«Lugano, adesso cura la tua immagine»

MUZZANO - «Meno trenta» è un libro fresco di stampa che sta facendo parecchio discutere. Tra le sue pagine l’autore – l’imprenditore Stefano Artioli (padre fondatore del Gruppo Artisa, oggi in mano al figlio Alain) – ripercorre quelli che secondo lui sono i principali problemi del Ticino e, in particolare, di Lugano. Una città che per Artioli, e lo si capisce fin dal titolo, ha perso 30 anni rispetto agli altri grandi centri elvetici.
Perché ha sentito il bisogno di scrivere un libro?
«In primo luogo per il grande attaccamento che ho per il Ticino, l’amore per questa terra è tanto quanto quello che si può avere per un figlio. Per me è fin facile dirlo, ho vissuto il cantone in lungo e in largo facendo l’imprenditore e seguendo quella che mi piace descrivere come l’Università della strada, varcando molte porte, da quelle dei clienti alle istituzioni. Lugano vive un’era di grande sofferenza e noi imprenditori e cittadini dobbiamo risvegliare tutti per cambiare il nostro paese. Ma perché non abbiamo fatto i giapponesi? Loro sono stati in giro nel mondo e hanno fatto una raffica di fotografie, prendendo esempio e trovando idee altrove per progredire. Giriamo troppo poco, siamo ripiegati su noi stessi. Allora, dico, facciamo i giapponesi, andiamo a prendere esperienze forti e portiamole qui, senza credere di essere i migliori e peccare di immobilismo. A Zurigo ci sono 5.000 persone portate da Google, sono nate start-up di spessore».
Abbiamo avuto la vita troppo facile?
«Per anni tutto è stato facile e la finanza allegra. Arrivava molto denaro, tutti ne hanno goduto e oggi è finita. È come prendere la sbornia una sera, svegliarsi con un gran mal di testa e il pomeriggio riprendi a ragionare. Oggi ci troviamo alla mattina, dobbiamo fare un passaggio, capire come risolvere i problemi che oggi non ci rendono dinamici, propositivi e senza tutte le lungaggini e litigi che sfociano in opposizioni».
Un riscatto in grande stile?
«Pensiamo a mantenere da noi ciò che abbiamo di valore, penso ad esempio alla ricerca, dobbiamo investire, non solo pensare che dobbiamo risparmiare».
In sostanza abbiamo avuto eccessiva ricchezza a soffriamo per questo?
«Lugano ha perso 30 anni. Se giriamo la Svizzera e paragoniamo alcune realtà simili, si vede che oltre San Gottardo sono molto meglio equipaggiati e hanno sviluppato temi che da noi sono d’attualità solo ora: la viabilità lenta e il verde, per esempio. L’effetto denaro facile, il Ticino come spallone dell’Italia, ha facilitato la vita a tutti e chi ha avuto qualche franco in tasca, invece di investire qui, ha preso la villa a St. Tropez. Ci è mancata la sensibilità per capire che in prima battuta occorre investire qui, a Lugano. Faccio un esempio: in un posto fantastico abbiamo ancora tre palloni gonfiati (ndr. al Lido per la piscina e il tennis). Per non parlare del Centro esposizioni, mi sono vergognato facendo entrate amici imprenditori. Neppure nei paesi dell’Est ne trovi nello stato del nostro. Tutte infrastrutture che mancano, anche quelle sportive per il cittadino, e non parlo di stadio, ma di infrastrutture per il cittadino per fare sport tutti i giorni».
Lei ha affermato che grazie ai suoi contatti potrebbe investire 500 milioni di franchi. Quale sarebbe il primo intervento che farebbe?
«Curerei l’immagine, il lungolago. Noi ci passiamo tutti i giorni ci siamo abituati e tendiamo a non più vedere tutto quello che non va. Analizzarlo significa giungere alla conclusione che è una cartolina maltrattata: zone con bidoni, strutture in legno, pontili arrugginiti, Toi-toi, semafori provvisori e asfalto. Un’assurdità. Tutto quel viale dovrebbe avere una piazza di 3.000-4.000 metri sul lago, dovrebbe essere in pietra, valorizzato, il biglietto da visita della città, del cantone, e di Lugano. Da 30 anni se ne parla senza concludere nulla».
Lei lo renderebbe pedonalizzato?
«Il lungomare di Napoli, spettacolare, è pedonalizzato. E parlo di Napoli. Noi denigriamo spesso alcune realtà e città italiane, dimenticando com’è casa nostra. Via assolutamente il traffico, va rivisto l’arredo, compresa la riva che oggi è un’oscenità unica. Riprendiamo in mano tutto e riformiamo tutto a corto termine, al massimo in 3-5 anni. Non di più».
