Territorio

Produttori di latte «sul filo del rasoio»

Le difficoltà del settore dopo la chiusura della LATI, tra i costi di trasporto in Svizzera interna e l’impossibilità di riportare l’intera filiera entro i confini cantonali – Andrea Bizzozero: «L’estate ci ha permesso di tirare il fiato, ma i problemi rimangono»
©Chiara Zocchetti
Martina Salvini
01.10.2025 06:00

A più di un anno dalla chiusura della LATI, il settore lattiero-caseario ticinese cerca in tutti i modi di tenere duro. «Siamo sempre sul filo del rasoio», dice Andrea Bizzozero, vicepresidente della Federazione ticinese produttori di latte. «I mesi successivi alla chiusura della LATI sono stati molto complicati, anche perché il Caseificio del Gottardo per qualche tempo non ha potuto riassorbire una parte del latte che prima andava a Sant’Antonino a causa di alcuni lavori di adeguamento, quindi l’unica opzione è stata quella del trasporto in Svizzera interna. Parliamo di circa 6 milioni di litri, con costi di trasporto che per ciascun camion raggiungono i 1.000-1.100 franchi». Decisamente troppi per essere sostenibili nel tempo.

Finora, però, le aziende produttrici sono riuscite a reggere il colpo, anche grazie all’intervento del Cantone. Da un lato, infatti, il Governo ha messo a disposizione un contributo di 300 mila franchi su due anni, e - grazie alla proposta approvata dal Parlamento dalla deputata Lea Ferrari (PC) - il sostegno per coprire una parte dei costi di trasporto verrà garantito anche nei prossimi anni, «anche se non è ancora stato definito l’importo». Dall’altro lato, poi, «nei mesi passati siamo riusciti a organizzarci con un rimpasto dei trasporti che ci ha consentito di contenere i costi di trasporto». A dare una boccata d’ossigeno al settore è stato anche il periodo estivo, con la produzione di latte rimasta in buona parte in Ticino. «Ad agosto il bilancio ci ha sorriso», spiega in effetti Bizzozero. «Visto che di solito durante i mesi estivi si produce meno latte, siamo riusciti a contenere le spedizioni oltre San Gottardo, lavorando il prodotto in Ticino, al Caseificio del Gottardo, che ora garantisce il ritiro di circa 100 mila litri al mese, e gli altri caseifici locali. Questo ha fatto sì che riuscissimo a toccare gli 80 centesimi al litro: una cifra che non si vedeva da anni».

Insomma, per dirla con il vicepresidente della FTPL, «finora siamo riusciti a parare il colpo». Ma le nubi non mancano. «In generale, la nostra professione sta conoscendo una grossa crisi. Sempre più spesso, le piccole aziende non sopravvivono al ricambio generazionale e vengono inglobate dalle realtà più grandi». Non a caso, anche guardando i dati dell’Ufficio cantonale di statistica le aziende produttrici di latte in Ticino sono dimezzate in vent’anni (erano 259 nel 2004 e sono scese a 124 nel 2024). Numeri che si confermano anche a livello nazionale, dove - come il riporta il Rapporto agricolo del 2024 - «le aziende produttrici di latte sono diminuite di oltre la metà» rispetto ai primi anni Duemila, a fronte di una produzione rimasta stabile, se non addirittura leggermente aumentata. «Il problema - rileva Bizzozero - è che a fronte di spese elevate, il guadagno è minimo, e non si ha mai una vera pausa dal lavoro. È una professione complicata, che spinge sempre più aziende nel nostro cantone a prediligere l’allevamento di mucche da carne, anziché quelle da latte. Così facendo non aumentano i guadagni, ma perlomeno si guadagna tempo per avviare attività collaterali». Per il Ticino, il nodo maggiore riguarda la stagionalità della produzione: «Se in inverno la produzione è elevata, in estate cala drasticamente. Questo rende estremamente complicato tentare di riportare l’intera filiera del latte entro i confini cantonali, perché non riusciremmo ad assicurare una produzione continuativa alla grande distribuzione». Di strade, dopo la chiusura della LATI, ne sono state tentate diverse. «L’ipotesi di pastorizzare il latte è tramontata per via dei costi, troppo alti rispetto a una produzione disomogenea sull’arco dell’anno. E anche la realizzazione di un nuovo caseificio a Olivone appare incerta, con il progetto “Blenio Plus” ancora fermo, malgrado il ricorso del Caseificio del Gottardo respinto in giugno». Insomma, «al momento non ci sono molte alternative percorribili, se non quella di proseguire con il trasporto del latte in Svizzera interna», ammette Bizzozero. Tra le incognite, poi, se ne è aggiunta di recente un’altra: i dazi statunitensi. «Con un freno delle esportazioni dei prodotti della Svizzera interna, potremmo andare incontro a problemi di sovrapproduzione, con tutte le conseguenze del caso. Anche per il latte ticinese, che oggi riusciamo ancora a smerciare facilmente nel resto del Paese».

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