La storia

Pittore, attore, cantore: la vita nascosta di Raffaele Dadò

Incontro con l’ex comandante della Protezione civile di Locarno e Vallemaggia, alla scoperta di sogni e passioni un po’ inattesi e dei ricordi di 22 anni al servizio della comunità
Oltre alla professione e alle passioni «artistiche», Raffaele Dadò ha investito (e investe) il suo tempo anche nella politica. ©CdT/Chiara Zocchetti
Barbara Gianetti Lorenzetti
Barbara Gianetti Lorenzetti
03.01.2020 06:00

Ci sono persone che hanno un pressante bisogno di esprimere se stesse e di chinarsi verso gli altri. Di mettersi in sintonia con il prossimo e, se possibile, di far qualcosa di utile là dov’è necessario. Altruisti, insomma, come Raffaele Dadò, 60 anni lo scorso maggio. Un traguardo tondo tondo che lo ha spinto a lasciare, dopo 22 anni, il comando della Protezione civile di Locarno e Vallemaggia. Da qualche mese è dunque un felice pensionato. Ma certo non di quelli che si siedono in poltrona. La sveglia continua a suonare tutte le mattine alle 6.15, le giornate sono dense e i cassetti pieni di progetti e di sogni.

Il papà calzolaio

Nato a Cevio, in Vallemaggia, («ancora nel vecchio ospedale», ricorda), la prima immagine che gli torna alla mente è quella del papà Beniamino, in sella alla sua Lambretta. Noto calzolaio, sfrecciava su e giù per la valle assicurando un apprezzato servizio porta a porta. «Poi, un giorno, la tubercolosi se lo portò via». Mamma Augusta rimase sola con quattro figli «e finì a far la cuoca a Robiei, per gli operai che stavano lavorando alla costruzione delle grandi opere idroelettriche». Raffaele era il più piccolo della nidiata e fu inviato a Locarno, «dalle suore di Sant’Eugenio, dove frequentai dalla terza alla quinta elementare». Ed è presso il collegio cittadino che nascerà, come vedremo, una delle sue passioni.

Maestro? No, costruttore

Poi sarà la volta del Papio di Ascona, «con mamma che sperava diventassi maestro». Una figura, a quei tempi, tenuta in gran conto. «Io però – prosegue Dadò – fin da piccolino ero affascinato dai cantieri. Quando mi chiedevano cosa avrei fatto da grande, rispondevo invariabilmente che volevo costruire cose: case, ponti, acquedotti». Così inizia l’apprendistato come disegnatore (e da qui avrà origine un’altra grande passione), quindi la scuola di assistente e poi gli esami federali come impresario costruttore. Un’attività che svolgerà per 22 anni, di cui due in proprio.

Nel frattempo la propensione ad impegnarsi per la comunità lo porterà ad assumere il comando dei pompieri di Cavergno («con i quali, fra l’altro, intervenimmo per la frana di Faedo, in Bavona, che provocò due vittime») e ad entrare nel Legislativo del Comune. «Fui eletto in Consiglio comunale a 22 anni e a 28 passai al Municipio, in cui ho ricoperto la carica di vice sindaco per due legislature». In quegli ambiti venne a contatto con l’attività del Consorzio Protezione civile, «così nel ‘97, quando pubblicarono il concorso per il nuovo comandante, decisi di candidarmi».

Abituato alle sfide

Una scelta coerente, considerando il ruolo di sostegno e tutela affidato a quelli che una volta erano i «caschi gialli». «Incredibilmente fui scelto – prosegue –. All’inizio, devo confessarlo, mi colse l’ansia di fronte alla nuova sfida». Ma alle sfide non era nuovo («la prima fu quella di diventare papà a 23 anni», sorride, ricordando poi che di bambini ne sono seguiti altri tre) e quella funzione l’ha mantenuta per 22 anni, affrontando anche momenti difficili e significativi.

