Ora i frontalieri non crescono più
In Ticino i frontalieri non crescono più. O, almeno, questa sembra essere la tendenza alla luce dei dati del terzo trimestre forniti ieri dall’Ufficio federale di statistica. Dopo aver superato un anno fa gli 80 mila lavoratori con permesso G, in Ticino a settembre di quest’anno il numero è calato di oltre mille unità, attestandosi a 79.303. Un dato in diminuzione dello 0,6% rispetto a giugno e dell’1,3% rispetto al 2023. Oltretutto, in controtendenza rispetto ai numeri svizzeri, dove i frontalieri sono saliti a quota 403.243, in aumento dello 0,7% rispetto al trimestre precedente e del 2,4% su base annua.
L’impatto del nuovo accordo
Il calo dei frontalieri non sorprende affatto il sindacalista dell’OCST Andrea Puglia, soprattutto alla luce dell’entrata in vigore - a gennaio - del nuovo accordo fiscale sui frontalieri. La nuova intesa tra Berna e Roma prevede infatti che i cosiddetti nuovi frontalieri paghino le imposte sia in Italia che in Svizzera, rendendo di fatto meno attrattivo il posto di lavoro al di qua del confine. E in effetti, dice Puglia, «i dati del terzo trimestre di quest’anno sono in buona parte influenzati dal nuovo accordo fiscale». Il mercato del lavoro ticinese «resta ancora attrattivo per la manodopera frontaliera, ma soltanto per coloro che ricevono proposte di lavoro con salari in linea con quelli svizzeri, quindi di un buon livello. Al contrario, tutte le offerte di lavoro che si attestano sul minimo salariale, e che un tempo venivano accettate senza troppi problemi, ora vengono rifiutate». Per quanto riguarda la lotta al dumping, quindi, «sembra che il nuovo accordo stia funzionando».
La corsa ai più qualificati
Parallelamente, si sta assistendo però anche a un altro fenomeno: la difficoltà ad attirare profili specializzati. «C’è una maggiore ritrosia ad accettare un impiego in Svizzera da parte di chi ha un altissimo valore aggiunto», ammette Puglia. «A differenza del passato, oggi le aziende per riuscire a reclutare queste figure devono poter offrire remunerazioni maggiori». Addirittura, prosegue il sindacalista, i lavoratori con salari annui molto elevati, per evitare il salasso del fisco italiano, sono più propensi a trasferirsi in Ticino. «Chi non ha figli o particolari vincoli familiari valuta sempre più spesso di chiedere un permesso B. Di conseguenza, è probabile che a fronte del calo del frontalierato si registri un aumento dei domiciliati in Ticino».
Le maggiori pretese salariali avanzate dal personale potrebbero però accrescere la pressione sulle aziende. Secondo Michele Rossi, delegato alle relazioni esterne della Camera di commercio, «la scarsità di profili specializzati farà in modo che alcune aziende saranno tenute almeno in parte a prendere in considerazione le richieste che verranno formulate. Questo però potrebbe essere un problema». I dati del terzo trimestre, dice Rossi, «fanno intuire che la nuova intesa fiscale abbia già sortito un primo effetto sul numero di frontalieri, rendendo meno attrattivo il nostro mercato del lavoro. Del resto, questa era la volontà della classe politica, mentre l’economia era di diverso avviso». E ora che l’accordo è realtà, il mondo imprenditoriale inizia a notare i primi contraccolpi. «L’accordo fiscale è un ostacolo in più, in particolare per i profili specializzati, sempre meno numerosi e sempre più ricercati. Non va dimenticato infatti che anche l’Italia si è accorta che il personale qualificato è un bene prezioso e che sta quindi introducendo vari strumenti - come la tassa sulla salute - per cercare di trattenere questi profili sul territorio. Occorrerà quindi capire anche da noi come colmare la carenza di manodopera». Anche perché, evidenzia Rossi, la tendenza demografica non aiuta, anzi. «Rischia di accentuare il problema. Nei prossimi anni i babyboomer andranno in pensione e non sarà possibile sostituirli tutti, quindi verrà a crearsi una notevole penuria di personale».
Il nodo del telelavoro
Secondo il sindacalista dell’OCST Puglia, tuttavia, c’è un’altra ragione alla base del calo del numero di permessi G: il telelavoro. «Nel caso dei frontalieri, il telelavoro è possibile solo nella misura del 25%. Ma in alcuni settori - come quello informatico - i profili più qualificati preferiscono lavorare per aziende italiane che garantiscono la possibilità di lavorare interamente da casa e andare in ufficio solo saltuariamente. Questo sta penalizzando molto le realtà ticinesi, specialmente per alcuni ambiti». A tutto ciò, si aggiungono infine altri due elementi: la contrazione del settore industriale ticinese e, in parallelo, la lenta ripresa dell’economia lombarda. «Da un lato, in Ticino stanno fallendo tante aziende e un gran numero dei dipendenti licenziati sono proprio frontalieri. Dall’altro, ormai da qualche anno l’economia lombarda è ripartita, dando nuovo impulso all’occupazione e, in misura minore, anche ai salari. Questo spinge un po’ meno persone a guardare al mercato svizzero».
Per chi resta vantaggioso
Chi guarda, allora, oggi al Ticino? «Rimane una meta interessante per la fascia salariale tra i 4.500 e i 7 mila franchi lordi», risponde Puglia. «Molto, però, dipende dalle professioni. Ad esempio, nonostante la doppia tassazione, il settore sanitario rimane molto ambito dal personale curante italiano, visto che oltre confine non arriverebbe mai a percepire salari simili». In effetti guardando i dati si nota come il settore sanitario abbia incrementato i propri dipendenti rispetto all’anno scorso (+105 unità, per un totale di 5.593 addetti). Il settore terziario, invece, ha conosciuto una leggera contrazione rispetto ai dati del 2023 (-617 unità, a quota 53.714), con un calo degli addetti nel ramo del commercio (-500 unità), ma anche in quello dell’alloggio e della ristorazione (-748). Per contro, si registra un aumento nel comparto delle attività professionali, scientifiche e tecniche (+484). Per quanto riguarda il settore secondario, invece, la diminuzione dei frontalieri è stata del 2% (-495 unità, a quota 24.831). In particolare, i lavoratori con permesso G nelle attività manifatturiere – che impiegano in totale oltre 16 mila frontalieri - sono diminuiti di 284 unità (da 16.789 a 16.505).