Musicisti in cerca di riscatto, non è tutta «colpa» del virus

Era il lontano 2015 e la pandemia non impensieriva nessuno. Bei tempi in cui l’aggregazione e lo stare insieme erano qualcosa che avveniva in modo naturale e spontaneo. Cene, cinema, concerti in totale spensieratezza. Qualcuno trovava anche la voglia di buttarsi in progetti coraggiosi. Tra le varie idee c’era anche quella di un Polo della musica, una struttura con sede a Bellinzona dedicata a concerti dal vivo, con camerini per le band, un posto dove i musicisti avrebbero potuto trovarsi per le prove e i maestri impartire lezioni. Un progetto del genere, oggi, avrebbe ancora senso? Con i tempi che corrono, la risposta è abbastanza scontata. Detto questo, le esigenze sia di pubblico sia di musicisti richiedono qualche riflessione. Lo scenario è cambiato solo a causa della situazione pandemica oppure ci sono stati altri fattori a invertire i toni della scena musicale ticinese?
Vecchi problemi amplificati
Per il batterista bellinzonese Rocco Lombardi la crisi sanitaria non ha fatto altro che amplificare e accelerare un vecchio problema già presente: «Il problema degli organizzatori che pagavano male i musicisti esisteva già da prima della pandemia, quindi sarà inutile parlare di Polo della musica finché non si restituirà la giusta dignità al musicista pagandolo come un vero professionista». Al cinema il biglietto si paga, al ristorante il conto pure. «Oggi purtroppo la musica è diventata un sottofondo per qualcos’altro, non è più al centro dell’interesse. La gente non va più ai concerti per goderseli, ma si aspetta della musica mentre fa altro», conclude Lombardi.
Chi ha avuto l’idea di un Polo della musica è Gianni Morici, ex proprietario dello storico bar Peter Pan di Bellinzona. Secondo il gerente cittadino è normale che in Ticino il riscontro economico per un musicista sia al di sotto delle aspettative: «Da noi ci sono professionisti che ragionano con la testa sbagliata, puoi essere il più bravo del mondo ma se non c’è mercato non ti puoi arricchire come musicista. Ho avuto la fortuna di aver vissuto gli anni più belli della musica live e ho dato possibilità di suonare a tanti artisti da tutto il mondo, ma quando è arrivata la pandemia si è fatta dura. Magari si organizzava qualcosa d’estate, ma l’inverno oramai smorza tutto. Ad ogni modo è vero, già prima del 2020 la musica dal vivo stava cambiando, soprattutto per il rock. Oggi vediamo i soliti noti girare, ma di novità ce ne sono poche, soprattutto tra i giovani».
Tra feste ed open air
«È una questione di adattamento - aggiunge il leader degli Sgaffy Federico Casellini -. Ho nostalgia di quando tutti suonavano nei bar, magari contemporaneamente, ma le cose cambiano e siamo cambiati anche noi. Oggi usiamo una strumentazione più elettronica, ci mandiamo le parti e ognuno le prova a casa. Si tratta di un modo di lavorare più pratico ma purtroppo anche più freddo». Per Casellini, però, il Ticino sembra messo ancora peggio se paragonato al resto del Paese: «In Svizzera interna si fanno concerti grazie a locali dedicati, è nella loro cultura e nel modo di godersi il tempo libero. Da noi invece si suona soprattutto alle feste o agli open air». Tra chi dimostra una certa impazienza di tornare a calcare il palco c’è la cantante bellinzonese Julie Meletta: «Prima della pandemia facevamo concerti, ma poi abbiamo deciso di lavorare più in studio e lanciare singoli. Adesso però il palco mi manca. Se noi artisti avessimo degli spazi per scambiarci idee e punti di vista sarebbe bellissimo. Creare una comunità di artisti permetterebbe alla scena musicale di crescere».
Pagare per suonare
Mireille Ben, artista francese trapiantata in Ticino, ci racconta che la situazione di emergenza che stiamo vivendo non è stata affatto indolore anche per alcune manifestazioni: «Confermo che la rassegna Slow Music che organizzo ogni anno non ci sarà più, almeno per i prossimi anni». Secondo la nostra interlocutrice le condizioni erano sin troppo difficili per suonare ancora prima della crisi sanitaria, ora sono diventate proibitive. «Ho visto musicisti dover pagare per suonare e non è giusto. Non sarebbe male un centro dedicato alla musica ma ci vorrebbero diverse sale e una strumentazione diversa a seconda del progetto, è molto complesso. Non dobbiamo arrenderci, la nostra arte in fondo è un atto di resistenza».
