Permessi G revocati, caso da rivalutare

È un caso che ne ricorda uno analogo del quale vi avevamo riferito lo scorso 29 settembre: la revoca (o la mancata concessione) di permessi per frontalieri o di dimora a dipendenti di un’azienda luganese sospettata di essere una “bucalettere” per consentire all’azienda vera, italiana, di eludere le disposizioni sui prestatori transfrontalieri di servizi, i cosiddetti “padroncini”. Ma se tre settimane fa la massima istanza giudiziaria del Paese, il tribunale federale, aveva accertato delle irregolarità, questa volta la storia è diversa.
Sempre l’Alta Corte è stata chiamata a legiferare sulla vicenda di sei frontalieri assunti da un’impresa ticinese, quattro dei quali avevano ottenuto un permesso G tra il 2015 e il 2017. L’autorizzazione gli era però stata revocata (e non era stata concessa ad altri due dipendenti) dalla Sezione della popolazione il 28 marzo 2019. Per le autorità, l’impresa non svolgeva un’attività reale, effettiva e duratura in Svizzera.
La vertenza, dopo i ricorsi respinti dal Consiglio di Stato nel 2020 e dal Tribunale cantonale amministrativo nel 2022, era approdata fino al Tribunale federale il quale, con sentenze dello scorso 29 settembre, ha intimato nuovi accertamenti. Questo perché ci sono concreti indizi di una reale attività sul nostro territorio (le spese di locazione, fatturazioni per diverse decine di migliaia di franchi e l’assunzione di due cittadini svizzeri). Senza contare che nel frattempo, il Cantone ha rilasciato due permessi G ad altrettanti nuovi dipendenti dell’azienda in questione. L’istanza inferiore, il Tribunale cantonale amministrativo, dovrà quindi rivalutare il caso.