Tredicesima puntata

Natale alla Carità: L’ingrediente segreto dello chef Palermi? Coccolare i pazienti (e non solo)

Il re della cucina ci accompagna alla scoperta dei suoi fornelli, svelandoci anche i menu che ha in serbo per la cena della Vigilia e per il pranzo di Natale
© CdT/Gabriele Putzu
Barbara Gianetti Lorenzetti
Barbara Gianetti Lorenzetti
24.12.2020 16:43

Crema di zucca con flan di ricotta e mele, filetto di branzino in guazzetto di olive e pomodori secchi, riso venere, rosette di romanesco, aspic di camomilla e ribes. Dite la verità: dopo aver letto questo menu avete già l’acquolina in bocca e siete pronti a scommettere che potrebbe essere quello di un ristorante stellato. Invece no. È quanto gusteranno questa sera i pazienti e i dipendenti dell’ospedale la Carità. A svelarci il segreto in anteprima è lo chef Rinaldo Palermi. Il cui obiettivo per questo Natale (seguendo peraltro una filosofia che nella sua cucina viene applicata quotidianamente) è quello di coccolare al massimo chi, per malattia o per lavoro, dovrà trascorrere la festività fra le mura dell’ospedale.

Nascosto nei meandri dei piani inferiori, il regno dello chef Palermi ha tutto l’aspetto di una cucina da grande albergo. «In effetti – ci conferma il nostro interlocutore, che guida il settore gastronomia della Carità da ben 23 anni – il nostro standard è quello di un hotel a 4 stelle». A mantenere l’alto livello di qualità contribuiscono 35 collaboratori, di cui 25 fissi, ai quali si aggiungono apprendisti, civilisti e utenti della Fondazione Diamante, «che ci danno un aiuto fondamentale». Nel settore sono rappresentate numerose professioni: ci sono chef, sous chef, cuochi, cuochi in dietetica, pasticceri, economi magazzinieri e assistenti sia di cucina sia di ristorante. Fra gli apprendisti si trovano cuochi e cuochi in dietetica (una specializzazione che richiede un anno ulteriore di formazione).

Il regno dello chef Palermi si occupa di vari settori. «Uno dei principali – spiega lui stesso – è ovviamente quello riguardante i pasti per i pazienti. Mediamente circa 150 per servizio (quindi per ogni colazione, pranzo e cena ndr.), nel cui ambito bisogna tener conto dei diversi tipi di dieta». Un aspetto non da poco, quest’ultimo, considerando che al gusto è spesso necessario combinare tutta una serie di criteri legati alle varie patologie e che vengono attentamente studiati assieme alle dietiste. Senza dimenticare, ancora, che il servizio alberghiero offre la possibilità ai pazienti di scegliere fra vari menu. «Poi – prosegue il nostro interlocutore - forse non tutti sanno che prepariamo anche i pasti a domicilio consegnati da Pro Senectute. È un servizio che offriamo 6 giorni su 7 e che riguarda quotidianamente fra i 150 e i 250 pranzi». L’ambito gastronomico comprende ovviamente anche il ristorante dell’ospedale, «che, contrariamente al solito – chiarisce Palermi – attualmente non è aperto al pubblico ed è riservato al solo personale. Ma, in concreto, per noi non è cambiato nulla, visto che il numero dei visitatori è stato compensato dai dipendenti arrivati alla Carità dagli altri istituti del cantone per dar man forte ai colleghi locarnesi. Ad oggi vengono consumati circa 250 pranzi e 60 cene al giorno».

Ma in ospedale c’è anche chi non ha nemmeno il tempo di entrare in mensa per mangiare. È il personale delle cure intensive. «Con i loro turni di dodici ore – spiega lo chef – non riescono a passare da noi. Quindi prepariamo dei pasti freddi apposta per loro. Una sessantina al giorno». E, va detto, non panini qualsiasi, ma vere prelibatezze che tengono conto anche delle allergie (come quella al glutine) o delle preferenze alimentari (nemmeno qui mancano i vegani).

Un altro complesso meccanismo, insomma, la cucina, all’interno dell’altrettanto complessa e sofisticata macchina ospedaliera. «E – aggiunge lo chef – un settore molto importante, sia per il benessere dei pazienti sia per quello del personale». Un settore che, come tutti alla Carità, ha ovviamente risentito della pandemia. «A partire dalle misure di sicurezza – chiarisce Palermi -. Fin da febbraio abbiamo tutti lavorato con la mascherina, che si indossa prima di entrare. E anche la stessa entrata da noi non avviene passando dall’ospedale, ma da quella destinata ai fornitori. Chi, poi, si occupa dei vassoi rientrati e del lavaggio lo fa indossando uno speciale grembiule di plastica e gli occhialini. Invece per noi la suddivisione fra le cosiddette aree ‘pulite’ e ‘sporche’ non è stata un problema, perché si tratta di una misura già in uso per la sicurezza del settore alimentare».

Cambiamenti vi sono stati anche riguardo alle diete dei pazienti. «A primavera – chiarisce lo chef – si era optato per una formula leggera e digeribile e con la dietista avevamo quindi modificato i menu, inserendo alimenti – come minestre o budini – arricchiti in proteine. Attualmente, invece, i pazienti mangiano in modo relativamente normale, con però un buon numero di puree e frullati».

Fra gli altri provvedimenti adottati, infine, il prolungo degli orari di apertura del ristorante, per andare incontro alle esigenze del personale, «e una certa flessibilità negli orari. Per questo devo ringraziare di cuore i miei collaboratori, che sono stati disponibili fin dalla prima ondata, dimostrando grande senso di responsabilità». Una disponibilità che acquista ancora maggior valore, considerando i comprensibili timori che, soprattutto all’inizio, la pandemia suscitava. «Eppure siamo andati avanti lo stesso, rendendoci conto con il passare del tempo che le misure adottate ci hanno permesso di tenere il rischio sotto controllo». Una dedizione e una cura della qualità che sono sempre apprezzate dai pazienti, «i quali spesso ci ringraziano e, addirittura, ci mandano bigliettini. Alcuni li abbiamo conosciuti personalmente, mantenendo i contatti anche dopo la dimissione». Rapporti umani diversi dal solito che si sono concretizzati pure attraverso numerose donazioni, «da parte di aziende del settore, ma anche di ditte che nulla hanno a che vedere con l’alimentare o di privati, che ci hanno fatto e ci fanno regali per sostenere la nostra attività». E Palermi conclude ricordando quanto, «alla fine, nonostante tutto, noi, nella nostra cucina, possiamo ritenerci fortunati, perché abbiamo un lavoro e una certa sicurezza. Se penso ai nostri colleghi fuori, invece, che hanno dovuto chiudere tutto...».

Per questo lo chef esige sempre il massimo impegno. Dai suoi collaboratori e anche da se stesso. Ma l’ingrediente segreto è un pizzico di passione. Dalla quale è nato anche il menu del pranzo di Natale, che sarà servito domani: ristretto di gallina con tortellini, lombata di vitello alle spugnole, gallette di patate, lattuga romana brasata alle verdure e mousse al cioccolato, nocciola e mango.

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