Locarnese

Matrimonio fittizio e truffa, 51.enne condannata ed espulsa

Dodici mesi sospesi e foglio di via ad una cittadina serba che nel 2013 sposò un kosovaro facendosi pagare per fagli ottenere il permesso di domicilio - Per anni ingannò anche l’assicurazione sociale
Ieri in aula a Lugano una moglie per finta del Locarnese che però è stata smascherata dalla giustizia. ©CdT/Zocchetti
Mauro Giacometti
03.03.2021 17:11

Certamente un discreto affare per un matrimonio fittizio: per un matrimonio fittizio: oltre 140 mila franchi incassati in circa 7 anni di unione «pro-forma», somma intascata con acconti e rateizzazioni mensili fino al divorzio, dopo che il marito aveva ottenuto un permesso di domicilio in Svizzera. E in più, falsificando dei documenti e ingannando un funzionario, altri 32 mila franchi ricevuti per almeno tre anni dalle assicurazioni sociali per prestazioni erogate senza averne effettivamente diritto. Affari di cuore redditizi e truffe sociali finiti male, però, tant’è che la 51.enne di origine serba, residente da tempo nel Locarnese, è stata condannata ieri a 12 mesi di carcere (pena sospesa per due anni), al pagamento di 500 aliquote (anch’esso sospeso) ma soprattutto a lasciare la Svizzera con un foglio di via.
Conosciuto sui social

«La mia cliente non è una delinquente o una truffatrice seriale, prima di questi fatti non hai mai avuto a che fare con la giustizia», ha spiegato la sua legale, Cristina Clemente, cercando di far mitigare al giudice Amos Pagnamenta, presidente della Corte delle Correzionali di Locarno in Lugano, la richiesta di una pena di almeno 15 mesi più l’espulsione formulata dal procuratore pubblico Pablo Fäh. «Il suo matrimonio non è stato forse convenzionale, ma ci sono stati momenti di intimità e convivenza con quell’uomo conosciuto attraverso i social e sposato in Kosovo», ha aggiunto Clemente.

In realtà, come ha confermato la stessa imputata in aula, peraltro non impugnando minimamente l’atto d’accusa, era chiaro sin da subito che il suo era un matrimonio di facciata celebrato per opportunismo dal marito e a scopo di lucro dalla moglie: «Dopo averlo conosciuto sui internet lo incontrai per qualche mese, conobbi anche la sua famiglia, ma mi disse chiaramente che mi sposava perché voleva trasferirsi in Svizzera e ottenere il permesso di domicilio», ha ribadito la donna davanti al giudice. E d’altronde, come ha evidenziato l’inchiesta, partita nel novembre del 2018 dopo una segnalazione della polizia, i coniugi, con il loro «contratto matrimoniale» e l’arrivo del marito in Svizzera prima con un visto d’entrata e poi con un permesso B di ricongiungimento familiare, hanno continuato per anni la loro vita lontano dallo stesso tetto e ognuno per la sua strada.
Promessa mantenuta

Un contratto matrimoniale peraltro onorato quasi completamente dal marito, che ha inizialmente versato 15 mila franchi alla futura moglie, quindi dopo i fiori d’arancio ha continuato a pagarle una pigione mensile di circa 1.200 franchi, più altri 400 franchi sempre ogni mese quale contributo spese fino all’ottenimento del permesso C, revocato dopo l’apertura dell’inchiesta nei confronti della donna. Il 45.enne kosovaro dunque non ha versato alla consorte, dalla quale nel frattempo ha divorziato, solo l’ultima tranche pattuita, corrispondente a circa 10.000 franchi.
L’imputazione più grave

Ma quella dell’inganno aggravato nell’ambito del matrimonio putativo (indebito profitto), seppur esecrabile, non è l’imputazione più grave dell’atto d’accusa. Il procuratore Fäh ha infatti contestato alla 51.enne anche l’ottenimento illecito di un aiuto sociale dopo aver fornito informazioni false o incomplete all’assistenza. Il tutto è accaduto dall’aprile 2016, quando la donna s’è presentata allo sportello Laps del comune di residenza per compilare la richiesta di assistenza sociale, fino al novembre 2018 quando fu scoperto il suo inganno. In sostanza la donna, sottacendo di ricevere la pigione mensile dal marito, ha ottenuto circa 1.000 franchi al mese di aiuti sociali per un importo complessivo di circa 32.000 franchi. «Ingannare l’autorità sul suo matrimonio è certamente grave, ma ancor di più lo è appropriarsi illecitamente di aiuti sociali che potevano servire ad altri che ne avrebbero avuto più bisogno di lei», ha chiosato il giudice Pagnamenta al momento di leggere la sentenza. Sulla quale né il procuratore pubblico né la difesa ha dichiarato di opporre ricorso, rendendola dunque definitiva. La a donna, dunque, dovrà tornare al suo paese d’origine. «Non ho problemi a rientrare in Serbia - ha dichiarato la 51.enne che in aula non s’è mostrata particolarmente pentita -. Là ho ancora una casa, quella dove vive mio padre, e un figlio».