Perle nascoste del Luganese: luoghi e cose che turisti e residenti forse non conoscono

Se camminando per il Luganese vi imbattete in delle «perle nascoste» del territorio potete scriverci a [email protected]. La redazione raccoglierà i vostri suggerimenti e sarà anche volentieri a disposizione per tentare di raccontarne la storia o, perlomeno, scoprire qualcosa in più su quei luoghi.
Trevano e le grotte del castello fatto saltare in aria

A Trevano ci sono delle grotte, ma non aspettatevi stalattiti, stalagmiti o un laghetto sotterraneo come a quelle di Saint-Léonard. Le grotte in tufo sono una delle poche testimonianze rimaste dello splendido castello, fatto saltare in aria nel 1961 per costruire il centro studi. Una demolizione che - e oggi a 60 anni di distanza possiamo dirlo - rappresenta uno dei più grossi errori pianificatori mai commessi in Ticino. Anche perché quella reggia, considerata tra le più belle della Svizzera, sarebbe oggi probabilmente uno dei luoghi turistici più importanti e fotografati di Lugano. La villa e il parco vennero costruiti nel 1871 per volere del barone russo Paul von Derwie e ospitavano perfino un teatro privato e una grande sala da concerti con un’orchestra stabile che venne licenziata nel 1881, alla morte del barone. Il castello venne poi acquistato da Louis Lombard, che lo fece rivivere perlomeno fino allo scoppio della Prima Guerra mondiale.
Ma torniamo alle grotte. Era piuttosto frequente all’epoca realizzare parchi e giardini «magici» in Europa (i più famosi sono probabilmente quelli di Sintra, non lontano da Lisbona, in Portogallo - patrimonio dell’UNESCO), con grotte scavate appunto nel tufo per collegare le varie parti dei giardini o, semplicemente, per rendere più divertente e affascinante la visita. Le grotte di Trevano possono ancora essere osservate oggi e si trovano all’inizio del boschetto, a pochi metri della fontana (la più grande in Ticino) e da quello che ora è il posteggio della SUPSI. Il grande parco - di 300.000 metri quadrati - conserva (e in realtà conserva ancora ai giorni nostri) piante provenienti da tutto il mondo e, non a caso, c’è in fase di studio un progetto per rivalorizzarlo e collegarlo al futuro Nuovo Quartiere di Cornaredo, che da Trevano si raggiunge facilmente scendendo la collina. Parco e castello - e questo è estremamente affascinante - era dotato di un suo sistema d’illuminazione. Ma c’era anche un anfiteatro naturale, una fattoria con nevera e caseificio (il castello era collegato alla Masseria di Cornaredo), cascate, una torre ispirata al periodo medioevale e un tempietto della musica. La proprietà era illuminata appunto da 400 lampioni a gas, mentre tutta Lugano all’epoca ne contava solamente una settantina. C’erano due laghetti, un edificio ispirato alle terme romane (con tanto di calidario, sedario e vasca), un acquario con sette vasche (che riprendeva l’idea dei sette mari) e una serra. Il castello come detto venne demolito nel 1961. Ormai in disuso, venne acquistato nel 1931 dal Cantone e durante la Seconda Guerra mondiale ospitò profughi, internati e rifugiati (soprattutto italiani).
Il cimitero ebraico di Pazzallo, che il Municipio di Lugano non volle

A Lugano c’è un cimitero ebraico. L’unico in Ticino tra l’altro. Trovarlo non è facile. Occorre imboccare via alla Campagna e poi costeggiare l’A2 a Pazzallo. Tra prefabbricati fatiscenti, qualche paker impegnato sui cantieri autostradali (ormai perenni in quella zona) e seguendo come punto di riferimento le insegne del vicinissimo quartiere a luci rosse, ci si imbatte in questo cimitero, neanche poi così piccolo. Un luogo affascinate, ricco di storia, ma inserito in un contesto non molto decoroso. E lontano dal centro. Molto lontano dal centro. «In realtà - ci spiega Elio Bollag, portavoce della comunità israelita - il fatto che si trovi in un luogo non facilissimo da trovare l’ha probabilmente messo al riparo dagli atti vandalici». Danneggiamenti e profanazioni che purtroppo continuano ad accadere, ancora recentemente, in diversi luoghi d’Europa. «Una volta invece il Cantone - continua Bollag - chiese se non fosse fastidiosa la presenza di postriboli nelle immediate vicinanze. Abbiamo semplicemente risposto che, per quanto di nostra conoscenza, nessuno degli ospiti del cimitero si erano fino ad allora lamentati».
