Quando lo shopping online ti trascina di fronte alla legge

È stata assolta per mancanza di prove una 80.enne cittadina britannica domiciliata nel Sopraceneri accusata di infrazione alla Legge federale sul trasferimento internazionale dei beni culturali. Nel 2018 ha infatti importato il vaso “Cizhou Painted Yuan Dynasty Wine Vessel” omettendo di contrassegnarlo come bene culturale.
Manca l’elemento cardine
Il giudice della Pretura penale di Bellinzona Flavio Biaggi, oggi, non ha potuto far altro che accogliere le argomentazioni sollevate dal difensore della donna, l’avvocato Mattia Tonella, e dunque assolverla dall’accusa che gli veniva mossa. Quest’ultima, secondo il giudice, «prevede che l’oggetto sia un bene culturale ed è evidente con non siamo in grado, basandoci sugli atti, che questo lo sia. Gli elementi per definire ciò doveva fornirli l’accusa».
Cosa che la procuratrice pubblica Marisa Alfier (assente giustificata in aula) non è riuscita a fare, se non provandoci tramite un documento dell’Ufficio federale della cultura. «Non abbiamo quindi elementi - ha spiegato Biaggi - come datazione, provenienza o altri dettagli per definire il bene. Manca dunque l’elemento cardine per sostenere l’accusa». Evidente, sempre secondo il giudice, che dal punto di vista soggettivo non si potesse imputare all’imputata alcuna intenzionalità.
La donna si è sempre professata innocente in quanto credeva che il vaso fosse «un semplice ornamento di fattura dozzinale dal costo inferiore ai mille franchi. Lo avrei messo fuori casa, nel patio coperto», ha dichiarato in aula, esprimendosi in inglese. Un oggetto che in realtà non ha mai potuto vedere, e che non sente suo: «Il rivenditore, saputo del sequestro, mi ha rimborsata». Una volta arrivato alla dogana il vaso aveva insospettito gli agenti facendo scattare la segnalazione al Ministero pubblico.
Bene culturale o semplice ornamento?
La 80.enne aveva acquistato il vaso pagando 963 dollari (circa 900 franchi) a un noto sito americano che si propone di “vendere gli oggetti più belli del mondo”. Un oggetto che il rivenditore dichiarava provenire dalla Cina tra il XIII e il XIV secolo. C’è da fidarsi? «Poco importa soprattutto per l’uso decorativo che voleva farne l’acquirente», ha precisato l’avvocato Mattia Tonella, «sta di fatto che ad oggi una datazione certificata non c’è, come nemmeno la prova che si tratti di un bene culturale». Secondo il legale «anche se il vaso fosse stato effettivamente del periodo dichiarato non sarebbe comunque né raro né speciale. Per questo non deve essere considerato un bene culturale, cosa di cui nemmeno l’Ufficio federale della cultura ha prove concrete. Se lo fosse non sarebbe stato pagato così poco».
Negato il permesso C
Proprio a causa della vicenda, la donna si è vista negare il permesso C, cosa che non è successa invece al marito. «È stata presa di mira da tutte le autorità - ha puntualizzato la difesa - e trascinata in questo processo kafkiano a causa di un accanimento». Per l’avvocato si tratta di una pensionata con il pallino della decorazione degli interni delle sue abitazioni con oggetti di gusto che non hanno molto valore: «Non è una collezionista d’arte e non sa distinguere il valore o l’originalità dei pezzi». La donna, infatti, si è detta interessata a tutte le forme di decorazioni interne, non solo d’arte e non solo cinesi.
L’accusa, rappresentata come detto dalla procuratrice pubblica Marisa Alfier, aveva chiesto per l’anziana una pena pecuniaria di 20 aliquote giornaliere di 770 franchi ciascuna, sospesa per due anni. Ovvero 15.400 franchi, oltre alla confisca dell’oggetto.
E il vaso?
Alla donna non è stato riconosciuto il torto morale dovuto ai problemi legati al rifiuto del rilascio del permesso C. Il vaso non le verrà inoltre restituito, anche in base alla dichiarazione di «non sentirsene la proprietaria». Si è però deciso per il dissequestro a favore dell’Ufficio federale della cultura, che «potrà effettuare esami, se lo vorrà, per stabilire il suo eventuale valore culturale», ha concluso il giudice Flavio Biaggi.