«Noi cacciatori non siamo il braccio armato dello Stato»

Sono passati quattro anni da quando la Federazione cacciatori ticinesi (FCTI) si è riorganizzata, rivedendo la propria struttura per meglio far fronte alle sfide del futuro. Tra nuove regole venatorie e per le prove di tiro, la “FTC 2.0” uscita dall’Assemblea annuale dei delegati ha continuato a rappresentare la categoria in un contesto in continua evoluzione e ora è tempo di stilare un bilancio e di prepararsi al prossimo quadriennio. Per i cacciatori ticinesi, l’Assemblea di fine mandato che si terrà questo pomeriggio a Cadro è l’occasione per tirare le somme e per ritrovarsi in presenza dopo due anni di restrizioni pandemiche. E all’ordine del giorno i temi non mancano. «È sempre difficile parlare di sé stessi perché si rischia di essere autoreferenziali, ma penso di poter dire che la Federazione ha svolto un buon lavoro nell’interesse della caccia e dei cacciatori, tenuto conto del contesto sanitario non facile e delle scarse risorse finanziarie che non ci permettono ad esempio di poter contare, in considerazione della mole di lavoro e dei dossier sui quali dobbiamo chinarci, su un segretariato che possa coordinare adeguatamente tutta l’attività», premette il presidente Fabio Regazzi, da noi raggiunto telefonicamente.
Grandi cambiamenti in vista
Se l’evento di oggi è l’occasione per la FCTI per guardare a quanto fatto e a quanto resta da fare, lo stesso vale per il suo presidente. «Dopo 11 anni alla testa della Federazione potrebbe essere arrivato il momento per un ricambio», ammette. Tuttavia, «visto che dobbiamo sostituire un terzo del Comitato, con tre uscenti che non si ripresentano, abbiamo deciso di privilegiare una certa continuità, andando avanti per quanto possibile con il nucleo di persone che ha gestito la Federazione in questi anni, in modo da avere anche il tempo per pianificare i necessari avvicendamenti. In ogni caso, posso dire che questo sarà il mio ultimo mandato». C’è tuttavia un’importante novità per quanto riguarda proprio gli avvicendamenti in seno al Comitato: «Per la prima volta nella nostra storia, fatta ovviamente salva l’approvazione da parte del Delegati, ne farà infatti parte una donna. E questo – sottolinea Regazzi – è un segnale molto positivo e che ha una forte valenza simbolica». La percentuale di donne che pratica l’arte venatoria è infatti nettamente inferiore a quella degli uomini («anche se negli ultimi anni qualcosa sta cambiando», sottolinea il presidente della FCTI) e l’auspicio è che questa nomina possa incoraggiare un maggior numero di nuove leve femminili.


«Lo facciamo per passione»
Ma che cosa dovrà aspettarsi il settore nei prossimi anni? A quali sfide sarà confrontato? «È chiaro che la caccia è sempre un ambito controverso – prosegue il nostro interlocutore –. La pressione sul mondo venatorio sta aumentando e ci sono sempre più persone o movimenti che vogliono mettere in discussione l’esercizio della caccia, delegandola allo Stato». Uno scenario, questo, che il presidente della FTCI definisce «aberrante». «Dobbiamo rispondere a queste sfide cruciali che mettono in discussione la nostra passione», prosegue. Ma non solo: «La categoria è chiamata a fronteggiare una tendenza altrettanto preoccupante, ossia a vederci quasi come una sorta di “braccio armato dello Stato”. Noi, invece, andiamo a caccia per passione e non solo siamo a disposizione su richiesta per regolare le specie problematiche (ossia quelle che, come i cinghiali o i cervi, che danneggiano vigneti, coltivazioni e patrimonio boschivo). Lo facciamo, certo, e siamo pronti a continuare a dare il nostro importante contributo e non ci tiriamo di certo indietro, ma rivendichiamo il diritto di praticare la nostra passione non solo per scopi regolatori».
Il tema caldo del momento
Impossibile, a questo punto, non affrontare il tema del lupo, tornato prepotentemente sotto i riflettori in queste settimane. Un tema, lo ricordiamo, che scalda gli animi e divide il cantone. «Non è in cima alle nostre priorità», puntualizza il presidente dei cacciatori ticinesi. «Chiaramente guardiamo con preoccupazione all’esplosione incontrollata di questo predatore sul nostro territorio e all’impatto sull’allevamento e sull’agricoltura di montagna. Il lupo non è cacciabile e non pretendiamo che lo diventi: deve poter vivere, certo, ma in una misura sostenibile rispetto a quanto il nostro territorio può sopportare e ad oggi questa condizione non è più data per cui riteniamo che si debba intervenire anche con misure di regolazione degli effettivi».