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Pace al San Lucio? Macché, sembrava il Mugello

Domenica decine di motoslitte hanno invaso il passo in cima alla Valcolla, distinguendosi per rumore, odore e anche una certa audacia dei piloti – Presa d’assalto la capanna sul versante italiano
© Massimo Solari
Massimo Solari
10.01.2021 20:35

La premessa è doverosa. Per poter raccontare quanto segue, chi vi scrive si è per certi versi reso complice del problema. Ma inconsapevolmente e, in ogni caso, solo in minima parte. Di cosa parliamo? Della domenica assordante e ingombrante vissuta in cima alla Valcolla, sul passo del San Lucio. Una giornata baciata dal sole, ideale – vista la grande quantità di neve caduta in zona – per gli amanti delle racchette o gli appassionati delle pelli di foca. Bene. Tralasciamo la splendida ascesa da Bogno e concentriamoci sulla meta. Il passo, appunto, posto esattamente sul confine tra Svizzera e Italia. Impensabile, certo, immaginare di trovarlo incontaminato. Non a fronte delle condizioni metereologiche appena citate. E a maggior ragione considerata l’apertura di una delle due capanne, quella sul versante italiano.

Quanto trovato in vetta, tuttavia, è stato spiazzante. Niente tranquillità, men che meno sensazione di pace assoluta; quella favorita da un panorama pazzesco e dall’aria fina che si può respirare a pieni polmoni solo in altura. Sembrava, piuttosto, di essere stati catapultati al Mugello. Erano decine, infatti, le motoslitte protagoniste di una sorta di Gran Premio della montagna, intente a sfrecciare nella lingua bianca che separa i due rifugi, così come nei paraggi degli stessi e su in direzione del Gazzirola. Un viavai di mezzi rumorosi, pronti a zigzagare tra i camminatori di giornata e – con una certa audacia – tra le slitte e i bob di molti bambini saliti al San Lucio con le rispettive famiglie. Probabilmente tutto regolare e legale, ci mancherebbe. Inutile però sottolineare come il frastuono e l’odore acre generato dai gas di scarico non siano stati apprezzati da tutti i presenti. Anzi.

Oltre ad alcuni brontolii afferrati sul posto, un paio di escursionisti hanno preferito fare marcia indietro, optando per una pausa più serena all’Alpe Cottino, dieci minuti più in basso. A compiere un’altra scelta sono invece stati gli avventori della capanna italiana. Tanti, davvero, quelli che hanno sfruttato i servizi – bar e cucina – garantiti dai gestori.

Un’interpretazione un po’ al limite, chiamiamola così, della “zona arancione” decretata dal Governo italiano pure per la Lombardia. A fare a pugni con il concetto di cibo e bevande d’asporto – concessi effettivamente fino alle 18 – erano i diversi tavoli occupati pure all’interno della struttura. Il tutto con una tendenza all’assembramento non proprio indifferente.