«Per un mondo libero e antirazzista», corteo a Chiasso

«No borders, no nations, stop deportations» (no ai confini, no alle nazioni e stop alle deportazioni). È con questo slogan che, nel pomeriggio di oggi, è stato convocato un corteo davanti al Centro federale d'asilo di Chiasso, in via Milano 23. Sulla locandina, quali organizzatori, sono indicati il Collettivo R-Esistiamo e il SOA Il Molino, «con il sostegno di Mendrisiotto Regione aperta, volontari di Rebbio e Stop All'Ignoranza di Massa».
Una trentina di persone hanno assistito alla lettura di alcuni messaggi e slogan. Su uno striscione la scritta «Per un mondo libero, solidale e antirazzista», portato in corteo in un clima pacifico.
«Basta a ogni violenza», hanno quindi detto dagli altoparlanti, rivolti alla SEM, «sono persone. Nessun essere umano è illegale».
I manifestanti hanno attaccato «la propaganda razzista e xenofoba» legata alla cosiddetta «emergenza migranti».
La manifestazione, a fine pomeriggio, si è conclusa in piazza Indipendenza.
Già lo scorso aprile, all'esterno del Centro nella cittadina di confine, il Collettivo aveva tenuto una manifestazione a cui avevano partecipato una ventina di persone, con striscioni, musica e messaggi contro le autorità. L'obiettivo era «smascherare violenze e brutture da parte di Polizia e sicurezza privata». In un comunicato, si accusava la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) «per la qualità di vita di chi vive nei centri», dove «l’incolumità delle persone viene costantemente violata» e – vi si legge ancora – «sono all’ordine del giorno pestaggi, isolamenti nelle stanze di contenimento, violenze psicologiche con privazioni dei bisogni più elementari, messi in atto da agenti di cosiddetta sicurezza. E quando interviene la polizia, rincara la dose».
Nella prima domenica di agosto, il Collettivo R-Esistiamo aveva organizzato un «Pomeriggio solidale» al campetto di via Bossi. Gli striscioni: «Io ancora vedo orizzonti dove tu disegni confini», «Resistere alle frontiere», «Chiudere un bunker non è abbastanza» (il riferimento è al centro della protezione civile in cui alloggiavano i NEM, spostati a Bodio). Anche in quel caso, l'obiettivo era la denuncia delle «violenze sistematiche del sistema migratorio svizzero» e delle condizioni di vita all'interno delle strutture federali, tra sovraffollamento e isolamento.