«Non poteva che essere questa la fine della loro relazione tossica»

Chi conosceva il burrascoso rapporto tra l’imputata e la vittima non è rimasto sorpreso che la loro relazione sia finita con una coltellata al collo. «Non poteva che essere questa la fine della loro relazione tossica», ha detto la procuratrice pubblica Pamela Pedretti. «Seduto al posto dell’imputato oggi poteva tranquillamente esserci anche la vittima», ha rimarcato l’avvocata Luisa Polli.
Invece di imputato oggi ce n’è uno, una trentenne accusata di tentato omicidio, coazione e impedimento di atti dell’autorità per avere, appunto, sferrato una coltellata al collo del suo compagno lo scorso 11 novembre in un appartamento di Savosa durante un diverbio tra i due. Per questo è stata condannata a quattro anni di carcere sospesi a favore di un trattamento stazioniario.
L’esito delle tensioni insite nella coppia probabilmente, e tristemente, era prevedibile tenendo conto del contesto. Solo fra il 2018 e il 2021 la polizia è intervenuta una dozzina di volte per i violenti litigi fra i due. Con botte da ambo le parti: la donna ha ricevuto due distinti decreti d’accusa per violenze, in entrambi i casi causando all’uomo anche ferite da coltello, e anche l’uomo ne ha sul groppone almeno una, in cui ha colpito violentemente la compagna alla testa con una stampella, lasciandole una cicatrice. In mezzo, altre querele poi ritirate, con conseguente e obbligato abbandono del procedimento. La trentenne è anche stata ricoverata tre volte coattamente in clinica psichiatrica e ha alle spalle una dozzina di interventi per ubriachezza molesta.
Eppure, finiti litigi e denunce, i due non si sono mai lasciati e sono ritornati assieme. Anche dopo la coltellata – benché ora sembra che abbiano deciso di dire basta – si erano cercati, avevano chiesto uno dell’altro. Il compagno non si è costituito quale accusatore privato nel procedimento.
I litigi fra i due esplodevano sotto l’effetto di sostanze. Alcol e cocaina per lei («Quando beve diventa un’altra persone», è stato sottolineato più volte oggi in aula, anche dalla stessa imputata), idem per lui (che lo scorso anno ha rimediato una condanna a 28 mesi parzialmente sospesi per aver messo a disposizione il suo appartamento a degli spacciatori). Ed è stato così anche quell’11 novembre, appena scoccata la mezzanotte. «Era arrabbiata, esasperata, stufa che per l’ennesima volta il compagno non ci fosse per lei – ha detto la procuratrice Pedretti. – In quello stato emotivo, oltre all’alcol e alla cocaina, le è montata la rabbia finché non l’ha colpito con un coltello quando le dava le spalle. È solo un caso che non ci sia stato un esito letale. Il compagno è un miracolato». Diversa la versione della donna: «Si era dimenticata di aver il coltello in mano e ha reagito d’istinto in maniera aggressiva a un comportamento altrettanto aggressivo del compagno – ha detto l’avvocata Polli. – È stato un gesto fatto per difendersi, non per uccidere o per ferire gravemente». Su questo punto anche Pedretti ha riconosciuto che la donna «non voleva volontariamente togliergli la vita».
Tutto questo durante un diverbio nato per futili motivi e su cui resteranno per sempre punti oscuri, in quanto entrambi erano fortemente ubriachi e hanno ricordi confusi. Alla trentenne viene anche imputato di aver ostacolato l’intervento degli agenti e di aver trattenuto il compagno dopo averlo accoltellato, reati che per la difesa, però, o non sussistono o sono stati compiuti quando la donna era incapace di intendere e di volere.
La procuratrice Pedretti ha chiesto quindi una condanna a 4 anni, l’avvocata Polli una pena più contenuta, chiedendo alla corte di valutare la legittima difesa discolpante e la derubricazione da tentato omicidio a lesioni semplici. Entrambe hanno chiesto in ogni caso che la pena venga sospesa a favore di un trattamento stazionario affinché l’imputata possa curare la sua dipendenza da alcol e il disturbo di personalità misto di cui soffre. Pedretti in particolare in quanto una perizia indica un rischio di recidiva elevato senza cure, Polli «affinché la mia assistita possa ricominciare con solide premesse, con un percorso di cura in un contesto adeguato».
Come accennato, la Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani ha condannato la donna a quattro anni sospesi a favore di un trattamento stazionario in un centro di cura per le dipendenze. A questa misura ha abbinato un trattamento ambulatoriale per la cura del disturbo di personalità misto. La colpa della donna, tenuto conto della scemata imputabilità, è stata ritenuta medio-grave. Quanto alla ricostruzione dei fatti, è stata sposata la tesi accusatoria, e quella difensiva non è stata ritenuta credibile. L’imputata è stata però assolta dall’accusa di coazione. La coltellata, ha riassunto Ermani, è avvenuta «in una relazione malata composta da due persone ugualmente malate».