Parlamento

Ogni abuso dovrà essere denunciato

Accolta all’unanimità l’iniziativa dell’MpS che chiede di rendere obbligatoria la notifica di ogni indizio di reato da parte dei membri del clero – Simona Genini: «Nessuno deve sottrarsi all’obbligo di accertare la verità» – Osservazioni dal Governo per questioni tecniche
©Gabriele Putzu
Giona Carcano
17.11.2025 23:00

«Nessuna confessione religiosa riconosciuta di diritto pubblico dovrebbe essere esonerata da un dovere di cooperazione con le autorità civili, soprattutto quando è in gioco la protezione di minori e persone vulnerabili». L’auspicio in calce al corposo rapporto della Commissione Costituzione e leggi dei relatori Lara Filippini (UDC), Simona Genini (PLR), Daria Lepori (PS), Gianluca Padlina (Centro), Giulia Petralli (Verdi) e Omar Balli (Lega), ha trovato il pieno supporto del Parlamento. Dando in questo modo via libera a un passo importante nel rapporto tra Stato e Chiesa: quest’ultima (ma anche quella evangelica), infatti, sarà tenuta per legge a notificare alle autorità preposte ogni indizio di reato commesso da un membro del clero.

Breve inciso: il testo, come vedremo più avanti, tornerà in aula. Il Governo ha chiesto una seconda lettura per questioni «tecniche». Ma non inciderà sulla sostanza appena votata.

Un vuoto normativo

Il passo appena compiuto dal Gran Consiglio nasce da un’iniziativa parlamentare presentata nel settembre dello scorso anno dall’MpS. Appena pochi mesi dopo, dunque, lo scoppio del caso di don Rolando Leo, il sacerdote della Diocesi di Lugano condannato in agosto per atti sessuali con fanciulli. Gli iniziativisti sollevavano una questione centrale: la mancanza di chiarezza e di tempestività nella trasmissione di informazioni da parte delle autorità ecclesiastiche alla Magistratura. La segnalazione, infatti, era avvenuta solo diversi mesi dopo che la Curia aveva preso conoscenza del caso. Quanto accaduto, scriveva l’MpS, dimostra quindi «l’esistenza di un vuoto normativo che permette all’autorità religiosa di agire con discrezionalità, anche in casi di particolare gravità». Anche perché, e pure questo aspetto è stato sottolineato, ad oggi è il procuratore pubblico a notificare all’ordinario (il vescovo) l’apertura di un procedimento penale. Non esiste, insomma, un obbligo speculare di segnalare immediatamente reati o sospetti di reato che coinvolgono membri del clero. Un vuoto normativo che, va da sé, non tutela le vittime di abusi.

Il limite dei 30 giorni

In aula non è comunque mancata qualche critica al Parlamento, in particolare dagli iniziativisti. «Sono sorpreso», ha infatti detto Giuseppe Sergi, «che nonostante il problema degli abusi sia conosciuto da decenni, nessuno abbia messo mano a un rapporto più corretto tra autorità ecclesiastiche e civili». Ad ogni modo, per Sergi il lavoro svolto dalla Commissione – che nella pratica ha presentato un controprogetto – è condivisibile. «Perché mantiene il cuore dell’iniziativa: l’obbligo di notifica e l’introduzione di un termine chiaro (al più tardi entro 30 giorni, ndr) e vincolante tra il venire a conoscenza di un possibile reato e la segnalazione alla Magistratura». Un’essenza che «non toglie nulla alla libertà religiosa ma ribadisce un principio: i reati si denunciano subito, senza zone d’ombra».

