Rapporto consensuale o abuso? In aula penale dopo sei anni

Una conoscenza via social, i messaggi e gli incontri in città. Siamo nel maggio del 2018 e fin qui sembra una storia d’amore giovanile come tante. Tra i due, un allora ventenne richiedente l’asilo afghano (beneficia dell’ammissione provvisoria)e una giovane del Luganese, c’è un reciproco interesse; lui la invita a casa sua a cena e la serata si conclude con un rapporto sessuale. Il giorno dopo, però, la ragazza denuncia l’accaduto in polizia, sostenendo che quanto successo non fosse consensuale. Sei anni dopo i fatti, la vicenda è approdata in un’aula penale. L’accusa a carico dell’imputato è pesantissima: violenza carnale. Lui, però, respinge ogni addebito. Spetterà quindi alla Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani stabilire quale delle due versioni – il processo è indiziario – sia la più credibile.
Il nodo del consenso
Secondo l’accusa, sostenuta dalla procuratrice pubblica Anna Fumagalli (che ha ereditato l’incarto dall’ex collega Arturo Garzoni), quella sera del 21 maggio di sei anni fa l’imputato ha costretto la giovane a subire un rapporto sessuale che lei avrebbe più volte respinto. Durante la frequentazione, via messaggio e di persona la ragazza gli aveva detto di essere vergine e, all’epoca dei fatti, seguace dei testimoni di Geova, movimento le cui regole le imponevano di non avere rapporti sessuali prima del matrimonio. Quella sera, però, il ragazzo avrebbe iniziato a baciarla e toccarla, non fermandosi neppure dopo che lei gli aveva chiesto almeno a due riprese di smetterla. «L’imputato non si è fermato nonostante i due rifiuti, approfittandosi di una ragazza particolarmente vulnerabile (a causa di un vissuto complicato e della sua condizione psicologica, ndr)», ha argomentato la procuratrice nella sua requisitoria. Essendo un processo indiziario, tutto si basa sulla credibilità della vittima e dell’imputato. A questo proposito, Fumagalli ha affermato che la versione dei fatti resa dalla giovane è sempre stata «lineare e costante nonostante sia stata verbalizzata sull’arco di ben quattro anni».
L’imputato, di contro, «ha spesso cambiato versione». E in aula si è quasi sempre trincerato dietro un «non ricordo» in risposta alle varie domande postegli dal giudice su quanto avvenuto quella sera e nei giorni seguenti. In un messaggio, per esempio, la giovane lo aveva rimproverato di non aver rispettato la sua volontà, al che lui si era scusato affermando che «è stata colpa mia» e «a tornare indietro non l’avrei fatto». «Se davvero fosse stato tutto a posto non ci sarebbe stato alcun motivo di scusarsi», ha argomentato la rappresentante della (presunta) vittima, l’avvocato Camilla Cimiotti. «I segnali di opposizione all’atto sessuale erano molteplici, prima e dopo i fatti». Per l’accusa, inoltre, l’imputato avrebbe avuto un comportamento manipolatorio: il giorno seguente il rapporto sessuale, i due ragazzi si incontrano e lui la accompagna in polizia «mostrandole affetto quando in realtà la stava manipolando – ha affermato la procuratrice –, consapevole di aver fatto qualcosa di male. Inoltre, le chiede espressamente di non denunciarlo». Fumagalli ha quindi chiesto una pena detentiva di 34 mesi (eventualmente in parte sospesi) oltre all’espulsione per 5 anni. Per la sua assistita, Cimiotti ha domandato un risarcimento di 15 mila franchi.
La sentenza nei prossimi giorni
Come detto, l’imputato ha respinto ogni addebito limitandosi a ribadire che il rapporto fosse consensuale. Il suo difensore, l’avvocato David Simoni, si è quindi battuto per l’assoluzione e un risarcimento per il «lunghissimo procedimento» subito. «Quella sera – ha argomentato – i due ragazzi sono arrivati a casa uniti sentimentalmente dopo una frequentazione di diverse settimane e una serie di messaggi allusivi da parte di lei. Il legale ha citato a tal proposito alcuni messaggi scritti dalla giovane come «ti amo» o «potresti essere il primo»: a suo dire, una prova della non credibilità della ragazza. Quanto all’atto sessuale, lo stesso «c’è stato. Inizialmente era voluto ma poi per un fatto familiare o religioso c’è stato un ripensamento da parte di lei». La Polizia, ha poi aggiunto, «si era resa conto che le cose, forse, non erano andate come raccontato dalla vittima e non ha arrestato il mio cliente». La sentenza verrà comunicata alle parti nei prossimi giorni.