Quando sul Castelgrande c’erano le strisce rosse

Impossibile dimenticarlo. D’altronde l’arte, spesso, deve sorprendere (non osiamo dire provocare, perché non era il caso nella fattispecie) per attirare l’attenzione. Così successe esattamente vent’anni fa, quando sul Castelgrande comparvero delle strisce rosse. Opera dell’artista locarnese Felice Varini, trapiantato a Parigi, che così omaggio, in una volta sola, sia la Svizzera (l’installazione fu inaugurata il 1. agosto, festa nazionale) sia il primo anno del riconoscimento UNESCO per i castelli cittadini. Intitolata «Segni», l’originale idea del pittore ticinese voleva proiettare il simbolo della Turrita medievale nel futuro, e con esso naturalmente anche la capitale. Gli archi colorati unirono le mura, la rocca e le torri regalando la sensazione di un unicum, di un caloroso abbraccio, visibile da ogni angolazione. Forme geometriche frammentarie. Identità comune. Pagine di storia da scrivere. Assieme.
«All’immagine fluttuante e senza più legame con le cose, la veduta di Bellinzona non cede volentieri il suo posto e ciò che rimane all’osservatore è anche una visione diversa della città e i suoi edifici. Quei segni rossi fanno leggere un’altra immagine del castello, lo riducono a disegno bidimensionale con i suoi vettori e le sue discontinuità, con le sue luci e le sue ombre generatrici di spazialità. E basta un’automobile che dalla strada attraversa uno dei cerchi per muovere lo sguardo verso un altro tipo di segmentazione», scrisse a tal proposito Roberta Mazzola. L’opera di Varini non poteva lasciare indifferenti. A distanza di due decenni, chissà, si potrebbe riproporre qualcosa di simile. Magari - la buttiamo lì - nell’ottica del progetto di valorizzazione della Fortezza (come vengono oggi chiamati il Castelgrande, il Montebello ed il Sasso Corbaro) in cui tanto crede il Municipio guidato dal sindaco Mario Branda. Bellinzona ed il suo patrimonio hanno bisogno di un segnale. Ops, di «Segni».