Matrimonio per tutti: a che punto siamo?

Federico De Angelis sorride. È contento anche se, ammette, «c’è ancora tanto da fare per i diritti della comunità LGBT+ in Svizzera». Eppure, il 2020 è stato un anno di conquiste. Primo: discriminazioni e aggressioni basate sull’orientamento sessuale saranno punibili penalmente. Secondo: il diritto al matrimonio è stato esteso a tutte le coppie. Di più, il progetto di legge include la donazione di sperma per le coppie lesbiche, la naturalizzazione facilitata del partner e l’adozione congiunta. «La cosiddetta legge contro l’omofobia, in votazione lo scorso 9 febbraio, ha rappresentato una base importante» prosegue De Angelis, uno dei coordinatori di Imbarco Immediato, associazione LGBT+ ticinese. «E questo perché l’omofobia è ancora presente, in Svizzera come nel mondo. Ognuno, va da sé, ha il diritto di esporre il proprio pensiero. Ma il modo, a volte, può essere discriminatorio».
«Il referendum? Meglio»
Ancora più attuale il discorso legato al matrimonio. Da un lato, perché il nostro Paese era in ritardo (netto) rispetto ad altre nazioni e, dall’altro, perché l’iter politico è tutt’altro che finito. L’Unione federale democratica aveva subito annunciato l’intenzione di lanciare un referendum, mentre esponenti dell’UDC e del PPD-Alleanza del Centro starebbero valutando ad una seconda iniziativa referendaria. «Il matrimonio per tutti è il coronamento di un percorso lungo, lunghissimo se pensiamo che l’iniziativa a livello parlamentare era stata portata avanti dai Verdi liberali nel 2013. Ci sono voluti sette anni per arrivare a questa legge». Una legge, ribadisce De Angelis, che sancisce una cosa essenzialmente: «L’amore non ha colori, siamo tutti uguali a prescindere dalla persona con cui scegliamo di relazionarci. Finora non era così». Abituata ai piccoli passi, la comunità LGBT+ ha beneficiato – chiamiamola così – di un’accelerazione: «C’erano parti più ostiche, da un punto di vista politico, come quelle relative all’adozione e alla fecondazione eterologa, quindi l’utilizzo del seme di un donatore per le coppie lesbiche. L’inserimento di questi due punti nella legge è un grosso passo. Il fatto che sia passato il pacchetto completo, per giunta ad ampia maggioranza, è un tassello importantissimo. Poi sì, è vero, c’è aria di referendum ma – anche come Imbarco Immediato – siamo pronti. Non solo, siamo perfino contenti per certi versi se toccherà ancora al popolo esprimersi su queste tematiche. Sondaggi alla mano, la nostra società è pronta per un’estensione dei diritti. È più avanti della politica».
«In un mondo ideale non servirebbero leggi»
Provocazione: possibile che in Svizzera, una delle culle della democrazia, sia necessaria una legge per proteggere la comunità LGBT+ dalle discriminazioni? Possibile, insomma, che la citata società non sappia autoregolarsi in materia, rispettando le persone in quanto tali? «Diciamo che la problematica non è soltanto svizzera, è complessiva» risponde De Angelis. Negli ultimi anni, ad ogni modo, la Svizzera era scivolata al ventisettesimo posto nella classifica ILGA-EuropaLink relativa alla parità dei diritti della comunità LGBT+. «È ovvio che il mondo ideale non dovrebbe avere leggi di questo tipo. Il fatto è che, se pensiamo al singolo individuo, la persona omosessuale o transessuale combatte ogni giorno. Una battaglia, sì. Ogni giorno, in qualche modo, direttamente o indirettamente, deve fare coming out. E questo perché la nostra è una società etero-sessista. Per dire: tu incontri una persona e dai per scontato che sia eterosessuale. Tuttavia, le stime ufficiali raccontano altro: il 10% della popolazione è effettivamente omosessuale. Che si tratti dell’ambito famigliare, lavorativo o scolastico, il percorso che uno deve compiere è complicato. Ecco, quando non ci saranno più etichette non ci sarà più bisogno di queste leggi. Ma non siamo ancora arrivati a quel punto».
L’impressione, anche pensando alle posizioni della Chiesa cattolica sull’argomento, è che di mezzo ci sia sempre un «ma». Della serie: la comunità LGBT+ ha diritto al matrimonio, ma... «Molte situazioni – fa notare De Angelis – sono retaggi culturali o condizioni legate a credenze religiose ancora presenti. C’è da dire, però, che le recenti aperture di Papa Francesco sul tema sono un altro passo importante. Certo, il matrimonio a livello cattolico è un sacramento ben definito ma il fatto che il Papa, quindi non un parroco di quartiere con tutto il rispetto, si sia espresso favorevolmente può aiutare molti omosessuali credenti. Essere accettati dalla Chiesa, insomma, aiuta. E poi le parole del Papa arrivano ovunque, anche in Paesi dove i diritti o non ci sono o, come in Polonia, vengono torchiati. All’interno della Svizzera la situazione è un filo differente. I protestanti, ad esempio, sono da sempre più aperti. Si tratta, allargando il discorso, di un percorso a tappe. Cinquant’anni fa le prospettive non erano così ottimistiche, idem venti».
«Il nostro è un lavoro di prossimità»
De Angelis, in Ticino, è attivo appunto con Imbarco Immediato. Un’associazione nata nel 2006, assemblando altre associazioni preesistenti. «L’idea è quella di non far sentire sole le persone» chiosa. «Possiamo vantare trecento soci, ma il nostro bacino sul territorio va oltre il migliaio. Il nostro è un lavoro di prossimità e sensibilizzazione, anche nelle scuole. Recentemente abbiamo creato pure un gruppo transgender, per dare risposta a ragazze e ragazzi che intraprendono questi percorsi complicati e difficili, tanto a livello fisico quanto sul piano medico e personale».