Quando per un bambino il silenzio è il luogo più sicuro

Esiste un disturbo molto complesso e poco conosciuto legato a un importante stato d’ansia che spinge i più piccoli a fare a pugni contro un muro di silenzio, a rifiutarsi di parlare in contesti sociali – fuori casa o in presenza di estranei - e isolarsi dal mondo. Stiamo parlando del mutismo selettivo, una problematica che colpisce decine di bambini (il disturbo interessa maggiormente le femmine rispetto ai maschi) nel nostro cantone e si manifesta al momento del contatto con la scuola dell’infanzia oppure in contesti particolarmente ansiogeni.
Si è infatti appena concluso il mese internazionale di sensibilizzazione dedicato a questa delicata tematica e abbiamo colto l’occasione per parlarne con l’ortopedagogista Mauro Taglioni e la psicologa e psicoterapeuta Benedetta Lepori: «L’incidenza a livello europeo è di un caso su 140 bambini. Mentre in Ticino, abbiamo riscontrato una decina di casi nel Sopraceneri e una quindicina nel Sottoceneri», ci spiega Taglioni. «Questo disturbo è spesso oggetto di male interpretazioni da parte di genitori o pediatri – prosegue - che associano il mutismo selettivo alla timidezza oppure alla volontà del bambino di non parlare».
Un meccanismo di difesa
Ma esattamente, cosa accade quando si instaura questo meccanismo? «Il mutismo selettivo non è un atto volontario della persona – precisa Taglioni - ma un meccanismo che si instaura perché il nostro cervello vuole sviluppare due tipi di difesa automatici molto arcaici: la fuga o il congelamento. In questo caso parliamo di congelamento della produzione verbale, l’impossibilità di emettere un qualsiasi suono, anche una comune tosse o uno starnuto, il pianto o la risata. Tutto viene bloccato».
Le cause
Le cause che possono generare una predisposizione al mutismo selettivo, ci spiega la psicoterapeuta Benedetta Lepori, oltre al forte stato di ansia in cui viene imprigionato il bambino, vengono anche ricondotte a livello ereditario, ad esempio se all’interno della famiglia i genitori sono particolarmente inclini a essere timidi, ansiosi e soprattutto socialmente isolati. Ma anche in famiglie bilingue è stato registrato un aumento di casi di mutismo selettivo in bambini che affrontano un idioma diverso da quello comunemente utilizzato all’interno del nucleo familiare.
Strategie e consigli
Proprio per la complessità di questo disturbo che si palesa tra i più piccoli secondo modalità diverse – i bambini vengono anche definiti «momentaneamente silenziosi» – occorre trovare delle strategie ad hoc per ogni singola persona e intervenire sulla problematica in modo capillare con genitori, docenti delle scuole e psicoterapeuti per alleggerire il carico di sofferenze che quotidianamente genera questo disturbo e accompagnarlo verso la via d’uscita. «Un fattore fondamentale da non tralasciare è la scolarizzazione regolare – sottolinea Taglioni - perché il mutismo selettivo non è una patologia che comporta un problema mentale e quindi di apprendimento. Bisogna introdurre la parola all’interno della scuola nelle modalità più disparate e creative e soprattutto riconoscere il problema in modo precoce».
Un aiuto alle famiglie
Dal 2017, infatti, come punto di appoggio è presente sul territorio ticinese l’Associazione ATiMuSe, nata per iniziativa di un gruppo di genitori di bambini affetti da mutismo selettivo che ha come obiettivo quello di diffondere la conoscenza di questo disturbo, sensibilizzare la tematica e fornire un sostegno ai più piccoli, alle famiglie e agli insegnanti. In questi due anni dalla sua fondazione ha promosso l’apertura si uno sportello di consulenza presso il servizio medico psicologico cantonale. Avviato a pieno regime, invece, il «Gruppo di parola», un corso rivolto ai genitori di bambini muto selettivi che mette a disposizione uno spazio di confronto, di crescita e di sostegno alla genitorialità dove si ha la possibilità di condividere dubbi e soluzioni. Per il futuro, c’è in cantiere l’organizzazione di soggiorni terapeutici per famiglie.