Natale alla Carità: «Non esiste assenza di dolore quando muore un tuo paziente»

«È stata una giornata molto triste». Michael Llamas è il direttore sanitario dell’ospedale La Carità. È lui ad ammetterlo. Fuori dalla finestra il buio si è preso la scena. Il dottore indossa ancora il suo camice, le maniche alzate, suo segno distintivo, e racconta quella che è stata appunto una lunga giornata. Sei i pazienti accompagnati alla morte, a cui quindi sono state interrotte le cure. È stata una giornata innegabilmente triste allora, anche per lui, soprattutto per lui. «Non esiste mai assenza di dolore quando uno dei tuoi pazienti muore. Poi il fatto che siano così tanti in così poco tempo, be’, lascia il segno».
Il dottore spiega: «In un certo senso, in cure intense, c’è tutto un percorso che si fa con le famiglie. Un percorso che può essere anche piuttosto lungo. Prima del virus, lo si faceva in presenza, sfruttando gli orari di visita e non solo, parlandosi. Era anche una questione non verbale, di sguardi. Un percorso fatto di tanti pezzettini, che a volte finiva con la morte del paziente, ma anche quello era un pezzo del percorso da vivere assieme. Ora questo non è più possibile. Il fatto di non avere le famiglie con noi è una componente terribile di questo particolare momento. In giornate come questa, passando da una tragedia all’altra, ti rendi conto di quanta sofferenza questo virus stia portando nella nostra società e in particolare proprio in queste famiglie. È qualcosa che ti tocca. Poi siamo tutti membri di questa società, non è che quando usciamo dall’ospedale le cose cambino. Siamo immersi in una società traumatizzata. Non esiste pausa dal COVID».

Proviamo a leggere tra le parole e i gesti del direttore. Gli chiediamo cosa provi di fronte a questa maledetta malattia. Rabbia? Può permettersi un direttore sanitario di essere incazzato con il virus? «Noi siamo chiamati a mantenere sempre la lucidità su quello che sta succedendo». No, non può permetterselo quindi. «Rappresentiamo la rete di sicurezza per la società e come tale dobbiamo comportarci. È vero che scegli certi mestieri perché hai la capacità di gestire e sopportare certe situazioni, ma è altrettanto vero che nessuno di noi pensava di potersi trovare in una situazione del genere. Per questo dico che la nostra lucidità e il nostro impegno devono essere assoluti. Solo così possiamo pensare di poter aiutare i pazienti». Llamas parla di uno scopo «assoluto». «Quando noi curiamo un paziente curiamo la persona, è vero, ma al contempo dobbiamo occuparci della sua famiglia, e dobbiamo occuparci della società. Non possiamo perdere nessuno di noi, non possiamo traumatizzare nessuno. E questo è uno scopo tanto alto a condurci, che non c’è un retropensiero. E come direttore sanitario devo anche occuparmi dei colleghi, medici, assistenti, infermieri, tutti, perché poi se loro sanno dove stiamo andando, allora sarà più facile curare i pazienti».
Ma a che punto siamo? Dove stiamo andando? Il vaccino è alle porte, ma intanto bussa anche la variante inglese. «Non facciamo previsioni. Ci sono le speranze, ma non possiamo permetterci che si traducano in previsioni. Continuiamo quindi a sperare per il meglio preparandoci per il peggio. Il nostro compito adesso è immaginare un futuro in cui il virus sarà ancora a lungo tra noi, fino a primavera, e quindi mantenere le persone riposate e lucide affinché possano lavorare al meglio. Altre questioni – il vaccino, le varianti – ci toccano marginalmente. Noi saremo qui il tempo necessario, che sia un mese, sei mesi, di più ancora. Noi ci saremo». Il vaccino arriverà, comunque, «e per noi il primo obiettivo sarà bloccare le catene dei contagi, evitare che si ammalino gravemente le persone a rischio e quindi riportare il sistema sanitario di nuovo verso la normalità, in modo da curare anche i pazienti non-COVID. Non so se avrà effetto anche su questa seconda ondata – o terza che sia –, non lo credo, ma personalmente mi immagino che riusciremo nei prossimi sei mesi a vaccinare abbastanza persone per arrivare al prossimo autunno e non dover più combattere con questo virus. Ma per arrivare fin qui serviranno appunto mesi».

E di mezzo c’è ancora il Natale, ci sono le feste, possibili assembramenti, i rischi di cui abbiamo detto e scritto tutto. «Non temiamo nulla ma ci prepariamo a tutto. Se ci sarà questo nuovo aumento dei casi tra Natale e Capodanno, be’, speriamo di farci trovare pronti, ma abbiamo comunque dei piani. Una cosa è avere un piano e poi semmai adattarlo in un secondo tempo, un’altra è affidarsi a chissà quali previsioni. Già troppi hanno finito con il contraddirsi. E questo non fa di certo bene alla popolazione. Penso che la popolazione debba sempre essere messa al corrente della situazione, in maniera trasparente. È un diritto per tutti sapere, ed è nostro dovere evitare di raccontare cose imprecise, o magari spaventare e minacciare la popolazione stessa. Non è questo il nostro compito».
Camminando tra i reparti non filtra la paura. Questo, facciamo presente al dottor Llamas, è forse il messaggio più bello da trasmettere alla popolazione, in questo caso a chi legge questi racconti. «Se a inizio anno si poteva davvero parlare di urgenza, di emergenza, in un momento in cui neppure sapevamo se avevamo abbastanza ventilatori, questa estate con l’EOC abbiamo fatto un grosso lavoro di analisi e di preparazione a una nuova eventuale ondata epidemica. Abbiamo capito come costruire l’eventuale castello. Ciò non significa che dal punto di vista emotivo sia a costo zero, niente è a costo zero. Ora allora possiamo dire di essere entrati in una nuova normalità. Poi quella di oggi è stata una giornata molto triste. Sei pazienti, per cui ci siamo dati da fare per un mese, non ce l’hanno fatta. È stata una giornata difficile, d’accordo, ma ciò non toglie che domani saremo di nuovo in controllo, sereni nella presa a carico dei nostri pazienti, perché se lo meritano».