Il caso

Lupo, «il tempo dei dibattiti è finito»

Il Dipartimento della sicurezza vallesano lunedì ha ordinato l’abbattimento di un esemplare che ha ucciso 28 capi in un allevamento protetto – E il Ticino? La decisione del Consiglio di Stato è attesa per oggi

«Fino a pochi anni fa, uno degli allora consiglieri di Stato vantava, nel suo ufficio, un lupo impagliato. Quasi come un trofeo. Ecco, oggi non potrebbe più farlo. E infatti quel lupo è finito in un museo». L’ex consigliere di Stato in questione, vallesano, è Jean-René Fournier. E il lupo? Era stato ribattezzato ironicamente «Effetto sospensivo». Sì, perché nel 2006 Fournier ne aveva ordinato l’abbattimento malgrado l’effetto sospensivo (eccolo!) automatico legato ai ricorsi e nonostante una sentenza del Tribunale cantonale che gli intimava di rispettare tale sospensione. Il lupo del Chablais venne quindi abbattuto. E lo stesso Fournier venne riconosciuto, anni dopo, colpevole di violazione della legge federale sulla caccia. Un aneddoto che racconta di un’altra epoca. «Oggi non potrebbe più succedere», ribadisce Gilles Berreau, esperto redattore del «Nouvelliste».

L'ultimo caso

Davvero non potrebbe più succedere? Come è cambiato il Vallese attorno alla questione del lupo? Lo chiediamo a Frédéric Favre, attuale consigliere di Stato vallesano, responsabile del Dipartimento della sicurezza, delle istituzioni e dello sport, liberale radicale. Proprio lui ha ordinato - notizia di lunedì - l’abbattimento di un lupo nella regione di Schattenberge-Augstbord, nell’Alto Vallese, dopo che lo stesso ha ucciso 28 capi introducendosi in un allevamento protetto. «Non si possono paragonare le due epoche. E ciò per più motivi. Il più importante riguarda il numero di lupi in Vallese. Ai tempi, in Svizzera, si contavano pochi esemplari. Oggi, nel solo Vallese, ne abbiamo oltre cinquanta. In questo quadro, le leggi federali si rivelano inadatte per gestire una presenza tanto importante», spiega Favre. E Berreau conferma: «Oggi non è più una questione legata al “lupo cattivo”, a un’ideologia, bensì alle leggi. Ma il dibattito tra pianura e montagna rimane comunque acceso. Il Consiglio di Stato, oggi, pur avendo nei singoli sensibilità diverse, si mostra piuttosto compatto. Non filtrano divisioni». Un Governo compatto? Favre taglia corto: «La decisione di abbattere i lupi spetta al capo della Sicurezza, è una responsabilità che compete esclusivamente al Dipartimento. Poi, certo, il dossier è importante e viene seguito con attenzione».

Chiediamo a Berna strumenti più efficaci per gestire i lupi a livello cantonale, così come gestiamo altre specie
Fédéric Favre, consigliere di Stato vallesano

L'efficacia degli strumenti

La storia del lupo in Vallese si snoda tra più epoche, diverse tra loro. «Ricordo quando il lupo arrivò nel Chablais - spiega Berreau -. A quell’epoca, di fronte alle prime predazioni, l’opinione pubblica si oppose con forza al lupo. Un fronte molto aggressivo, al punto che alcuni lupi sparirono anche attraverso metodi non autorizzati. Il lupo tornò poi in Vallese, probabilmente dall’Italia, nella parte tedesca del cantone, e nel frattempo le mentalità erano cambiate. Già, oggi il fronte non è più così unito contro il lupo. E abbiamo così due cantoni: quello di pianura, con paesi che sono cresciuti in maniera esponenziale rispetto alla prima epoca e quindi con una popolazione più attenta a determinate sensibilità, e quello di montagna - e in Vallese abbiamo molte valli laterali - dove le persone sono più vicine alle preoccupazioni degli allevatori». Lo stesso Favre riconosce due diverse concezioni del problema. Ma la questione, dal suo punto di vista, è un’altra. E si torna al concetto di gestione del predatore. «Il dibattito pro o contro il lupo è terminato. Il lupo c’è, e quindi dobbiamo gestirlo a livello cantonale. E qui nasce il problema: non abbiamo i mezzi per farlo. In questo senso chiediamo alla Confederazione strumenti più efficaci per gestirlo, così come gestiamo altre specie . È necessario regolare la presenza del lupo. Lo ripeto: il tempo dei dibattiti è terminato». Tutti possono constatare i danni che fanno i lupi, sottolinea Favre. «Quando ce ne sono troppi, bisogna poter agire efficacemente, evitando il peggio».

