Giustizia

Mortale di Castello, è abbandono: «Ha già sofferto abbastanza»

Il sostituto procuratore generale Moreno Capella ha chiuso l’inchiesta penale sull’incidente costato la vita a un viticoltore – All’origine della tragedia vi era una manovra errata della compagna, che guidava un trattore – Infliggerle una pena sarebbe inappropriato – La famiglia della vittima ha compreso la natura accidentale dell’evento
© Rescue Media
Nico Nonella
19.12.2025 06:00

«Il fatto che abbia perso, nella circostanza e in modo tanto tragico, il proprio compagno di vita e il senso di colpa e la sofferenza sinceramente riferita (…), permette di ritenere che ella è già stata duramente colpita dalle conseguenze dirette del suo atto e che una pena risulterebbe inappropriata». Si è conclusa con questa motivazione e con un decreto di abbandono la tragica vicenda dell’incidente mortale avvenuto lo scorso 5 aprile in una vigna di Castel San Pietro. In quell’occasione, lo ricordiamo, un 57.enne viticoltore di Obino era stato travolto dal trattore guidato da una 48.enne italiana, sua compagna, mentre entrambi stavano lavorando per estirpare una pianta. Dopo i fatti, il Ministero pubblico aveva aperto un incarto nei confronti della donna, ipotizzando il reato di omicidio colposo. L’inchiesta, come detto, si è conclusa negli scorsi giorni: il 15 dicembre il sostituto procuratore generale Moreno Capella ha firmato un decreto di abbandono.

Punizione eccessiva

Secondo il magistrato, la donna, difesa dall’avvocato di fiducia Michelle Aleo, avrebbe dovuto operare con «un’accresciuta attenzione e prudenza» essendo alla guida di un automezzo con il quale aveva poca dimestichezza. Un’errata manovra, così la ha definita Capella, «intervenuta verosimilmente in un momento di disattenzione, forse da ricondurre alle specifiche difficoltà che lei e il compagno stavano incontrando nell’estirpazione della pianta di vigna». Tuttavia, quanto accaduto – si è trattato di un tragico incidente – l’ha segnata così profondamente che comminare una pena sarebbe una punizione eccessiva.

Il magistrato ha pertanto applicato l’articolo 54 del Codice penale («Se l’autore è stato così duramente colpito dalle conseguenze dirette del suo atto che una pena risulterebbe inappropriata, l’autorità competente prescinde dal procedimento penale, dal rinvio a giudizio o dalla punizione»); si tratta di una norma che viene applicata molto raramente. Per esempio, è stata usata nel caso, purtroppo fatale, della madre che aveva dimenticato la figlia in auto nel luglio del 2015 a Muzzano.

Il sollievo dei famigliari

In tutta questa vicenda vi è comunque una nota lieta che vale la pena sottolineare: le figlie della vittima, così come il resto della famiglia, non si sono costituiti accusatori privati nel procedimento penale, avendo compreso la natura puramente accidentale dell’evento. La decisione è dunque destinata a crescere in giudicato incontestata. «Ritengo che il procuratore pubblico abbia agito in modo corretto e doveroso, fondando la decisione su criteri di equità e valutando correttamente le sofferenze già patite dalla mia cliente, nonché quelle che la accompagneranno il resto della sua vita, evitando così ulteriori ripercussioni penali a suo carico», dice l’avvocato Aleo, raggiunta dal CdT. «Anche le figlie, non essendosi costituite accusatrici private, condividono la decisione del magistrato e, pur nel dramma della perdita, esprimono sollievo per il fatto che la compagna del loro papà non debba subire ulteriori conseguenze». E infatti, nel motivare l’abbandono, Capella rileva che «se si aggiunge l’assenza di qualsiasi risentimento ed astio (nei suoi confronti, ndr) da parte della madre, delle figlie, dei fratelli e della cognata della vittima, che anzi e addirittura paiono, in un certo senso, averla adottata, l’astensione da qualsiasi ulteriore provvedimento si giustifica doppiamente».

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