Ma il cimitero è anche la testimonianza della presenza di una comunità che, soprattutto nell’ultimo secolo, è stata molto importante e molto presente a Lugano. In Corso Elvezia per esempio poteva capitare di sentir parlare yiddish. «Certo. C’erano alberghi (l’Hotel Dan e il Kampler, ndr) e una decina di negozi», conferma Bollag. C’erano. Oggi non più. La comunità ebraica si è assottigliata. Resiste, sì, ma è sempre meno numerosa. Molti ebrei - e quasi tutti gli ortodossi - hanno lasciato Lugano per raggiungere comunità più numerose. In Israele, a New York, a Zurigo o ad Anversa. «Il sabato mattina in sinagoga - spiega Bollag - siamo ormai rimasti in 10 o in 15 al massimo». Ma torniamo al cimitero. Venne costruito nel 1919. L’assemblea comunale di Pazzallo concesse i diritti di costruzione (il progetto è dall’architetto Achille Galli), che invece qualche tempo prima erano stati negati dal Municipio di Lugano. «Sembra che prima del 1919 - spiega Bollag - i pochi ebrei presenti a Lugano venissero portati sul Monte Bré. Dopo la grande guerra iniziò ad esserci una piccola comunità. E per comunità, secondo un precetto, si intende la presenza di almeno 10 uomini con più di 13 anni di età. All’epoca a uno straniero di passaggio in Ticino morì la moglie, e chiese di poterla seppellirla a Lugano, comprando quell’appezzamento di terra». Dove all’epoca non c’era praticamente nulla. È così che iniziò la storia del cimitero, dove è sepolta anche Alessandrina Krahl, una ragazza di Fiume che negli anni Quaranta venne scoperta dai nazisti ma riuscì a rifugiarsi in Svizzera. All’ospedale Beata Vergine di Mendrisio, che all’epoca era - a quanto pare - un rifugio per fuggiaschi e perseguitati. Krahl, malata, morì nell’aprile del 1944 a soli 22 anni.
Il termosifone dello Splendide, che nel 1928 scaldò i potenti

È una foto che fece il giro del mondo. Ritrae il ministro degli esteri francese Aristide Briand, quello tedesco Gustav Stresemann e quello inglese Sir Austen Chamberlain discutere animatamente attorno a un tavolo, riscaldati da un grande termosifone bianco dell’Hotel Splendide Royal di Lugano. Era il 1928 e sono dunque passati quasi cento anni da quell’incontro. Il termosifone è ancora al suo posto nella hall dove, in ricordo, è stata anche incorniciata la fotografia di quello che la storiografia ricorda come il «Vertice di Lugano». Ma chi erano i tre ministri immortalati? E cosa ci facevano a Lugano? Di cosa stavano discutendo? Iniziamo col dire che quell’incontro fu il secondo grande appuntamento di politica internazionale organizzato in Ticino in poco tempo. Tre anni prima - con tra l’altro più o meno gli stessi partecipanti - il nostro cantone aveva ospitato gli incontri che portarono poi alla firma del Patto di Locarno. Nel dicembre del 1928 Briand, Stresemann e Chamberlain raggiunsero il Ceresio per una riunione della Società delle Nazioni a cui parteciparono capi di Stato un po’ di tutto il mondo. All’ordine del giorno c’era, tra le altre cose, la crisi tra Bolivia e Paraguay (che sfociò nel 1932 nella guerra del Chaco) e quella sanitaria in Grecia.
