Mendrisio

Quando per far fronte alla siccità si invocavano i Santi

L’estate scorsa è stata avara di pioggia e le autorità sono dovute correre ai ripari con autobotti, vasche e divieti di utilizzo dell’acqua – Periodi del genere si verificavano anche nei secoli scorsi, ma le misure intraprese erano ben diverse
Non è una mulattiera del 1600, è il fiume Gaggiolo (Arzo) fotografato a luglio. ©CdT/Gabriele Putzu
Stefano Lippmann
16.01.2023 06:00

L’estate dello scorso anno, a Mendrisio (come pure in tutto il Distretto), verrà ricordata soprattutto per essere stata particolarmente siccitosa. Mesi senza precipitazioni, cisterne in soccorso agli agricoltori e agli acquedotti della Montagna, il Gaggiolo in secca sono solo alcuni esempi di quel che è accaduto. La Città, però, ha reagito. Come detto, sono numerose le iniziative intraprese per mitigare la carenza d’acqua. A partire dall’ormai consueto invito ad un uso parsimonioso dell’oro blu. Misura che non è bastata e ha obbligato l’Esecutivo a ordinare il divieto di utilizzo dell’acqua per scopi non domestici, con relative contravvenzioni per i «furbetti». Tra Mendrisio e Riva San Vitale, per correre in aiuto agli agricoltori, è stato inoltre attivato il pozzo Sulmoni: due vasche di decine di migliaia di litri hanno evitato che potesse succedere il peggio alle colture presenti nella regione. Nelle abitazioni, l’acqua è sempre fuoriuscita dai rubinetti. A scapito, magari, di qualche giardino che non si è potuto irrigare. Un po’ di sofferenza è stata patita anche dai vari campi da calcio del Comune, ma si è fatto capo alle cisterne che hanno attinto l’acqua (non potabile) da un pozzo di captazione situato all’Adorna.

Santuari e processioni

Questa breve carrellata permette di capire quanti e quali strumenti il Comune possa mettere in atto per mitigare il problema dell’approvvigionamento idrico, nell’attesa che il tanto atteso (e annunciato) acquedotto regionale – con tanto di captazione direttamente dal lago – veda la luce, nel 2027. Oggi è così, ma nei secoli scorsi come si faceva? Già, perché a Mendrisio i periodi di siccità non sono mai mancati. Anzi. Un fenomeno ben descritto nella «Storia di Mendrisio», l’opera di Mario Medici. Ebbene, nel passato lo strumento più utilizzato sembra fosse invocare i Santi. Una premessa è doverosa: nei secoli scorsi l’economia di Mendrisio era esclusivamente basata sull’agricoltura. «Anno di siccità tremenda – riporta il Medici – fu certamente il 1597». E quali rimedi apportò l’allora Landfogto Grüniger di Svitto? Ordinò che «l’ultima ferie di Pentecoste gli uomini dei comuni della fogtia, uno per casa, si recassero in processione al Santuario della Madonna dei miracoli di Morbio Inferiore perché Dio voglia conservare li frutti della terra per sostentazione de’ poveretti». Tutti in processione, dunque, perché convertirsi al Signore con orazioni e preghiere era la cosa migliore da fare. I Protocolli comunali di Mendrisio dell’epoca – in un certo senso le ordinanze odierne – menzionavano frequentemente funzioni di propiziazione e processioni per invocare la pioggia. Diverse, già nel 1600, erano le mete scelte e ci si spingeva anche oltre le vicine chiese.

La grazia della pioggia

Nella «Storia di Mendrisio» si citano le processioni alla Madonna del Monte sopra Varese, al Santo Crocifisso di Como come pure a San Giuseppe sopra il Monte di Uggiate (detto anche santuario dei morti). Quest’ultima usanza è in vigore ancora oggi ed è stata «riattivata» proprio l’anno scorso (vedi CdT del 14 marzo 2022). Nel 1724, invece, si optò anche per le preghiere pubbliche: l’indicazione – per «implorare la grazia della pioggia» – era quella di esporre «per tre giorni il Santissimo nella chiesa dei Cappuccini» e andare in processione «alla Croce grande, alla chiesa della Beata Vergine del Carmelo di Villa, a quella dei morti di San Gregorio (oggi Sant’Apollonia) di Coldrerio e al Santo Crocefisso di Castello».

Fortune alterne

Queste iniziative, ci chiediamo, funzionavano? Talvolta sì, altre volte invece il risultato non veniva raggiunto (o solo in parte). Dal Diaro del prevosto Franchini è appurato che durante la forte siccità del 1838, per decreto municipale «fu fatto nella nostra chiesa parrocchiale un solenne Triduo in onore dei Santi Patroni Cosma e Damiano». Il risultato? «Qualche goccia è caduta – riporta il prevosto – ma poi il cielo è ridiventato sereno, che sembra irridere alle nostre indegne suppliche». Il 12 agosto dello stesso anno i cittadini andarono a supplicare il Crocifisso di Castel San Pietro e fu esposto il simulacro della Madonna del Rosario. La siccità di quell’anno, secondo la testimonianza, era davvero forte: «All’ora terza dopo pranzo il termometro Réamur segnava 24 gradi sopra lo zero (ovvero i 30 gradi del giorno d’oggi). Un caldo infernale che in pochi giorni fece morire molte vacche «per un male ignoto». Tre giorni più tardi altre processioni e il termometro «diminuì di mezzo grado». Poi arrivò il 18 agosto: «Circa a mezzogiorno si sono aperte le cataratte del cielo e scese la pioggia, ma poi tornò il sereno e la terra arida quasi non ne ebbe beneficio». Nel 1846, invece, dopo le visite a San Martino e altre funzioni nell’oratorio delle Orsoline e a San Giovanni, «cadde una grande quantità di acqua sulla terra arida».

In anni più vicini a noi – scrive il Medici nella sua opera – la popolazione tese piuttosto a fare previsioni meteorologiche. Come? Grazie ai proverbi o alla sapienza dei vecchi, addirittura consultando il «Pescatore di Chiaravalle», un lunario in voga.

Testimonianze che, di fatto, confermano che Mendrisio ha storicamente sempre vissuto anni di particolare siccità. Mai come l’estate vissuta lo scorso anno la popolazione è tornata a... invocare: non tanto i Santi o il Signore quanto, piuttosto, la realizzazione dell’acquedotto regionale del Mendrisiotto.

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