Quel «ricattino» al figlio che celava un abuso

«Vuoi un gelato?». Una domanda, all’apparenza, assolutamente innocua. L’interrogativo pronunciato da un 59.enne al proprio figlio minorenne, mentre facevano il bagno nella vasca di casa, assume però tutto un altro significato. Ed è per questo motivo che ieri l’uomo è comparso davanti alla Corte delle Assise correzionali presieduta dalla giudice Monica Sartori-Lombardi. Quell’apparente offerta di un gelato, in realtà, nascondeva una «contropartita»: di quelle che un minorenne non dovrebbe mai affrontare. Da qui la condanna – approvando quasi integralmente l’atto d’accusa firmato dalla procuratrice pubblica Chiara Buzzi – per i reati di atti sessuali con fanciulli, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere e pornografia. L’uomo, in carcere da novembre, dovrà scontare una pena di 14 mesi di carcere, 7 sospesi per un periodo di prova di 3 anni. Non solo: dovrà anche seguire un trattamento ambulatoriale (nei suoi confronti sono stati ravvisati un disturbo della personalità e una lieve scemata imputabilità) e dovrà rispettare il divieto a vita di svolgere attività (anche extra) professionali a contatto con minori.
L’importanza della credibilità
Il caso approdato ieri davanti alle Correzionali era, tecnicamente, indiziario. Fondamentale, dunque la credibilità: quella dell’imputato – difeso dall’avvocato Andrea Rigamonti – e quella della vittima, patrocinata dalla legale Sandra Xavier. Per la presidente della Corte Sartori-Lombardi sono stati pochi i dubbi da sciogliere, tant’è che la sentenza è stata pronunciata meno di due ore dopo la fine dell’arringa difensiva. «La vittima è del tutto credibile – ha motivato la giudice –. Ha reso dichiarazioni spontanee, scevre da ogni malizia». Già, perché i fatti, avvenuti tra il 2016 e il 2017, sono emersi soltanto nell’autunno del 2024, quando il figlio ha deciso di raccontarne i ricordi alla madre (e all’attuale compagno). È da quel momento che gli inquirenti si sono mossi, arrivando ad arrestare l’uomo nel mese di novembre. I racconti: «Traspare dolore nel descrivere quanto subito» ha spiegato la giudice aggiungendo che «la sofferenza e il trauma del bambino sono autentici». In aggiunta il figlio «non ha assolutamente dato prova di voler aggravare la situazione del padre». Il 59.enne invece, «non ha dato prova di genuinità o sincerità. Tutt’altro». Nella commisurazione della pena Sartori-Lombardi ha considerato la colpa dell’imputato grave, «anche se si tratta di un unico episodio». Di più: «Ha agito per puro egoismo, alla ricerca del piacere personale, di bieche pulsioni», senza dimenticare che ha definito il figlio «bugiardo».
Sviluppo messo a repentaglio
«Oggi non ha ancora compreso la gravità di quello che ha commesso» ha detto, durante l’arringa la procuratrice pubblica la quale ha chiesto una pena di 20 mesi (senza opporsi a un’eventuale parziale sospensione). Con il suo agire, l’uomo «non ha preso in considerazione il dolore e il trauma che avrebbe potuto arrecare». Censure sono giunte anche sul fatto che il 59.enne avrebbe accusato la moglie (la madre del bambino dal quale stava divorziando) di aver «machiavellato tutto». Insomma, che dietro ci fosse la sua regia.
«Un uomo difficile»
«Un conto è avere a che fare con un uomo difficile. Ma un conto è accusarlo di un reato che non ha commesso» ha dal canto suo spiegato l’avvocato Rigamonti, che si è battuto per il proscioglimento del suo assistito (e per una riparazione per ingiusta carcerazione). Rigamonti, durante l’arringa, ha ricostruito «un climax di insopportazione» nato negli ultimi anni tra marito e moglie, richiamando anche il fatto che in quella famiglia non mancassero «le bugie usate come strumento». Invocando il principio in dubio pro reo, la difesa ha tentato di mettere in dubbio la credibilità delle dichiarazioni fornite dalla madre e dal figlio. Tesi che non è stata sposata dalla Corte.
«Va restituita la dignità»
«Oggi non è solo il giorno del giudizio, ma il giorno della restituzione». Con queste parole ha cominciato il proprio intervento la legale Sandra Xavier, chiamata a patrocinare la vittima. «La restituzione della dignità» ha sottolineato aggiungendo che il bambino «è stato tradito da chi doveva dare sicurezza e protezione». Un padre che «non si è assunto le proprie responsabilità». Anzi, ha ricordato, «tutto è partito da quel ricattino: vuoi un gelato?».