Lugano è anche «povera»

Immaginate di ritrovarvi senza portamonete. Sparito. Smarrito o rubato? Cercate in tutte le tasche a vostra disposizione, ma niente. Mossi da un’ansia sottile vi mettete sulle tracce del borsellino perduto...
Centro sociale Bethlehem
Porza. Casetta Gialla. Ore 12 di una giornata qualsiasi. L’appuntamento è con fra Martino Dotta, frate cappuccino, operatore sociale, direttore della Fondazione Francesco, che opera in modo capillare sul territorio, vocata all’imitazione della vita e delle azioni di San Francesco, di Cristo. Siamo qui per vedere, per parlare di chi il portamonete non l’ha più, non l’ha mai avuto o, pur avendolo, fatica ad arrivare alla fine del mese. Colazione dalle 8 e 30. Possibilità, per chi non ha un alloggio di fare la doccia e il bucato. Tra le ore 11 e le 12 gli utenti possono ritirare un pasto gratuito: «Un servizio che offriamo da un anno a questa parte – osserva fra Martino – con esiti altalenanti. In certi giorni abbiamo raggiunto anche 60 porzioni». Per una media che si attesta sulle 30 porzioni giornaliere distribuite. Ta le 12 e un quarto e le 13 presso il Centro Bethlehem e in misura limitata si può pranzare anche all’interno. «Garantiamo inoltre in ogni momento la presenza di operatori sociali per offrire a chi lo richiede una consulenza sociale di base. La nostra rimane comunque una struttura di bassa soglia, non garantisce pertanto una presa a carico come può essere un servizio sociale comunale o cantonale». Uno spazio di socializzazione aperto a tutti come ci spiega fra Martino: «A nessuno chiediamo di identificarsi o di giustificare la propria presenza». Qui si incontrano «persone che a volte hanno difficoltà economiche, dovute alla mancanza di lavoro o a una rendita insufficiente, ma anche persone sole, che frequentano il Centro solo per trovare un po’ di compagnia».
«Arrivare alla fine del mese»
Oltre all’aiuto legato all’alimentazione, all’igiene personale e all’ascolto attuati alla Casetta Gialla, fra Martino dirige la Fondazione Francesco, un fondo di solidarietà che interviene in casi di emergenza finanziaria. «Ci occupiamo di fatture scoperte, che saldiamo sulla base di una piccola indagine sulla persona o sul nucleo famigliare.
Cosa ho riscontrato? Un aumento preoccupante dei nuclei famigliari in difficoltà. Diverse situazioni di persone attive nel campo della ristorazione e che con le chiusure delle attività dovute alla pandemia non ce la fanno a coprire le proprie necessità. Oltre a fatture legate all’alloggio e alla sanità, ci è capitato di ricevere richieste d’aiuto per l’acquisto di computer perché i figli dovevano seguire le lezioni scolastiche da casa».
Poveri economicamente, ma belli umanamente, parafrasando il titolo di un film neoralista di Dino Risi del 1957. Fra Martino è realista: «Purtroppo, spesso una difficoltà tira l’altra; i problemi economici talvolta creano tensioni all’interno del nucleo famigliare, sfociando in separazioni, litigi tra genitori e figli, che possono portare a forme di isolamento e autoisolamento, che la pandemia ha esacerbato». «Ci sono persone – osserva il direttore della Fondazione – che tuttora hanno paura a uscire di casa, non solo per il contagio, ma anche perché si sentono inadeguate rispetto ai modelli sociali che vengono presentati».
Ricette facili non ve ne sono
Come fare, per cambiare questo stato di cose? «Credo sia importante che ognuno faccia la sua parte coltivando attenzione per l’altro, per il proprio vicino di casa, il conoscente o il parente in difficoltà», commenta fra Martino. «A livello collettivo dobbiamo chiedere alla politica un’attenzione maggiore per le fasce più deboli, persone che attualmente più di altre stanno soffrendo le conseguenze della pandemia e le limitazioni che essa comporta. Credo che sia necessaria una riflessione collettiva, magari facendo un passo diverso rispetto ai tamponamenti che finora propone il nostro sistema sociale. Se vogliamo affrontare in modo costruttivo la sfida della pandemia e della crisi economica e sociale che ne è seguita, dobbiamo serrare i ranghi e chiedere a ogni attore di assumere la sua parte fino in fondo».
Come angeli custodi
Nel nostro percorso di perlustrazione sulle tracce della ‘povertà nascosta’, raggiungiamo un crocevia nevralgico: la stazione di Lugano, dove ci imbattiamo in un uomo addormentato su una panchina, coperto da fogli di giornale. Poco distante, divisa rossa e basco blu, l’emblema dei City Angels - l’associazione di volontari di strada operativa a Lugano dal 2014 e a Chiasso dal 2018 - quasi a vegliare su di lui, Giuseppe Modica, presidente e coordinatore della sezione di Lugano.
«È da quando siamo attivi sul territorio che incontriamo la povertà, ma con questa pandemia la frequenza degli incontri è aumentata». Una cartina di tornasole, le azioni promosse unitamente ad altre benemerite associazioni operative in città. «Per Natale e per Pasqua abbiamo consegnato a una settantina di famiglie beni di prima necessità». La punta di un iceberg di fragilità? «Molti non chiedono aiuto, rimangono nascosti, magari per pudore o perché temono di essere visti come dei falliti». «Proprio per questo - osserva Giuseppe Modica - abbiamo l’intenzione di realizzare nella nostra sede in fase di ampliamento un luogo d’ascolto in cui le persone possano venire a parlare con un interlocutore formato che non darà consigli, non formulerà giudizi, ma dialogherà con gli utenti per aiutarli a trovare una soluzione, per far capire loro che non sono soli».
Lo sguardo della Città
La nostra breve incursione nel mondo di coloro che sostengono le persone in difficoltà termina in Municipio, dove incontriamo Marco Borradori, con il quale, da un ideale promontorio osserviamo la parte meno visibile della città. La conosce bene anche chi la amministra, confrontata giornalmente con problemi di... portamonete. Con il sindaco, attacchiamo il discorso riferendoci allo studio commissionato dalla Città inerente alla «situazione socioeconomica della popolazione a Lugano» reso pubblico a fine marzo, che segnala come nel 2020 «solo il 5% dei nuclei abitativi non raggiungeva il fabbisogno minimo vitale». «Solo il 5%», che senza interventi statali salirebbe al 18,6%, oltre 4.900 nuclei abitativi. Quasi 1 nucleo su 5 a Lugano senza sostegni statali vivrebbe nell’indigenza. Una cifra per certi versi raggelante. Cosa ne pensa il sindaco? «Non posso che concordare. Se Lugano rimane un polo cantonale trainante, la città non può prescindere dal guardarsi anche dentro. Non può non vedere che ci sono sacche di povertà, fragilità, che vanno considerate e per le quali è necessario vengano attuate tutte le misure possibili». «In questo senso, le attività di fra Martino e di tutte le associazioni che operano sul territorio dimostrano come sia indispensabile avere persone che sappiano misurare la temperatura della situazione sociale della città, persone preziose». Una Città da parte sua molto attiva su questo fronte - si pensi a LuganoNetWork, al Servizio di accompagnamento sociale, al Servizio di prossimità a sostegno dei giovani o alla nuova iniziativa di Spazio Lavoro. «I servizi della Città stanno sempre più raggiungendo l’utenza, sovente riluttante a chiedere aiuto - osserva Marco Borradori - ma se è vero che la rete opera in modo proficuo ciò non toglie che purtroppo vi siano molte persone a doverne avere bisogno».