Sedi principali della conferenza, stando ai giornali dell’epoca, erano il Kursaal e villa Ciani ma incontri separati vennero organizzati in tutta la città. Francia, Gran Bretagna e Germania approfittarono del meeting per discutere della situazione nel nostro Continente e proprio uno di questi incontri si tenne allo Splendide, che ospitava Stresemann e la sua delegazione. Il ministro degli esteri tedesco - tra l’altro ex cancelliere - era stato l’artefice dell’adesione della Germania alla società delle Nazioni. Durante i colloqui con il suo omologo francese Briand (per dieci volte presidente del Consiglio dei ministri) e con Chamberlain (fratello del futuro premier Neville Chamberlain) si parlò delle riparazioni di guerra e del richiamo delle truppe alleate dai territori tedeschi ancora occupati dalla fine della Prima guerra mondiale (la Renania e la Saar). E si tentò di chiarire la posizione dei rispettivi Governi dopo alcune dichiarazioni, soprattutto francesi, che avevano procurato un certo allarme. Non molto prima del resto (tra il ‘23 e il ‘25) truppe francesi e belghe avevano invaso la Ruhr in risposta all’inadempienza della Germania sui pagamenti delle riparazioni di guerra. Inutile dire che il termosifone che scaldò i ministri non è l’unica perla che si trova all’Hotel Splendide. Del resto, in un albergo che vanta 134 anni di storia, non potrebbe essere altrimenti. Potremmo per esempio parlare - e forse lo faremo - dei ritratti di Elisa e Alexander Bèha-Lang: un pezzo fondamentale di storia dell’albergheria luganese.
Scattò la foto e venne ucciso dai nazisti

Siamo avvolti dalla storia, ma spesso non ce ne rendiamo conto. Storia capace di nascondersi anche nelle cose più piccole. Sopra parlavamo del «calorifero che scaldò i potenti». Nella hall dell’Hotel Splendide Royal è infatti conservato un termosifone immortalato nel 1928 in una foto, che fece il giro del mondo, che ritraeva i ministri degli esteri Aristide Briand, quello tedesco Gustav Stresemann e quello inglese Sir Austen Chamberlain discutere animatamente attorno a un tavolo durante un incontro organizzato proprio a margine del vertice della Società delle Nazioni organizzato quell’anno a Lugano. Quel che non sapevamo - e ringraziamo moltissimo Arminio Sciolli per averci contattato e per avercelo raccontato - è che quella fotografia racchiude un’altra storia, forse perfino più grande ed emozionante. La storia, tragica, di chi quella foto la scattò: Erich Salomon.
Salomon era nato a Berlino nel 1886 da una famiglia di origine ebraica. Dopo la Prima guerra mondiale si appassionò alla fotografia. Celebre un suo ritratto di Marlene Dietrich (del 1930) e, più tardi nel 1937, del matrimonio della principessa (poi regina) Giuliana dei Paesi Bassi.Ma negli anni Venti Salomon era conosciuto soprattutto per essere tra i migliori fotoreporter dei grandi summit internazionali, Nel dicembre del 1925 era sulle rive del Verbano per la Conferenza di pace che portò alla firma del Patto di Locarno e nel luglio del 1928 immortalò la conferenza che si chiuse con il Patto Briand-Kellogg, con cui si stabilì di eliminare la guerra quale strumento di politica internazionale. Un trattato che poi fece da riferimento giuridico per la creazione del Tribunale internazionale militare e il processo di Norimberga. Pochi mesi dopo, in dicembre, Salomon arrivò a Lugano per fotografare la seduta della Società delle Nazioni e, appunto, scattare la famosa foto del calorifero dello Splendide. Gli attori principali, a Locarno come a Lugano, erano gli stessi: i ministri degli esteri Aristide Briand (Francia), Gustav Stresemann (Germania) e Austen Chamberlain (Gran Bretagna), tutti tra l’altro insigniti, tra il 1925 e il 1926, del premio Nobel proprio per essere stati co-ideatori dei Trattati di Locarno. Per aver cioè tentato di stabilizzare l’Europa e superare il sistema repressivo antitedesco in vigore dopo la pace di Versailles.
Ma torniamo a Salomon. Nel 1933 Hitler prese il potere in Germania e quando i nazisti iniziarono a perseguitare gli ebrei il fotografo si rifugiò nei Paesi Bassi. Life Magazine gli offrì un lavoro e gli propose di trasferirsi negli Stati Uniti, ma Salomon declinò, preferendo restare a L’Aia. Ma il 10 maggio 1940 la Germania invase i Paesi Bassi e, durante l’occupazione, iniziò il rastrellamento degli ebrei. Salomon riuscì a nascondersi ma - forse segnalato da un nazista olandese - venne catturato e trasferito prima al campo di Westerbork, poi a Theresienstadt e infine ad Auschwitz, dove morì il 7 luglio del 1944.A Salomon è dedicato un premio tedesco al fotogiornalismo: il Dr. Erich Salomon Award.