Campo Marzio e Polo sportivo, lei da imprenditore non ha partecipato. Perché?
«Perché non ci credo e perché la formula portata avanti dall’autorità è pura utopia. Questi due poli non vedranno mai la luce così. Ed è sbagliata anche tutta la progettualità del Centro sportivo. Assurdo è poi pensare di portate lì gli uffici del Comune svuotando il centro. Non siamo New York, il servizio comunale per i cittadini deve restare nel centro città, come aggregatore di servizi e della comunità. Perdere questo valore significa creare cattedrali nel deserto, abbiamo già perso i nostri bar, quelli dove trovavi gli amici per raccontare una barzelletta».
I cittadini eleggono, quindi delegano, compiti ai politici. Danno loro fiducia. Se tutto non va significa che i politici luganesi si sono dimostrati incapaci?
«In primo luogo io mi rivolgo alla società e ai cittadini, sarebbe fin troppo facile oggi sparare sui politici. Questo è il giochetto che fanno i partiti tutti i giorni e per me non serve a nulla. Bisogna fare in modo che la gente attiva e dinamica ritorni a fare. Un paese che si risveglia e che desidera contribuire al cambiamento epocale».
Tutta colpa di chi ha permesso che il segreto bancario finisse picconato?
«Anche questa è la logica di prendersela con qualcuno e non è la mia. Il decadimento del segreto bancario ha stravolto Lugano ma non Zurigo. Questo perché loro erano gli ingegneri della finanza, in Ticino c’erano invece gli spalloni della finanza. La differenza è abissale: a Lugano se vuoi costituire un fondo te lo vendono, a Zurigo lo sanno costruire».
Ma è compatibile il suo intervento deciso e rivoluzionario con la permanenza della classe politica attuale?
«I politici attuali sono brava gente, li conosco tutti e sono amici. Sostanzialmente oggi il politico tende a sopravvivere perché mettersi d’accordo in tre è già arduo e considerate che dietro i partiti c’è il vuoto. Ecco perché dobbiamo metterci in gioco: il PLR fatica a trovare candidati, come pure la Lega, mentre il PPD non incide. Occorre fare capire che bisogna risolvere i problemi».
Ma molte persone attive e dinamiche stanno alla larga dalla politica. Perché?
«Ma chi lo fa fare loro? Bastano due teste calde in Consiglio comunale e va tutto a ramengo. È il sistema ad essere sbagliato perché impedisce la continuità a la progettualità».
Sgombriamo il campo da un potenziale equivoco. Lei non fa e non farà mai politica?
«No, mai. Ma io posso aiutare la politica per dare una dinamica pubblico e privato».
Ci vuole una distinzione netta dei ruoli?
«Certo, al pubblico spetta fissare le regole, al privato trovare il capitale, sviluppare e fare in modo che tutto diventi più competitivo possibile».
Chi sono gli amici politici di Stefano Artioli?
«Come ho detto sono tutti amici, liberali radicali, leghisti e popolari democratici. Tutti».
Socialisti compresi?
«I socialisti li frequento meno. Stento a capire le ideologie, ho amici PPD più liberali dei PLR. Va fatto un cambiamento, basta ideologie e avanti tutta con i programmi. Io potrei essere un leghista per certi aspetti e un PPD perché qualche volta vado a messa la domenica. O un liberale, ma libero per davvero di spirito».
Potrebbe essere anche un verde?
«Cosa vuole dire verde? È un’onda che molti cavalcano per convenienza. Il verde fa parte della nostra natura e a me piace eccome andarci a spasso. A Lugano, ad esempio, nel nuovo comparto di Cornaredo abbiamo promosso il bosco di Trevano per creare un parco, questa è la mia sensibilità».
Va bene per Cornaredo, va bene parlare del bosco che avanza, ma in altre realtà lei è stato un cementificatore del territorio. Oppure no?
«In tutto questo c’è un errore di fondo. Prima di tutto in Ticino abbiamo un parco immobiliare vetusto e le classi meno abbienti vivono in appartamenti indecenti ancora senza doppi servizi. Palazzi per i quali non viene speso un centesimo in manutenzione e rinnovamento perché costruiti con i soldi allegri delle banche. Fatti e riempiti a livello popolare allo scopo di non toccare una vite per anni».
Quindi lei nega di essere un cementificatore?
