Molestie

«Ma quanto te la prendi, era solo una battuta»

Le donne bersaglio di frasi sessiste spesso faticano a ribattere, soprattutto sul posto di lavoro - La psicologa Torraco: «Le parole non sono mai neutre» - Marilena Fontaine: «I colleghi devono intervenire, anziché ridacchiare»
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Martina Salvini
25.11.2020 06:00

«Stai zitta, cosa vuoi saperne tu che sei una donna». «Come sei nervosa. Hai le tue cose?». Quante di noi, almeno una volta nella vita, se lo sono sentite ripetere. Sessismo, pregiudizi. Battutacce che spesso fanno ridere solo chi le pronuncia, mentre fanno sentire impotente chi le riceve. «Non si tratta di molestia conclamata, ma sono frasi di cattivo gusto che possono ferire la sensibilità di chi le sente, per il messaggio che veicolano. Sono frasi pronunciate spesso con troppa leggerezza, filtrate attraverso l’ironia, utilizzata in questo caso come meccanismo di difesa, figlie di un retaggio culturale obsoleto, di una visione del mondo che cozza profondamente con i cambiamenti sociali e culturali che stiamo vivendo», spiega Donatella Torraco, psicologa. Se molto è cambiato, alcuni fenomeni resistono. «C’è senz’altro una maggiore sensibilità negli ultimi anni. E paradossalmente questo rischia di innescare fenomeni controproducenti, creando un clima pesante all’interno del quale non è più lecito permettersi alcuna forma di inadeguatezza». Per favorire il cambiamento, per liberarci dagli stereotipi umilianti, serve anche «non scivolare nell’intolleranza».

L’amicizia e il lavoro

Per questo motivo, è fondamentale capire i contesti in cui viene pronunciata una battuta sessista. «Se un caro amico, in un clima di goliardia generale, si permette di fare dell’ironia inadeguata, questa può essere mal tollerata ma perdonata. Ci troviamo di fronte a una persona a cui vogliamo bene, di cui siamo più propense ad accettare i limiti. Possiamo essere insomma più disposte a metterla sul ridere». Molto diverso se avviene in ambiti differenti. «Se è il nostro datore di lavoro, ad esempio, a permettersi di fare una battuta sessista, non è accettabile, ma spesso fatichiamo a reagire per paura delle conseguenze. Invece è importante sollevare la questione, per riportare il clima in una dimensione di professionalità e di rispetto reciproco. Non soltanto per evitare in futuro di subire ulteriori denigrazioni, che possono anche cadere nella discriminazione pratica, ma anche per evitare che questo avvenga nei confronti delle nostre colleghe». Sì, perché come spiega Marilena Fontaine, già responsabile dell’Ufficio ticinese delle pari opportunità, «le allusioni sessuali, anche se pronunciate con leggerezza, se vengono percepite con fastidio diventano molestie». Qui entra in gioco la sensibilizzazione dei datori di lavoro, che devono intervenire per far sì che il clima di lavoro cambi. «Le aziende devono dotarsi di strumenti specifici, come la possibilità di segnalare in maniera anonima gli episodi di molestia». E i colleghi? «Possono avere un ruolo centrale – dice Fontaine -. Anziché stare zitti o ridacchiare, dovrebbero reagire o manifestare la vicinanza nei confronti di chi subisce la molestia verbale, magari incoraggiandola a segnalare questi atteggiamenti ai superiori».

La difficoltà di reagire

Chi è bersaglio di una battuta fuori luogo, spesso si blocca, non riuscendo a ribattere. E può subentrare un senso di inadeguatezza. «Chi subisce questi atteggiamenti spesso si sente in difetto», conferma Torraco. «Può derivare dall’educazione e dagli esempi che abbiamo ricevuto, o da esperienze di vita che ci hanno portato a metterci sempre in discussione, implicitamente legittimando gli attacchi che si subiscono». «Nei casi più gravi, sentire di meritarsi un trattamento ci illude di avere una certa dose di controllo sulla situazione. E questo può diventare molto pericoloso nel caso di violenze conclamate. Qui – è bene sottolinearlo – non esiste atteggiamento che possa giustificare il passaggio all’atto, alla violenza subita».

Una visione del mondo

Le parole, ricorda infine la psicologa, pur col filtro dell’ironia, non sono mai neutre. «Trasmettono una certa visione del mondo e la condizionano. Bisogna quindi riconoscere questa responsabilità e lavorare nel tempo per cambiare le cose. Nel mondo della scuola, della famiglia e dei mass media è necessario fare attenzione ai contenuti veicolati. È una trasmissione lenta, che deve essere tramandata a partire dai bambini e dalle nuove generazioni», conclude la psicologa.