vengano solamente ‘scottati’ e vi sono varie specie in grado di resistere e di riprendersi una volta passato il rogo. I_loro effetti concreti si possono valutare solamente nell’arco di due o tre anni». Quelli che stanno divampando nel Locarnese parrebbero essere un’insidiosa combinazione fra questi due tipi di rogo. «Ciò spiega il fatto che il fuoco – chiarisce David –, sempre vivo sottoterra, tende a divampare nuovamente a ogni ripresa del vento».

Infine vi sono i cosiddetti incendi di corona, come quello – devastante – sviluppatosi a Osco nel 2017. In quei casi la violenza del fuoco non risparmia nulla e sul terreno rimangono solamente scheletri anneriti. «Per rimediare – prosegue il capo della Sezione forestale – l’unica misura di ricostituzione possibile sono nuove piantagioni». Diverso il discorso per gli altri tipi di rogo, «dopo i quali si valuta l’evoluzione del bosco per un certo periodo, in modo da capire quali siano stati i danni effettivi. Solo successivamente si interviene in modo mirato».

Le aree che stanno andando in fumo in questi giorni sono costituite – come la maggior parte dei boschi frondiferi ticinesi – da castagni, querce e faggi. «Ma negli ultimi anni – conclude David – a causa del riscaldamento climatico, dobbiamo far fronte ad un nuovo problema: quello delle neofite invasive». Soprattutto ailanto e, talvolta, palme, che tendono a riprendersi più velocemente delle specie autoctone dopo gli incendi, ma che non garantiscono la stessa funzione protettiva.