Impossibile non notare nella storia di Erich Salomon una triste beffa del destino. Divenne celebre per aver immortalato i politici intenti - durante i Vertici di Locarno, Parigi e anche di Lugano nel 1928 - a discutere le sorti dell’Europa e tentare una definitiva riappacificazione tra Francia e Germania, che il Trattato di Versailles del 1919 non aveva reso semplice. Briand, Chamberlain e Stresemann (tra i soggetti preferiti di Salomon) tentarono di creare un’Europa che superasse Versailles, sapendo che una Germania ferita e umiliata (all’epoca la Renania e la Saar erano ancora occupate dagli alleati, mentre nel 1923 francesi e belgi invasero la Ruhr)_sarebbe prima o poi tornata a mordere. Beffa del destino, dicevamo, visto che è proprio utilizzando la retorica della Germania pugnalata a morte e punita in modo eccessivo che, nel 1933, Adolf Hitler salì al potere. E con lui la politica antisemita che portò all’Olocausto e allo sterminio di sei milioni di ebrei. Tra cui anche Erich Salomon, ad Auschwitz, nel 1944.
Sempre Arminio Sciolli ci ha fatto sapere di aver donato al Comune di Locarno un’altra fotografia scattata da Salomon, ritraente Chamberlain in città per i Trattati del 1925. E chissà che tra 4 anni, in vista dei cento anni trascorsi da quella che è stata la più importante Conferenza internazionale mai organizzata in Ticino, Locarno non organizzi qualcosa. Magari proprio una mostra di fotografie di Salomon. Sarebbe interessante.
Al Lido c'è un pezzo di tribuna del vecchio stadio

Chi ha più di 75 anni ricorda di quando lo stadio del Lugano non era a Cornaredo. Chi è più giovane invece dà generalmente per scontato il fatto che i bianconeri abbiano sempre giocato lì. Ma, appunto, non è così. Per più di 40 anni, tra il 1908 e il 1951 , il Lugano giocò al Campo Marzio (l’area era nel contempo zona agricola, piazza d’armi e anche campo d’aviazione). Ed è a Campo Marzio che il Lugano visse il suo periodo più glorioso, conquistando tre titoli nazionali e una Coppa. Ma, oltre a qualche fotografia, di quello stadio è rimasto qualcosa? Sì, qualcosa si è salvato, e ringraziamo Roberto Mazza (direttore della Divisone Sport) per avercelo ricordato. Un pezzo della vecchia tribuna si trova in un luogo piuttosto impensabile: al Lido. Vicino alla piscina dei bambini c’è una piccola pergola, realizzata per fare un po’ d’ombra alla zona picnic. Una pergola sorretta da quattro colonne. Osservandole bene noterete che su di esse è inciso lo stemma della città e, appunto, lo stemma del Football Club Lugano. Quelle colonne erano parte della tribuna del Campo Marzio. In passato si pensò di smantellarle ma - così ci è stato raccontato - fu Giuliano Bignasca ad accorgersi appunto che facevano parte dell’antico stadio e che dunque andavano conservate. Ma torniamo a parlare di quel mitico impianto sportivo. I
l Campo Marzio («lungo 420 passi e largo 220», si legge nelle cronache dell’epoca) venne acquistato dalla Città nel 1862 dall’allora Comune di Castagnola. Il neonato Football Club Lugano ci gioca la sua prima partita il 13 settembre 1908. Sei a zero al Chiasso. Partita che ha due curiosità: i Lugano scende in campo in divisa bianca (il nero non era ancora previsto) e l’arbitro del match è Alfred Bosshard. Luganese, due volte campione d’Italia con il Milan e tra i fondatori, poco prima, dell’Inter. Bosshard e altri stranieri del Milan erano infatti in rotta con la società rossonera visto il divieto di arruolare calciatori non italiani. E allora, appunto, fondarono l’FC Internazionale. Ma torniamo al Lugano e a Campo Marzio. I bianconeri partirono dalla C, vinsero nel 1913, e nel 1922 si qualificarono in Serie A. In quel periodo tra l’altro in città un’altra squadra (i Giovani Calciatori Luganesi) arrivò a giocarsi la finale di Coppa con lo Young Boys. I bianconeri quella coppa la vinsero nel 1931. Nel 1932 lo stadio venne squalificato. Per tutta la stagione i bianconeri dovettero giocare ad almeno 100 chilometri di distanza. Come mai? Perché durante una partita con il Basilea l’arbitro - che negò al Lugano un rigore nettissimo all’ottantanovesimo - dovette scappare a bordo di un battello, inseguito dai tifosi. Terminata la squalifica, il Lugano al Campo Marzio vinse i titolo nel ‘38, nel ‘40 e nel ’49. Successi che spinsero il Municipio a realizzare uno stadio più idoneo: Cornaredo, inaugurato nel ‘51 e che nel ‘54 ospitò i Mondiali. Ma questa è tutta un’altra storia.
