Lugano

Occhio, i falsi nipoti sfruttano il coronavirus

La pandemia viene usata da chi estorce denaro agli anziani fingendo di essere un parente in difficoltà - Dicono di aver bisogno di soldi per pagare le cure in terapia intensiva - Una vittima della truffa racconta la sua storia
Dall’altra parte della cornetta potrebbe esserci chiunque.  (Foto Archivio CdT)
Giuliano Gasperi
15.05.2021 06:00

Tra gli innumerevoli problemi causati dalla pandemia c’è il fatto di aver offerto un’arma in più agli ormai famosi falsi nipoti, cioè quei criminali che riescono a estorcere denaro agli anziani fingendo di essere dei familiari in difficoltà. Il fenomeno, che ieri a Lugano è stato al centro di un processo terminato con la condanna di un giovane polacco a 20 mesi di detenzione e a 7 anni di espulsione, non sembra diminuire d’intensità. Anzi. «Queste truffe sono tra le più frequenti» ci confermano dal Servizio comunicazione della Polizia cantonale. «Le importanti e periodiche campagne di prevenzione hanno permesso di contenere il numero delle vittime, rendendo però ancora più intraprendenti gli autori dei raggiri che, in alcuni casi, non hanno esitato a fingersi ricoverati nel reparto di cure intense di un ospedale ticinese, millantando di essere affetti da coronavirus e di aver bisogno di denaro per le terapie». Una leva emotiva utilizzata in un periodo in cui ci sentiamo tutti più fragili, non solo chi è in età avanzata.

Non solo contanti
L’anno scorso gli inganni si sono concentrati fra luglio e ottobre: non il periodo più acuto dell’emergenza sanitaria, ma sicuramente quello in cui per tutti, malviventi compresi, era meno complicato spostarsi da un luogo all’altro e in particolare da un Paese all’altro. Sulle duecento truffe tentate, sette sono quelle riuscite. La percentuale può sembrare bassa, ma il danno complessivo è relativamente alto: 200.000 franchi. In altre parole: quando colpiscono, i falsi nipoti fanno male. In un caso, un uomo ha convinto un’anziana a cedergli il suo intero patrimonio, sottraendole anche gioielli e altri valori. È stato arrestato.

«Sua figlia sta morendo»
Una delle vittime della banda di cui faceva parte il giovane processato, il cui ruolo era quello di trasportare il denaro, ci ha raccontato la sua storia. «Uno di loro mi ha telefonato fingendo di essere un dottore e dicendomi: “Sua figlia sta morendo”. Mi spiegava che aveva avuto un malore mentre era alla guida e che era riuscita, con le sue ultime forze, a chiamare i soccorsi. La mia reazione immediata è stata quella di chiedere in quale ospedale si trovasse. Volevo essere vicino a lei, ma quell’uomo mi ha bloccato: “No, non si può, per via del coronavirus”». Ecco un altro ricorso alla pandemia, in questo caso per tenere in piedi il castello di bugie. «Sul momento la cosa mi sembrava verosimile, perché mia figlia appena un paio di giorni prima aveva avuto la febbre alta». Le circostanze quindi non hanno aiutato. A un certo punto, immancabile, è arrivata la richiesta di denaro. «Diceva che servivano molti soldi per delle punture particolari provenienti dagli Stati Uniti. In seguito a parlarmi è stato un complice che fingeva di essere mio figlio e mi diceva che avrebbe anticipato una parte del denaro, mentre il resto avrei dovuto prelevarlo io in banca». Così la signora ha fatto, insistendo con il personale del suo istituto di credito per avere subito la somma che le serviva (decine di migliaia di franchi) e che ha consegnato poi nelle mani sbagliate. Solo più tardi, rintracciando al telefono il vero figlio, si è accorta di cos’era successo.

Anche lui una preda
Ieri l’anziana era presente al processo, anche se l’imputato non era quello a cui aveva dato fisicamente il denaro. I suoi complici, o meglio dire capi, lo avevano reclutato in un casinò. Aveva il vizio del gioco e in più era tossicodipendente, con tutti i problemi economici che possono derivare dalle due cose. Era una preda, proprio come le vittime della sua banda. In aula, di fronte al giudice Amos Pagnamenta, l’uomo è apparso sinceramente pentito e desideroso di cambiare vita. «Voglio trovare un lavoro onesto - ha detto - e costruire un futuro con la mia compagna».

Quella domanda in più allo sportello

La storia dell’anziana che si è confidata con noi fa riflettere anche sul ruolo delle banche nei casi di truffa del falso nipote. Dato che le vittime vengono spesso convinte a prelevare ingenti somme e che magari si presentano allo sportello visibilmente agitate, è ipotizzabile che il personale ponga loro una sorta di «domanda di sicurezza» per tutelarle? La legge sulla privacy è un ostacolo importante in tal senso, ma chi è stato ingannato, con il senno di poi, sacrificherebbe volentieri un po’ della sua privacy per evitare la truffa. Il problema è noto fra gli addetti ai lavori, come ci conferma il direttore dell’Associazione Bancaria Ticinese Franco Citterio. «La polizia ha sensibilizzato il nostro settore - spiega - e la maggior parte degli istituti di credito ha adottato misure interne per prevenire queste situazioni. Qualche domanda il funzionario è tenuto a farla, e se dovesse avere dubbi è consigliabile che prenda contatto o con un familiare stretto, o con una persona che ha la procura sul conto della potenziale vittima». Se un cliente appare lucido nella sua richiesta, chiaramente, la banca non può negargli il denaro. Ecco perché è importante cogliere ogni segnale. «Chi lavora a contatto con l’utenza deve tenere gli occhi aperti - concorda Citterio - e sono certo che nella maggior parte dei casi viene fatto».