Nel Mendrisiotto il nostro piccolo muro di Berlino

«Il nostro piccolo muro di Berlino. È così che lo chiamiamo». A Vacallo, nella frazione di Roggiana, c’è un piccolo valico pedonale chiuso da un cancello alto due metri e mezzo che separa la Svizzera dall’Italia. La strada di solito, a piedi, porta in pochi minuti alla piazzetta di Maslianico. Ma l’emergenza coronavirus ha portato anche quel piccolo angolo di frontiera ad essere sigillato. Ed è proprio in quel punto che, praticamente ogni sera («Dalle 8 a mezzanotte», ci spiega un abitante), si ritrovano coppie e famiglie - rimaste separate alla chiusura delle frontiere - per salutarsi, fare due chiacchiere e, perché no, far passare tra le fessure del cancello qualche genere alimentare («Le lasagne della mamma»). O le due amiche che abbiamo incontrato ieri pomeriggio al valico, che si sono date appuntamento per una pizza. La videosorveglianza c’è e a volte, quando le persone sono troppe, la polizia interviene.


«Mai - ci viene spiegato - avremmo pensato di vivere una cosa del genere. L’apertura delle frontiere e la libertà di passare da una nazione all’altra è qualcosa che abbiamo sempre dato per scontato». Ma dalle prime settimane di marzo non è più così e in molti, appunto, si sono ritrovati separati dai loro affetti, rimasti dall’altra parte. E ci si è ingegnati. La scelta di ritrovarsi a Roggiana per alcuni non è questione di praticità (quel luogo insomma non è stato scelto perché il più vicino), ma perché appartato, tranquillo. Intimo. Perlomeno fino a quando la voce non ha iniziato a circolare. «Mi ricorda la situazione a Berlino - ci dice uno di loro - o la frontiera tra USA e Messico». Con la differenza che tra Svizzera e Italia la chiusura delle frontiere è solo provvisoria, e che la situazione andrà presto a risolversi. «Speriamo», sussurra uno di loro «Anche perché, tralasciando la questione degli affetti, il non poter fare la spesa in Italia inizia a farsi sentire sulle nostre finanze».
Quante differenze
Il valico di Roggiana non è l’unico a vivere questa situazione (tra l’altro vista anche in altri luoghi della Svizzera, per esempio al confine con la Germania). Gli incontri in dogana, questa volta si tratta di San Pietro di Stabio, sono stati gli unici momenti in cui Beatrice (nome di fantasia, l’identità è nota alla redazione) è riuscita a vedere i suoi amici dopo mesi di lockdown «all’italiana». Residente a Lugano e titolare di entrambi i passaporti, ha iniziato a lavorare a Milano a inizio marzo ed è rimasta bloccata a casa dei suoi genitori, residenti in un paesino in Provincia di Varese, dove aveva fatto rientro nel weekend per recuperare le sue cose. «Dato che parte della mia famiglia, compresa mia sorella, vive nel Mendrisiotto – ci racconta – e i miei genitori invece nel Varesotto, quando è scattato il lockdown ho pensato che fosse giusto rimanere con loro. In caso di necessità per il resto della famiglia in Ticino c’era mia sorella. Alla fine si è rivelata una scelta intelligente, anche se più complessa per me». Sì, perché a dividere Beatrice da sua sorella e i suoi amici c’erano pochissimi chilometri ma enormi differenze.


«Ho vissuto una situazione strana, mi sembrava di vivere in un mondo parallelo rispetto a quello ticinese dove le regole imposte dalle autorità per contrastare il coronavirus non sono mai state così dure: io non potevo uscire dalle quattro mura mentre i miei amici andavano a passeggiare in montagna o si trovavano per un aperitivo in casa. Quando poi è diventato possibile anche per me muovermi più liberamente ho iniziato a organizzare degli incontri con gli amici in dogana. Non potevamo scambiarci nulla né toccarci, ma almeno ci siamo visti». E che effetto ha fatto? «Sembrava di stare in guerra. Fa impressione rivedersi dopo quasi tre mesi». Beatrice spiega che finché non ci sarà un accordo sull’apertura delle frontiere tra Svizzera e Italia rimarrà con i suoi genitori: «Temo che se anche riuscissi a tornare in Svizzera, poi non potrei rientrare in Italia. Meglio aspettare».
Il cancello, le videocamere e la lunga attesa
Il piccolo valico di Roggiana non è molto conosciuto. Collega l’omonima frazione di Vacallo a Maslianico e nei secoli è stato uno dei «punti caldi» dei contrabbandieri (tanto che nel 1945 una sparatoria con dei spalloni armati portò alla morte della guardia Ovidio Maggi e al ferimento di Giovanni Pelli). Sul posto sono installate delle telecamere di sorveglianza e le forze dell’ordine sono già intervenute quando hanno notato che, attorno al cancello che separa le due nazioni, gli assembramenti si facevano troppo numerosi. Chi vive queste situazioni segue con molta attenzione le decisioni prese da Berna a da Roma in merito alla riapertura e ai ricongiungimenti familiari. L’Italia potrebbe riaprire le frontiere domani (3 giugno), mentre non è ancor chiaro quando lo farà la Svizzera.