Oltre alle minacce, l'ha anche colpita con l'ascia?

(Aggiornato alle 16.46) L'ex amica l'ha almeno minacciata, ma aveva anche un’ascia e l’ha colpita alla testa, rischiando potenzialmente di ucciderla? È iniziato stamattina alle Assise criminali di Lugano il processo a carico di un 41.enne ungherese residente a Cimadera accusato di avere, il 24 gennaio, forse colpito in un bosco con un’ascia una donna. L’uomo è in carcere da allora.
Il fulcro del procedimento penale sarà determinare cosa è esattamente accaduto quel giorno. In questo senso lo stesso procuratore pubblico Claudio Luraschi ha lasciato aperte diverse ipotesi. L’imputazione principale sull’atto d’accusa è di tentato omicidio intenzionale, ma in subordine sono ipotizzati anche i reati di tentate lesioni gravi, lesioni semplici qualificate e minaccia.
L’imputato, difeso dall’avvocato Luca Taddei, avrebbe colpito o minacciato la donna perché questa l’aveva denunciato alla Società protezione animali di Bellinzona. La vittima in passato si era presa cura dei suoi cani. Stando a quanto ricostruito da Luraschi, nel tardo pomeriggio di quel 24 gennaio l’imputato ha visto la vittima inoltrarsi nel bosco a Cimadera in compagnia di due cani e di un’amica. Quando ha visto l’amica tornare dal bosco da sola, si è incamminato verso la zona boschiva «portando con sé una scure lunga circa 70 centimetri e pesante 2,225 chili».
Così ha raggiunto l’ex amica, le ha urlato contro, l'ha afferrata al collo con la mano sinistra e con la mano destra ha brandito la scure colpendola di striscio col il piatto con un colpo dall’alto al basso. La vittima «per circostanze fortuite subì unicamente una lesione escoriativa con sanguinamento, di circa 1 centimetro per 1 centimetro».
Nell’ipotesi subordinata della minaccia la ferita non viene invece menzionata ma il movimento dall’alto al basso sì: avrebbe però causato nella vittima solo «forte spavento e il timore di essere uccisa o ferita gravemente».
In mattinata si è proceduto all’interrogatorio dell’ungherese. L’uomo ammette di essersi recato verso il bosco, ma di non avere avuto con sé l’ascia (ma un testimone dice il contrario). Afferma anche di aver bevuto. Una volta che ha incontrato l’ex amica le ha scattato delle foto («Forse per documentare, forse perché artistiche»). In seguito ci sarebbe stato un reciproco scontro verbale e lui l’avrebbe presa per il bavero del maglione all’altezza del collo. «Come spiega allora che sul collo della vittima sono stati rinvenuti segni compatibili alle dita di una mano?», gli ha chiesto il giudice Amos Pagnamenta. «Non lo so, forse è stato il suo compagno». Compagno che è proprio chi infine li avrebbe separati: giunto sul posto avrebbe visto che l'ungherese teneva per il collo la donna e la minacciava con un’ascia. Non avrebbe però visto il colpo. L’imputato contesta questa versione.
Sull’ascia però, ha sottolineato Pagnamenta, è stato rinvenuto il DNA della vittima: come si spiega? «Il suo DNA era dappertutto in casa mia e l’ascia stava di fianco alla porta e spesso si ribaltava - ha ribattuto l'imputato. - L’avrà tirata su una o più volte».
Al termine della sua requisitoria, il procuratore Luraschi è passato alle richieste di pena, in maniera insolita. Il pp ha infatti sì chiesto 5 anni e 9 mesi di carcere nel caso l’ungherese verrà trovato colpevole di tentato omicidio intenzionale e l’espulsione per 10 anni dalla Svizzera. Ma ha anche fatto richieste nel caso il reato ascrittogli sarà quello di tentate lesioni gravi o lesioni semplici, una cosa che non si vede tutti i giorni: 4 anni e 7 d’espulsione nella prima ipotesi, 30 mesi nella seconda, di cui 15 da espiare, senza espulsione.
Luraschi è in ogni caso certo della colpevolezza dell’ungherese: «La vittima e l’ex compagno hanno rilasciato dichiarazioni congrue tra di loro che dicono che aveva con sé l’ascia, Dichiarazioni riconfermate anche dopo che i rapporti fra loro si sono deteriorati pesantemente. E il DNA della vittima sulla scure è stato rinvenuto solo sulla parte piatta di un lato della testa in metallo. Non so voi se avete già raccolto un’ascia: ma penso sia impossibile farlo toccando solo un lato della testa».
L’accusa ha citato anche una perizia psichiatrica che ha determinato una lieve scemata imputabilità dell’imputato e un alto rischio di recidiva. In essa, secondo Luraschi, si trovano i motivi del gesto. Il pp, citando la perizia, ha detto: «L’imputato soffre di un disturbo narcisistico e voleva punire chi l’aveva deluso denunciandolo alle autorità. Era inoltre in una situazione di pressione per altri fattori e non è riuscito a gestire la pressione crescente, per la quale non ha chiesto aiuto. Stavolta non ha somatizzato ed è passato all’atto per smaltire la rabbia e la tensione».
Nella sua arringa difensiva, invece, l’avvocato Taddei si è battuto per il proscioglimento da ogni accusa del suo imputato. «La vittima ha ingigantito la situazione. Che abbiano litigato ci sta, ma quello che ha riferito è esagerato e, soprattutto, non abbiamo alcuna prova che il mio assistito brandisse un’ascia e che questa abbia effettivamente ferito la donna». Taddei ha provato a smontare l’impianto accusatorio pezzo per pezzo, sostenendo che le testimonianze della vittima e del suo ex compagno non fossero credibili perché contraddette dalle risultanze d’inchiesta, dalla logica o dai numerosi cambi di versione dei due: «Non dico che mentono – ha detto Taddei, - ma che si ricordano quello che vogliono ricordarsi». E non, è il sottinteso, ciò che sarebbe veramente successo. «Si vuole davvero credere che il mio assistito, con il 2,17 per mille di alcol in corpo, brandendo un’ascia con la destra, ha afferrato per il collo la donna con la sinistra e in questa posizione l’ha spostata per diversi metri su un terreno in forte pendenza – senza mai mollare la presa – fino a cambiare con una mano sola l’impugnatura dell’ascia e fermare il colpo con precisione sfiorandola appena?», ha detto ancora il legale rivolgendosi alla Corte e agli assessori giurati.
La sentenza sarà comunicata a breve.