Prometteva investimenti, ma si giocava i soldi

Per oltre dieci anni ha circuito svariate vittima, millantando investimenti redditizi e sicuri nel settore delle materie prime quando in realtà utilizzava il denaro per le proprie spese personali e, soprattutto, per il gioco d’azzardo. Per allestire il raggiro, nel 2006 modifica la ragione sociale della sua società attiva nella ristorazione per farla diventare un’impresa di «consulenza e intermediazione finanziaria». Inizialmente domiciliata nei Grigioni – per evitare di far capo a un fiduciario autorizzato – ma di fatto operativa nel Luganese con tanto di collaboratori e call center. Il protagonista di questa vicenda giudiziaria è un 59.enne italiano domiciliato nel Luganese condannato a 24 mesi di carcere sospesi per due anni per truffa per mestiere dalla Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Marco Villa. Il suo modus operandi è il classico «buco tappa buco»: il denaro non viene investito ma usato per scopi personali, per le spese della società oppure riversato sotto forma di fantomatici «utili» ai clienti più insistenti. Un vero e proprio castello di menzogne sfruttato fino al luglio del 2017 quando, a causa di un buco divenuto troppo grande e anche di un problema di salute, l’uomo decide che è il momento di dire basta e si autodenuncia. Ma intanto il danno è fatto. Ed è ingente.
Mezzo milione prescritto
In totale, il 59.enne era riuscito ad ottenere circa 1,5 milioni di franchi dalle ignare vittime (tutte italiane, 29 quelle costituitesi, e ammesse, come accusatrici private) anche se, a causa della prescrizione, la somma che gli è stata contesta ammontava a «soli» 955 mila franchi. E questo, è emerso in aula, a causa di un’inchiesta che il giudice Villa ha descritto come «piena di buchi». In sostanza, gli inquirenti si erano basati sui versamenti di denaro da parte delle vittime (una delle quali, patrocinata in aula dall'avvocato Fabio Nicoli, è stata truffata per ben 31.770 euro) e non sulle movimentazioni da parte dell’imputato e, dunque, non è stato possibile risalire al rimanente mezzo milioni di franchi.
In aula il 59.enne – che ha rimborsato circa 98 mila franchi – ha ammesso i fatti imputatigli e contestato gli importi delle pretese di risarcimento avanzate da alcune sue vittime. «Non ci sono contratti per questa o quella somma», si è difeso. «La documentazione la doveva tenere lei», ha ribattuto Villa durante l’interrogatorio.
Un’inchiesta piena di buchi
Nella requisitoria la procuratrice pubblica Caterina Jaquinta Defilippi (che ha «ereditato» l’incarto da un collega lo scorso ottobre) ha chiesto una condanna a 2 anni e 9 mesi di carcere con 6 mesi da espiare e la parte rimanente sospesa per due anni. «La sua colpa è oggettivamente e soggettivamente grave. In oltre dieci anni ha fatto della truffa il suo mestiere e utilizzato il denaro per scopi personali ed egoistici. Quando si è autodenunciato ha gettato parte dei documenti». L’inchiesta – ha ammesso – «non ha brillato per celerità ma ciò è anche dovuto alla grande difficoltà nel ricostruire tutti gli spostamenti di denaro».
Dal canto suo, l’avvocato difensore Giuseppe Gianella si è battuto per una pena detentiva sospesa, argomentando che il suo cliente «soffre di ludopatia, che è il movente principale di questa vicenda, e ha sempre collaborato in sede d’inchiesta». Inoltre, «ci troviamo di fronte a una violazione del principio di celerità».
E in effetti, ha riconosciuto Villa al momento di pronunciare la sentenza, c’è stata e vale come attenuante generica: «Non è certo stato l’incarto meglio gestito da parte del Ministero pubblico...». Tuttavia, «la collaborazione è compensata dalla distruzione della documentazione prima dell’autodenuncia, avvenuta in ogni caso quando i buoi erano ormai fuori dalla stalla».
Archiviata la vicenda penale (a meno di ricorsi in Appello), toccherà ora a una corte civile esprimersi sulle pretese di risarcimento non riconosciute dall’imputato