Salute

Preoccupa il calo d’interesse per le formazioni sociosanitarie

La tendenza si inserisce in un quadro generale di carenza di personale infermieristico - Raffaele De Rosa (DSS): «Nel 2040 mancheranno 1.400 figure professionali» - Christian Camponovo (Moncucco): «Un quinto dei nostri stage non è stato sfruttato» - Glauco Martinetti (EOC): «Già oggi le risorse specialistiche sono difficili da reperire»
©Chiara Zocchetti
Francesco Pellegrinelli
12.05.2023 06:00

La posta in gioco per il settore sanitario è grande, e il direttore del DSS, Raffaele De Rosa, ne riconosce la portata: «La carenza di personale infermieristico è una delle più importanti sfide che si profilano all’orizzonte. La popolazione invecchia e sarà necessario un numero sempre maggiore di personale in grado di prendersene cura».

Varrà - per cominciare - il dato seguente: secondo le stime delle autorità cantonali, per soddisfare il fabbisogno di personale curante da qui al 2030, unicamente con dipendenti indigeni, occorrerebbe che un giovane ticinese su cinque si dedicasse a una professione sanitaria. E invece? Secondo un recente studio, nel 2040 in Svizzera mancheranno 40 mila infermieri e 5.500 medici. Per il nostro cantone, la prognosi non è migliore: «In Ticino si calcola che occorreranno 1.400 infermieri in più rispetto ad oggi», rivela al CdT il consigliere di Stato, Raffaele De Rosa.

«Rivedere il sistema»

In prospettiva futura, dunque, si dovrà formare più personale sanitario. A riaccendere i riflettori sul tema, in questi giorni, sono stati prima i vertici della Clinica Moncucco, poi, a inizio settimana, l’Ente ospedaliero cantonale (EOC).

Il numero degli allievi che si avvicinano a questa formazione, negli ultimi due anni, è calato in maniera considerevole, ha denunciato il direttore della Moncucco Christian Camponovo: «Lo vediamo indirettamente dal numero di persone che frequentano gli stage. Lo scorso anno più del 20% delle nostre capacità di accogliere allievi infermieri non è stato sfruttato».

Altrettanto puntuale, il direttore generale dell’EOC, Glauco Martinetti: «Già oggi vediamo che le risorse umane specialistiche sono difficili da reperire. Quando apriamo una posizione per un medico specialistico, trovare la figura adatta risulta spesso complicato». Una condizione di carenza che, in prospettiva futura, dovrà tradursi in scelte operative drastiche: «A breve non potremo più lasciare un medico specialistico per un picchetto notturno di 8 ore, quando statisticamente compie un consulto ogni due notti. Dovremo utilizzare queste risorse in maniera parsimoniosa». Serve, insomma, un ripensamento generale del sistema di cura, osserva Martinetti che sul personale infermieristico rilancia: «Durante la pandemia, sono emersi i lati più problematici della professione; ora si tratta di metterne in risalto il valore e la bellezza. Come EOC abbiamo un contratto di lavoro collettivo estremamente attrattivo, sia dal profilo salariale, sia per quanto concerne le condizioni generali».

Intanto, però, i numeri mostrano un calo d’interesse. «La flessione nelle iscrizioni alle scuole è un ulteriore campanello d’allarme che abbiamo raccolto in seno all’Osservatorio delle formazioni e delle professioni sociosanitarie», commenta da parte sua De Rosa. «Occorrerà in ogni caso valutare la messa in atto della (benvenuta) iniziativa federale ‘Per cure infermieristiche forti’». Riassumendo: non solo in futuro serviranno più infermieri, ma il numero di chi oggi si avvicina alla professione già sta scemando.

«Ognuno faccia la sua parte»

«In ospedale i ritmi sono serrati, anche perché i pazienti rimangono poco e occorre prepararsi al prossimo arrivo senza il tempo necessario per diminuire la tensione», osserva De Rosa che ammette un certo «scoraggiamento professionale». I motivi? La fatturazione delle prestazioni si è complicata; parte del tempo è dedicato alla raccolta di informazioni destinate alle statistiche; nell’ambito delle cure a domicilio i pazienti sono molto più complessi da curare; e in casa anziani giungono in situazioni precarie, proprio nell’ultimo periodo di vita. «Tutto questo è pesante anche sul piano emotivo», commenta De Rosa. «Le strutture sanitarie sono consapevoli della situazione e delle sfide, e sono certo che sono pronte a fare la loro parte».

Sei milioni sul piatto

Che cosa può fare invece il Cantone per invertire la tendenza? «È fondamentale riuscire a rendere più attrattiva la professione, e tutti gli attori devono metterci del loro. È determinante che tutti si impegnino affinché le condizioni di lavoro possano rispondere alle legittime esigenze del personale. Penso in particolare alla necessità di conciliare lavoro e famiglia; alle possibilità di lavoro a tempo parziale; alla riduzione della burocratizzazione». Il Consiglio di Stato - ricorda ancora De Rosa - ha adottato, la scorsa legislatura, un piano di azione specifico, detto PRO SAN, che si traduce in circa 5/6 milioni di franchi annui con l’obiettivo di aumentare il fabbisogno annuo di personale curante. «Con questo documento programmatico si vuole sostenere sia i giovani in formazione, sia quei progetti attivi negli enti volti a favorire il mantenimento il più a lungo possibile nella professione, o ancora il rientro nel circuito delle persone che per svariati motivi hanno nel frattempo lasciato», conclude Re Rosa.

«Ma i posti disponibili nelle scuole sono interamente occupati»

«In questi mesi stiamo osservando una flessione piuttosto marcata del numero di candidati alle scuole sanitarie», conferma al CdT il responsabile della Sezione della formazione sanitaria e sociale del Dipartimento dell’educazione (DECS), Claudio Del Don. In particolare - spiega il nostro interlocutore - il calo riguarda la formazione di operatore sociosanitario (OSS), di addetto alle cure sociosanitarie (ACSS), e quella di infermiere».

Per capire se si tratta di una fluttuazione temporanea o legata alla contrazione demografica, le autorità cantonali stanno monitorando da vicino la situazione. La stessa tendenza – avverte Del Don - viene riscontrata nel resto della Svizzera: «Il Covid ha mostrato un lato delle professioni che prima, forse, avevamo dimenticato: i rischi della malattia, la mole di lavoro e il peso psicologico e umano hanno influito sull’attrattività del settore, che rimane comunque il più scelto dopo il commercio». La campagna di collocamento a tirocinio è ancora aperta, prosegue Del Don, «vi sono diversi posti di apprendistato vacanti per la formazione di OSS (le cui figure sono principalmente attive nelle case anziani e negli Spitex, ndr.) e ACSS. Per promuovere tutto il settore verso giovani e adulti, sabato a Manno abbiamo organizzato le porte aperte delle formazioni sanitarie, inserite nel progetto Millestrade».

Al momento, il calo di interesse per la formazione infermieristica è stimato attorno al 20%-30%. Con una premessa di fondo, aggiunge però Del Don: «Il calo di interesse non corrisponde, ancora, a un calo delle persone in formazione. Il numero degli interessati è comunque superiore al numero di posti disponibili nelle scuole».

La preoccupazione, tuttavia, rimane ed è condivisa anche da FORMAS, l’associazione che raggruppa tutti i datori di lavoro nell’ambito della formazione del settore sociale e sanitario. «A nostra volta stiamo svolgendo un’indagine che termineremo la settimana prossima. La tendenza indica comunque un calo», commenta la direttrice Sandra Bernasconi.