Quando al liceo rapirono Dante Alighieri

Il bronzo – si sa – è composto da rame e stagno, quest’ultimo in una proporzione che varia a seconda dell’uso che si vuol fare della lega metallica. La temperatura di fusione del bronzo va dagli 880 ai 1.020 gradi, a dipendenza della percentuale di stagno utilizzata. La chimica oltre alla fusione, ossia il passaggio dallo stato solido a quello liquido, contempla anche la sublimazione. È la transizione diretta di una determinata sostanza o materia, a un tot di gradi Celsius, dalla forma solida a quella aeriforme o gassosa che dir si voglia. Cosa che dalla sera alla mattina, nei mesi a cavallo tra la fine degli Anni ’70 e l’inizio degli ’80 dello scorso secolo, capitò al bronzeo busto di Dante Alighieri che a Lugano adorna l’androne del Liceo cantonale.
L’opera che ritrae il Sommo Poeta sublimò, nel senso che sparì, scomparve proprio, lasciando vuota la nicchia dove era stata posta nel 1921 per commemorare il seicentesimo anniversario della morte di colui che scrisse la Divina Commedia, come volle l’allora rettore del Liceo Francesco Chiesa, insegnante e a sua volta poeta. Qualche allievo, volgendo gli occhi verso la nicchia vuota, sicuramente avrà anche tirato un sospiro di sollievo, non dovendosi più sottoporre al severissimo sguardo di quel busto ormai uccel di bosco. Per la cronaca, il busto venne sottratto da un drappello di liceali e successivamente fu ritrovato nella Cattedrale di San Lorenzo, a qualche centinaio di metri in linea d’aria dalla sua dimora al numero 4 di viale Carlo Cattaneo, dove si trova tuttora. Ma quale è la genesi del busto di Dante che troneggia al Liceo 1?
Ebbene, è una replica fedele del busto in gesso con cui rappresentò il Sommo Poeta il celebre scultore ticinese Vincenzo Vela, nato il 3 maggio del 1820 a Ligornetto, dove morì il 3 ottobre del 1891 e la cui casa è diventata un museo a lui dedicato. «Il modello esecutivo in gesso di Vincenzo Vela risale al 1857, quando lo scultore si trovava a Torino, dove l’artista giunse nel 1853 da Milano per insegnare all’Accademia Albertina», spiega Gianna Mina, direttrice del Museo Vincenzo Vela, che aggiunge: «Una replica in marmo del medesimo busto di Torino il Vela la regalò poi nel 1879 alla Città di Lugano in segno di riconoscenza dopo che le autorità l’avevano insignito della cittadinanza onoraria. Questa replica trovò casa a Palazzo Civico, mentre un’ulteriore versione, risalente al 1888 e di cui la destinazione originaria non è conosciuta, è entrata a far parte della collezione del Museo d’arte della Svizzera italiana, sempre a Lugano».
«Una statua a figura intera di Dante, accompagnata da quella dedicata al pittore Giotto, adorna anche l’entrata della villa-museo di Ligornetto, quale segno che Vincenzo Vela riconosceva la propria arte appartenente alla grande tradizione della cultura italiana, lui che la fortuna critica se la guadagnò nel nascente Regno d’Italia», annota in conclusione Gianna Mina.
Quelle statue all’Ospedale italiano che insospettirono gli antifascisti

Anche nella neutralissima Lugano c’è un - piccolo - memoriale della Prima guerra mondiale, che celebra la vittoria italiana e il sacrificio dei soldati caduti. Si trova nel parco dell’Ospedale italiano e, quando nel 1926 venne inaugurato, scatenò polemiche. Faceva parte di un più ampio Viale delle Rimembranze, voluto dalla colonia italiana in Ticino per ricordare i soldati partiti e mai più tornati.
