Nona puntata

Natale alla Carità: «Quando arrivavo al lavoro facendo l’autostop»

Ci siamo intrufolati in un piccolo momento di scambio di regali natalizi nel settore di economia domestica, dove abbiamo conosciuto Caterina Mantovani, che si appresta ad andare in pensione dopo 39 anni passati in ospedale
© CdT/Gabriele Putzu
Martina Salvini
23.12.2020 17:26

Si è trovato un po’ di tempo per festeggiare, poco prima di mezzogiorno, alla Carità. Un piccolo momento insieme nel settore di economia domestica per scambiarsi un dono. «Ogni anno ci ritagliamo qualche minuto per scambiarci dei regalini. Lo facciamo qualche giorno prima di Natale, quando la situazione lo permette», ci raccontano le ausiliarie di economia domestica, quando ci intrufoliamo nella stanza. In un carrello della spesa, con la scritta «lavanderia», ci sono pacchi e pacchettini che ciascuno riceverà da un collega, pescando a sorte un numero. «Gli altri anni preparavamo una sorta di calendario dell’Avvento: ogni giorno qualcuno riceveva un dono. Quest’anno abbiamo raggruppato tutto in un unico giorno». Un momento per scambiarsi gli auguri, per stare insieme e per sorridere dopo un anno complicato.

© CdT/Gabriele Putzu
© CdT/Gabriele Putzu

La prima a ricevere il proprio regalo è Caterina Mantovani, 58 anni, che dopo una vita passata alla Carità, domani andrà in pensione. «Non mi sembra vero - ci dice -, è come se mi preparassi per andare in vacanza. Invece, dopo tanti anni (ben 39) passati qui mi appresto a salutare definitivamente». Alla Carità Caterina è arrivata grazie a una suora, dopo aver passato qualche anno come lavoratrice stagionale. «Suor Fernanda mi presentò all’allora direttore, Giorgio Pellegrini, che decise di assumermi. Qui ho trovato una famiglia. Spesso la domenica, o durante le festività, ognuno di noi portava qualcosa da mangiare, una specialità da condividere con i colleghi». Con alcuni di loro, Caterina ha condiviso 30 anni di lavoro. «Ad alcune ho insegnato i trucchi del mestiere, e soprattutto l’importanza di non lamentarsi mai: possono esserci dei giorni in cui si arriva in ospedale un po’ giù di morale o con qualche acciacco, ma piangersi addosso non cambia le cose, mentre un sorriso ha il potere di migliorare la giornata degli altri».

È un fiume in piena, Caterina. E piano piano, dopo un’iniziale timidezza, si lascia andare raccontandoci un pezzettino del suo mondo. «Per 23 anni sono venuta al lavoro facendo l’autostop perché non avevo la patente e avevo troppa paura di guidare. Alle 6 dovevo essere in ospedale, così alle 4.15 scendevo in strada e cercavo un passaggio». Le è sempre andata bene, confessa ora. «Non sono mai rimasta a piedi, poi per tornare mi arrangiavo con i mezzi. A 42 anni, finalmente, ho preso la patente». Dopo il lavoro, Caterina tornava a casa, dove la aspettavano il marito e le due figlie. «Ho sempre cercato di mettere una barriera fra quello che vivevo qui e la mia famiglia. Vediamo ogni giorno tanta sofferenza e ho sempre pensato che non fosse corretto portare a casa questo bagaglio di sensazioni. In corsia, però, ho sempre dato il massimo, fedele alla convinzione che fare bene il proprio mestiere sia fondamentale». Poi, un giorno, ha scelto di dire basta e di chiedere il prepensionamento. Troppo forti i dolori causati dall’artrite. A tradirla sono state le sue mani. Quelle mani che sono state per una vita lo strumento del suo lavoro. «Non potevo più rimandare la mia partenza», dice guardandosi le mani nodose. E a chi resta, ricorda il suo insegnamento: «Fate sempre il vostro dovere, e fatelo al meglio».

Economia domestica: «Senza di noi l’ospedale non va avanti»

L‘economia domestica è quel servizio fondamentale che quotidianamente esegue operazioni di manutenzione preventiva e di pulizia in tutto l’ospedale. «Si entra a contatto con i pazienti anche nelle camere, così come nelle sale operatorie. È insomma un compito che tocca l’ospedale nella sua interezza», conferma Luca Capella, responsabile del servizio alberghiero e tecnico. Non medici, né infermieri. Eppure essenziali, soprattutto durante la pandemia. «Senza di noi l’ospedale non va avanti. Infatti, durante la prima ondata ci siamo subito attivati per sgravare il personale curante, lasciandolo libero di concentrarsi sui pazienti». «In primavera, ci siamo mossi per predisporre tutto nella maniera più rapida possibile. Oggi, invece, siamo più preparati, ma è logorante non sapere quando tutto questo avrà una fine. È una maratona, lo diciamo spesso, ma psicologicamente e fisicamente è dura», conclude.

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