Processo

L’omicidio di Gordola torna in un’aula penale

Dal 19 gennaio la Corte d’appello ripercorrerà la morte di un 44.enne impiegato momò colpito al collo da un 23.enne condannato a cinque anni per delitto colposo
L’uscita della Rotonda di Gordola dove nel 2017 morì un 44.enne colpito da un 23.enne ex karateka. © CdT/Zocchetti
Mauro Giacometti
09.01.2021 06:00

Fu omicidio colposo o intenzionale? L’uccisione del 44.enne impiegato del Mendrisiotto il 22 aprile 2017 all’uscita della discoteca La Rotonda di Gordola da parte di un 23.enne che lo colpì al collo nelle concitate fasi dell’uscita dal locale,torna ad occupare le cronache giudiziarie. Come già ampiamente annunciato da accusa e difesa nel corso del primo dibattimento, la Corte d’appello si dovrà pronunciare sulla sentenza di condanna a cinque anni di reclusione per l’imputato emessa dal Tribunale penale nel maggio del 2019. Da martedì 19 gennaio, dunque, nell’aula magna Odun del Centro formazione della Polizia cantonale a Giubiasco, davanti alla Corte presieduta da Giovanna Roggero-Will (giudici a latere Rosa Item e Francesca Lepori Colombo), si ripercorreranno quei tragici fatti che portarono alla morte prematura di un padre di famiglia al termine di una spensierata serata passata con gli amici in discoteca.
Preso alle spalle

La vittima, come appurò l’inchiesta del procuratore pubblico Arturo Garzoni che nel primo procedimento penale chiese 12 anni di carcere per l’imputato, fu travolta e colpita alle spalle dal giovane, di origini albanesi, nato a Bellinzona ed ex karateka professionista. Un colpo solo, inferto improvvisamente e alle spalle, che provocò la caduta del 44.enne verso il cancello che sbarrava l’uscita ma soprattutto l’estensione e la torsione del collo con la conseguente lacerazione dei vasi cervicali e quindi l’emorragia cerebrale che non diede scampo all’uomo. Secondo Garzoni, la natura violenta e la propensione alla rissa dell’accusato - che oltretutto negli ultimi tempi si era «affiliato» ad una banda albanese, professionisti del crimine e pericolosi - furono le premesse dell’omicidio. Anche se, come emerse in aula, i due non si conoscevano e nemmeno si affrontarono quella sera in discoteca, seppure, come raccontarono alcuni testimoni, in almeno altre sei occasioni il 23.enne venne alle mani nel locale.
I dubbi della difesa

Il suo avvocato difensore, Yasar Ravi, nel chiedere il proscioglimento del suo assistito dal reato di omicidio intenzionale, ipotizzò durante l’arringa che il 23.enne fosse completamente estraneo ai fatti, gettando invece una pesante ombra sul comportamento del capo degli agenti di sicurezza della discoteca durante le concitate fasi dell’inseguimento e della cattura del karateka che uscì di corsa, travolgendo tutti, all’inseguimento dell’ex fidanzata con la quale aveva avuto un alterco nel locale: «L’altro testimone, amico del 44.enne e che ha sempre parlato di una spallata e non di un pugno inferto alla vittima, non riconobbe il mio assistito nelle foto segnaletiche, ma anzi fornì una descrizione fisica e dell’abbigliamento che corrispondeva proprio al buttafuori», disse Ravi. Tesi però respinta dalla Corte di primo grado che non ebbe dubbi nell’individuare nel 23.enne l’autore del pugno letale, anche se «non aveva intenzione di uccidere, pur agendo in maniera proditoria, colpendo l’uomo per farsi largo e raggiungere l’ex fidanzata all’uscita», disse il giudice Amos Pagnamenta nella lettura del dispositivo di condanna a cinque anni dell’imputato. Al «picchiatore» fu dunque inflitta la massima pena per omicidio colposo, tre anni, più due anni per spaccio e consumo di droga.

Lo sfogo della vedova
Nel maggio 2019 la vedova del 44.enne impiegato assistette a tutto il processo accanto al suo patrocinatore, l’avvocato Diego Olgiati. Al momento della sentenza e nonostante la Corte riconobbe a lei e ai suoi due figli 150 mila franchi di risarcimento per torto morale, la donna manifestò tutta la sua rabbia per il fatto che chi aveva ucciso il suo congiunto uscisse dall’aula ancora libero. Il 23.enne, infatti, dopo aver trascorso quattro mesi di carcere preventivo fu scarcerato in attesa del processo e anche dopo la condanna, in vista dell’appello, rimase a piede libero.