«Ma chiudere tre valichi non ha nessun senso»

MENDRISIO - Trentadue anni da ufficiale, dei quali dodici quale comandante delle Guardie di confine in Ticino. Alla criminalità transfrontaliera Fiorenzo Rossinelli dà del «tu». Residente a Ligornetto, a poche centinaia di metri dalla dogana con l’Italia, conosce bene anche le dinamiche che legano intimamene il Mendrisiotto al tema della sicurezza. «La chiusura notturna dei valichi secondari? Il tema è molto complesso» mette subito in chiaro, quando lo raggiungiamo al telefono. «Egoisticamente parlando, quando a cavallo del 2000 la Guardia di finanza chiudeva tutte le dogane lasciando aperte solo le frontiere principali eravamo tutti più contenti» sostiene. «Di qua e di là dalla frontiera si dormivano sonni più tranquilli, mentre come guardie di confine ci potevamo concentrare sulle zone sensibili e in particolar modo a pattugliare i boschi».
Al contempo Rossinelli riconosce però che «i tempi ora sono cambiati, e anche parecchio». Basterebbe citare Schengen e la libera circolazione delle persone. «E capisce bene che per un fazzoletto di terra come il Mendrisiotto cambia dover fare i conti giornalmente con 20.000 o 50.000 frontalieri» ci dice. Sì perché per l’ex comandante delle guardie di confine ora «la questione non riguarda più solo la sicurezza, ma presenta molte altre sfaccettature, a partire dalla mobilità lungo il confine». È ovvio, prosegue, «che tutti, italiani e svizzeri, desiderano maggiore sicurezza. Allo stesso tempo è però impensabile credere che la Svizzera possa, unilateralmente, procedere a una chiusura notturna delle dogane minori. La controparte, alla luce dell’intralcio alla mobilità transfrontaliera, non accetterebbe mai». E qui veniamo al cuore del discorso. «Chiudere tre valichi – evidenzia Rossinelli – non ha nessun senso. Men che meno pensare che un progetto pilota simile possa fornire delle indicazioni attendibili». Se da un lato «è condivisibile la percezione soggettiva di una maggiore sicurezza», dall’altro «bisogna pensare al Mendrisiotto come un grande vaso pieno di buchi: se ne tappo solo alcuni di fori ne restano molti altri». Restando sul piano della metafora, aggiunge, «se proprio si vuole intervenire lo si faccia sistematicamente. Chiudendo la porta a chiave ma anche le finestre».
Detto ciò, ribadisce Rossinelli, «azioni d’imperio, non negoziate, nel 2019 non sono immaginabili. L’efficacia dei controlli passa dal dialogo e del coordinamento di tutti gli attori coinvolti. E in tal senso il sistema di pattuglie miste appena implementato può essere il principio di una risposta corretta da parte svizzera e italiana». Senza dimenticare, conclude, «il ruolo che in questo contesto gioca il Centro comune di cooperazione di polizia e doganale, costituito dai due Paesi proprio con l’obiettivo di contrastare la criminalità lungo il confine».