Difficile riassumere in poche righe un ventennio di attività. «Basti dire – afferma Dadò – che in due decenni la struttura e l’organizzazione sono cambiate tantissimo, così come l’impianto legislativo. Si sono fatti passi da gigante con macchine, impianti, apparecchiature. Ma anche (e forse, soprattutto) con la formazione dei militi».

Valori che si affievoliscono

Alla base di tutto, però, vien da pensare, ci sono sempre la premura per la gente e per il territorio. Anche se l’impressione è che si tratti di valori che vanno affievolendosi. «Sì, è vero – prosegue l’ex comandante –, forse stiamo perdendo qualcosa d’importante per strada. Me ne sono accorto di recente, quando ho partecipato al pranzo degli anziani del Comune (oggi Dadò è municipale di Avegno-Gordevio, ndr.). Lì sono passato di tavolo in tavolo, chiacchierando un po’ con tutti. E mi sono reso conto di una cosa: nessuno ha mai sfoderato un telefono cellulare, ci si parlava direttamente e ci si guardava negli occhi. Un’eccezione, considerati i tempi in cui viviamo».

Archiviato il capitolo attività professionali, passiamo a quello delle passioni e dei progetti futuri. E qui Dadò si trasforma in un vero fiume in piena. Ci perdonerà, dunque, se non entreremo nei dettagli: per farlo bisognerebbe scrivere un’enciclopedia... Alcuni dei grandi amori si possono riassumere in una parola: montagna. Che, oltre alle escursioni, si condensa sui Monti di Linescio, dove affondano le radici materne, e dove Dadò ha un rustico ed è presidente della locale associazione, che ne promuove la valorizzazione. E dove, un giorno, magari, gli piacerebbe aprire un piccolo agriturismo, con tanto di animali e formaggini nostrani. E poi ci sono le arti, declinate in tanti modi. Si diletta, ad esempio, con la pittura, per la quale ha avuto un maestro d’eccezione: l’artista Nando Snozzi, di cui ha frequentato l’atelier per una decina d’anni. «Un insegnante molto diplomatico – sorride – e una persona dalla squisita gentilezza». Vanta poi legami di amicizia con altri artisti, come Pierre Casè o Gianfredo Camesi. Dadò ha all’attivo una cinquantina di opere, quasi tutte regalate, e anche alcune mostre collettive. Poi – oltre alla musica (ha cantato per un decennio nella Vos da Locarno ed è presidente del Vallemaggia Magic Blues) – c’è ovviamente il teatro, che l’ha portato su tanti palcoscenici in Ticino e anche in Italia.

Navigato improvvisatore

«Una passione – racconta – nata da bambino al Sant’Eugenio» e culminata con la nascita della compagnia dialettale Maggia in scena, che da anni fa il tutto esaurito per ogni sua commedia. «Nei primi anni mi prendeva l’ansia quando salivo sul palco e incassavo un sacco di ‘cicchetti’ perché non studiavo le parti», ricorda divertito. Oggi è ormai un attore navigato, che si arrangia e improvvisa senza problemi, strappando il sorriso del pubblico e non poche imprecazioni ai colleghi che devono riuscire a seguirlo.

Un vero pensionato vulcanico, insomma, Raffaele Dadò, che una cosa la fa e cento le pensa. E fra le prossime imprese figurano già la trasferta a piedi da Cavergno a Finisterre (uno dei capi più occidentali della Spagna) e quella da Locarno a Roma, sulla via Francigena.

Eventi indimenticabili

Sono due gli eventi che più sono scolpiti nella memoria di Raffaele Dadò. Il primo è l’emergenza profughi, che per un paio di mesi, nel ‘99, vide la PCi Locarnese accogliere 340 migranti in fuga dalla guerra del Kosovo. Ma il ricordo più indelebile è quello della grande esondazione del Verbano nel 2000, che provocò anche un morto. «A 3 anni dalla nomina, mi ritrovai a gestire un’operazione con 600 uomini. Un vero disastro, durante il quale feci un turno in sala comando di 22 ore filate. Dopo il quale mi addormentai di schianto sopra una pizza...».