I loro nomi, molti ormai illeggibili, sono stati incisi nella pietra. Tra di essi anche quello di Pietro Capelli, primo direttore dell’Ospedale, ferito mortalmente in Trentino nel 1916. Il memoriale fece discutere perché c’è chi ci vide un tentativo di propaganda fascista. Era appunto il novembre del 1926, il mese in cui Mussolini sciolse i partiti, le associazioni e i giornali che contestavano il regime. Emblematico il titolo in prima pagina di Libera Stampa: «Monopoli infami!». Si denunciava come in Italia (e di riflesso tra gli italiani in Ticino) i fascisti stessero tentando di monopolizzare il patriottismo, la storia e il dramma della Prima guerra mondiale, infilandosi anche tra le associazioni dei reduci. E proprio alcuni reduci italo-ticinesi presero carta e penna e dichiararono che non avrebbero partecipato a una cerimonia «spiccatamente politica».
In effetti i toni utilizzati per chiamare la popolazione all’inaugurazione oggi suonano un po’ così così. Si parla di «stile del tempo nuovo», di «orgoglio d’ogni italiano vivo e sano». E c’è pure quella che sembra una minaccia neppure troppo velata: «Chi di voi mancherà all’adunata? Chi non tornerà commosso e fiero? Chi oserà restare assente?».
Ma torniamo al memoriale. Una statua ricorda l’impresa del Monte Grappa, mentre l’altra ospita una medaglia con la scritta (strana se si pensa che siamo in Svizzera) «Coniata nel bronzo nemico». In realtà significa che, come da decreto istitutivo italiano, è stata realizzata fondendo «le artiglierie tolte al nemico».
Osignano: la Gandria del Vedeggio (ma senza il lago)

La Gandria a 16 chilometri da Gandria. Ma senza il lago, senza i turisti e senza bar o ristoranti. Se in questo anno e mezzo di pandemia avete visitato ormai praticamente ogni angolo del Ticino ecco che questo luogo portrebbe fare per voi. Stiamo parlando del piccolo e antico nucleo di Osignano, di certo tra i meglio conservati del Luganese. Osignano è frazione di Sigirino, a sua volta frazione di Monteceneri, e rappresenta un raro esempio di architettura contadina ticinese del Diciasettesimo e Diciottesimo secolo. La particolarità è che - rispetto a tanti altri nuclei - le strutture di origine rurale sono rimaste praticamente intatte dal profilo architettonico e nel loro rapporto con lo spazio circostante. Camminare per i suoi stretti vicoli e infilarsi nelle numerosi corti - a volte con il rischio di finire in proprietà privata: ma tranquilli, generalmente gli abitanti non mordono - è un’esperienza interessante. Sembra per certi versi di stare un po’ al Ballenberg (il museo svizzero all’aperto) ma, appunto, in un luogo in cui le persone ancora abitanto e che, anzi, negli ultimi anni si è ripopolato. Un luogo tra l’altro in cui non manca la storia. Nel settembre del 1799 la zona (come un po’ tutto il Vedeggio e il Malcantone) ospitò le armate del generale russo Aleksandr Vasil’eviè Suvorov, entrato in Svizzera per combattere l’esercito francese comandato da Andrea Massena. Suvorov aveva dovuto rallentare la sua marcia ed era rimasto bloccato per 4 giorni nel Sottoceneri perché gli austriaci, suoi alleati, non avevano inviato rifornimenti. Il generale russo scrisse dunque all’imperatore Francesco II d’Austria una lettera di protesta in cui afferma di aver perso l’effetto sorpresa. La storia poi è nota: Suvorov riparte, combatte i francesi in Leventina, ma con i suoi soldati è costretto a darsi alla fuga attraverso le Alpi visto che, nella seconda battaglia di Zurigo, l’altra parte di esercito russo (con cui Suvorov doveva ricongiungersi) viene sonoramente sconfitta.
Osignano non è comunque l’unico luogo da visitare a Sigirino. Già che siete in zona consigliamo di fare un giro anche nel nucleo di Mastarino - dove si può vedere un vecchio mulino ed eventualmente, infilandosi nel bosco per qualche minuto, raggiungere una splendida cascata - e visitare il complesso monumentale di Sant’Andrea, restaurato di recente. Dall’altra parte del fiume invece - è già Mezzovico-Vira - in mezzo al bosco potrà capitare di imbattervi in uno dei tanti bunker e in qualche fortificazione difensiva della Prima e della Seconda guerra mondiale. E non lontano ci sarebbero pure i ruderi di tre castelli. Ma così apriamo un capitolo a parte. Come visto anche in questa zona del Luganese - che è tutto meno che turistica - le curiosità non mancano.