«Atto di responsabilità»

La parola è quindi passata a Lara Filippini, che inizialmente ha ricordato la genesi della proposta in discussione. «Nasce da una vicenda, quella di Don Rolando Leo, che ha toccato profondamente la nostra comunità e che ha mostrato con chiarezza come la discrezionalità interna alla Curia non basti». Insomma, «non ci si può trincerare dietro passaggi di consegne mancati o difficoltà organizzative quando in gioco c’è la protezione delle vittime». Il vuoto normativo, dunque, va colmato. «Non si tratta di un’ingerenza, ma di un atto di responsabilità istituzionale, necessario per rendere effettiva una collaborazione che finora è rimasta solo parziale», ha proseguito la deputata democentrista. «L’ordinario non è chiamato a indagare né a giudicare, ma semplicemente a trasmettere le informazioni, quelle che presentano un minimo di riscontro oggettivo. Così si evita, da un lato, l’abuso della segnalazione, e dall’altro, il silenzio che alimenta l’omertà». In definitiva, per Filippini «con questo testo, il Ticino si dota di una regola chiara, che protegge le vittime, sostiene chi segnala e restituisce credibilità alle istituzioni».

«Punto di svolta»

Delle vittime di abusi in ambito ecclesiastico ha parlato anche Simona Genini a nome del gruppo PLR: un tema «che occupa la società e la politica di questo Cantone da decenni», ha detto in aula. «E se oggi giungiamo a questo passo è perché la convinzione maturata è chiara: gli strumenti esistenti non sono bastati, e non hanno impedito casi gravi – anche recenti – che hanno coinvolto non solo minorenni, ma anche adulti in condizioni di vulnerabilità». Un passo «necessario», quello dell’obbligo di denuncia, che rappresenta «un punto di svolta istituzionale» e che arriva «in un momento storico in cui, a livello nazionale e internazionale, si è affermata una nuova sensibilità: più trasparenza, più collaborazione, più tutela delle vittime». Come ha ricordato ancora Genini, questo cambio di paradigma «è profondamente coerente con quanto chiede la stessa Chiesa universale oggi». Dunque, «non è una frattura, è una convergenza». Più in generale, per la deputata liberale radicale «il principio che deve guidarci è semplice: nessuna struttura può sottrarsi all’obbligo di contribuire all’accertamento della verità, quando sono in gioco reati perseguibili d’ufficio specie se commessi in danno di soggetti vulnerabili».

Chiesta una seconda lettura

Gianluca Padlina ha da parte sua sottolineato la bontà della riforma, «che non entra nella dimensione spirituale né interferisce con l’autonomia della Chiesa, ma va a tutelare l’integrità delle persone». Per il deputato del Centro, inoltre, «l’assenza dell’obbligo di segnalazione è una lacuna che ha impedito di far emergere fatti gravissimi», e che dimostra che «gli attuali strumenti normativi non sono sufficienti». Telegrafico, invece, l’intervento di Omar Balli: «È fondamentale che la Chiesa cattolica non venga trattata né peggio né meglio degli altri enti di diritto pubblico».

Ha parlato di «passo necessario» anche Daria Lepori. «Come società abbiamo il compito di proteggere i più fragili. In molte, troppe situazioni, abbiamo fallito. Quello che ora possiamo e dobbiamo fare è evitare che episodi del genere si ripetano». Per Giulia Petralli, invece, «ogni volta che una segnalazione viene chiusa in un cassetto, si crea una violenza aggiuntiva alla vittima». E il caso di don Leo ne è un promemoria. Appoggio alla riforma è quindi arrivato anche da tutti i partiti che non fanno gruppo.

In chiusura, l’inghippo. Pur salutando favorevolmente l’iniziativa a nome del Governo accogliendone il principio, Norman Gobbi ha sollevato alcune questioni di carattere giuridico contenute nel rapporto, a cominciare dalla sottile differenza tra «sospetto» di reato e «indizio» (il Governo propende per la prima formulazione). Questioni tecniche, sì, ma che hanno portato l’Esecutivo a chiedere una seconda lettura. Nelle prossime settimane, dunque, il Consiglio di Stato farà le sue osservazioni e le presenterà per il voto al Parlamento. Sarà lo stesso plenum ad accoglierle o meno. Ma la sostanza non cambierà.