«L’operazione intelligente è abbattere il vecchio per sostituirlo con un edificio nuovo, facendo in modo di offrire il top del confort, cercando di fare un’edilizia più vicina al cittadino. Io sto progettando appartamenti a pigione moderata a Lugano. Non perché io sia socialista, ma un giorno una cassiera ha visto la mia auto e mi ha detto che ero fortunato, mentre lei, si era trovata con un marito scappato di casa e 2.500 franchi al mese: in 30 anni nessuno ha pensato che c’è chi ha necessità e va aiutata. Mentre c’è chi ha proposto cose folli, appartamenti a pigione moderata con vista lago. I socialisti a Zurigo sono imprenditori. Zurigo è in mano ai socialisti, ma hanno le idee in chiaro».
Ma allora si impegna a non occupare più spazi verdi, terreni con margherite e primule?
«Adesso non sarà colpa di Artioli. Sono i pianificatori che hanno sbagliato almeno mezza Lugano. Ma vedete l’orrore di Pregassona: palazzo-asfalto, palazzo-asfalto e d’estate è un caldo asfissiante. Ma che visione è questa? Bisogna verticalizzare e lasciare il verde. Questo vale per il centro, ovviamente non in periferia e nei paesini. L’errore è continuare a dire R2, R3 e R4. Ci sono posti dove occorre verticalizzare e basta. Non è la verticalizzazione che rovina il territorio. Gli ecologisti sono stati deboli, solo ora si sono accorti».
Il suo modello oggi è Zurigo?
«Non è questione di modello, ma di fare in modo che le cose funzionino. Chi vive nel centro, quando esce, vuole trovare parchi e verde e a Lugano. Lugano è stata svuotata per fare contenitori con dei caveau dove mettere oro e opere d’arte. Ora i caveau sono vuoti e dobbiamo tornare a rispettare il principio della città. Una città non è arrivo, lavoro e scappo. Zurigo è un punto di cultura, di incontro e di aggregazione. Direi di piacere. Lugano, purtroppo, no. L’abbiamo snaturata».
E del commercio cosa ne facciamo?
«Questo è il punto centrale, ridare spazio al pianterreno ai piccoli commerci, il furmagiatt e il panettiere, ovviamente non a 6.000 franchi al mese d’affitto. A Zurigo queste realtà ci sono e sono previste pigioni commisurate al commercio che fai».
Veniamo al termine «opposizione», ovvero quelli che mettono i bastoni tra le ruote a chi vuole costruire. In Ticino sono in tanti?
«Certo ed è un grosso problema».
Ci credo, lei punta a costruire, non a farsi dettare i tempi dai vicini. Ma opporsi è o non è lecito?
«Diciamo che c’è un eccesso di democrazia. In Italia non si possono fare opposizioni pretestuose se quanto proponi è nelle regole, a meno di raccogliere una marea di firme. In Svizzera interna il meccanismo è come il nostro, ma le opposizioni non arrivano. Semplicemente perché rispettano il processo. Dicono in sostanza che se il Municipio e l’autorità ha detto sì, non si oppongono. Hanno fiducia nelle autorità».
E qual è la sua esperienza in Ticino?
«Chi presenta ricorso cerca un beneficio. Non guardano neppure cosa hai previsto».
Lei ha pagato per sanare situazioni ricorsuali?
«Pagare è un brutto termine, sembra di parlare di una sorta di prostituzione».
Dica lei allora cosa ha fatto.
«Può capitare che il vicino sollevi un problema con il muro di cinta e chieda un posteggio per i figli che passano a salutarli o magari per mettere l’auto d’epoca».
Parliamo di un compromesso per oliare il meccanismo?
«Sempre si tratta di un compromesso. Non c’è domanda edilizia che vada liscia. In Ticino è così».
Ma lei che tanto considera il cittadino, gli riconosce un po’ il ruolo di sentinella quando il sistema magari non si accorge di uno svarione?
«Può capitare, ma sono eccezioni. Gli uffici tecnici comunali in realtà sono spaventati e bloccano tutto. E questa è un po’ la filosofia che imperversa in Ticino a molti livelli. Mettiamo il collegamento con Locarno: in nome di non capisco bene quale verde ed ecologia, sono riusciti a bloccare per 30 anni una strada veloce a vantaggio di colonne, inquinamento e tubi di scarico, creando un traffico selvaggio. Questa è ipocrisia allo stato puro. Ma come può pretendere il Ticino di fare passi in avanti?».
Da dove consiglia di ripartire?
«Dal cuore, vogliamo bene alla nostra Lugano e al Ticino. E facciamo qualcosa di bello, non portiamoci più in casa aziende scatolone, portiamoci anche società piccole ma con grandi contenuti e diamo spazio all’intelligenza, alla creatività al valore aggiunto. Oppure portiamo un nuovo Politecnico a Lugano. Nel mio futuro c’è questo, intendo dare il mio contributo».