Un compromesso

Una posizione forte, quella di Favre, distante dalla prudenza che ritroviamo altrove, anche in Ticino. È solo una questione di numeri? «Capisco la prudenza e teniamo conto di varie sensibilità», spiega ancora il consigliere di Stato vallesano. «Gran parte della popolazione è pronta ad accettare la convivenza con il lupo, ma servono gli strumenti per gestire tale convivenza. Non avendo questi mezzi, si ottiene, sul tema, una polarizzazione ancor più marcata. Se ci dessero gli strumenti, se venissero finalmente adattate le basi legali, raggiungeremmo più facilmente un compromesso soddisfacente per tutti».

I media, anche in Vallese, tendono a mantenere un atteggiamento informativo, senza prendere per forza una posizione. «Abbiamo seguito anche i volontari che aiutano i pastori di notte, negli alpeggi, a tenere lontani i lupi - racconta Gilles Berreau -. È un fatto nuovo, questo, che lascia alcuni interrogativi sull’efficacia e sulla tenuta sul lungo periodo. La gente di montagna dice: quella è gente di pianura che viene a spiegarci come si fa, ma si stancheranno in fretta. Altri invece, dalle città, ironizzano: grazie ai volontari, gli allevatori possono dormire belli tranquilli». Strumenti alternativi di gestione del problema? Per Frédéric Favre è difficile ragionare oltre l’abbattimento dei grandi predatori, viste le cifre. «Sarà complicato non abbattere un certo numero di lupi, se tanti allevatori sono coinvolti nella problematica».

© CdT/Chiara Zocchetti
© CdT/Chiara Zocchetti

Ticino, oggi la decisione?

«Lavoro mica tutto l’anno per dare da mangiare al lupo». Marco Frigomosca non si dà pace. Dopo le predazioni del 26 aprile - le cui carcasse, in segno di protesta, sono state depositate davanti a Palazzo delle Orsoline - dal suo allevamento di Cerentino sono sparite altre quattro capre. «È successo tre giorni fa», spiega al CdT Frigomosca. «L’Ufficio caccia e pesca è stato informato. Non ho le prove, ma il lupo l’altra sera era ancora lì, che si aggirava sopra il gregge». Dopo la predazione di fine aprile, per l’allevatore valmaggese si tratta dell’ennesimo agguato. L’ultimo di una serie: «Un mese prima il lupo mi aveva già predato 4 capre». Davvero troppe, per Frigomosca: «Non capisco perché il Consiglio di Stato temporeggi. Le condizioni per l’abbattimento mi sembrano ampiamente date».

A una settimana esatta dalla richiesta di ulteriori approfondimenti giuridici, la comunicazione del Consiglio di Stato potrebbe giungere in giornata. In quest’ottica, potrebbero rivestire un certo peso le conclusioni della Sezione dell’agricoltura che, stando a nostre informazioni, avrebbe stabilito la «non proteggibilità» del gregge di Cerentino. Ossia, l’allevatore, anche volendo, non avrebbe potuto attuare le misure di protezione che vengono richieste come requisito per valutare l’abbattimento dell’animale. Ricordiamo, infatti, che il legislatore federale prevede l’abbattimento del lupo sole se questo ha predato più di dieci capi in quattro mesi e a patto che l’allevatore abbia adottato «misure di protezione ragionevolmente esigibili». Con la non proteggibilità il criterio delle reti viene a cadere e quindi - per l’ordine di abbattimento - fa stato solo il numero delle predazioni.

«Il rapporto della Sezione dell’agricoltura del DFE era sul tavolo del Consiglio di Stato nei giorni successivi alla predazione del 26 aprile», commenta il presidente dell’Associazione per un Territorio senza Grandi Predatori, Armando Donati. «A Cerentino i funzionari del DFE sono passati il giorno della predazione. Dal 26 aprile, quindi, sapevano esattamente se il gregge era proteggibile o meno. Questa attesa, dunque, ci sembra davvero inspiegabile», conclude Donati.

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