Locarno

Rischia 6 anni e mezzo il patrigno che abusò della figliastra

È la pena richiesta dal procuratore pubblico Nicola Respini a carico di un sessantenne ticinese residente nel Locarnese
(Foto Carlo Reguzzi)
Red. Locarno
05.09.2019 19:13

Gli abusi sessuali commessi ai danni della figliastra minorenne tra il 2016 e il 2018 «sono molto simili a quelli perpetrati negli anni ’90 al nipote, della stessa età. Fatti quest’ultimi, purtroppo, prescritti e che nessuno ha avuto il coraggio di denunciare. Se così fosse stato, forse oggi non saremmo qui, perché probabilmente l’imputato (ndr, che una volta scoperto aveva già allora tentato il suicidio) sarebbe stato correttamente aiutato». È con una considerazione velata di amarezza che il procuratore pubblico Nicola Respini ha voluto iniziare la sua requisitoria nei confronti del 60.enne ticinese, domiciliato nella regione, a giudizio da mercoledì davanti alla Corte delle Assise criminali di Locarno, riunite a Lugano e presiedute dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti, affiancata da giudici togati e assessori giurati. Per la pubblica accusa andrebbe condannato a 6 anni e mezzo di carcere, mentre la difesa si è battuta per una pena inferiore e parzialmente sospesa. La sentenza è attesa per oggi pomeriggio. L’imputato, si ricorda, è accusato di ripetuti atti sessuali con fanciulli, ripetuta coazione sessuale e ripetuti atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere. Reati che il 60.enne ha in parte ammesso, seppure le sue dichiarazioni divergono non poco da quelle della vittima, la quale secondo lui avrebbe preso l’iniziativa in alcune occasioni.
«Credo che le dichiarazioni della giovane siano veritiere e, quindi, credibili. È vero che forse ha tralasciato di raccontare agli inquirenti degli episodi, magari perché si vergognava, aveva timore e non voleva tradire la propria madre, alla quale aveva rivelato unicamente di essere stata toccata nelle parti intime da suo marito mentre le faceva il solletico», ha sottolineato il PP. «Sono meno credibili, invece, le dichiarazioni dell’imputato – ha aggiunto – e se anche ci fosse stato un consenso da parte della vittima, ciò non toglie l’illegalità dei fatti da lui commessi». Secondo la pubblica accusa l’uomo «non ha ancora preso coscienza di quello che ha fatto e cioè di aver abusato della figliastra minorenne, eppure sapeva benissimo quello che faceva. Si tratta di episodi estremamente gravi». Ecco, quindi, che Respini ha richiesto una pena «severa ma corretta», oltre al proseguimento del percorso terapeutico già avviato in carcere, dove l’imputato si trova dal 29 agosto 2018. Il suo arresto, lo ricordiamo, è avvenuto a seguito di una denuncia fatta scattare da un amico della vittima dopo che lei gli ha confidato il suo disagio per quanto avveniva sul divano di casa davanti alla TV e in alcuni casi anche in camera da letto.
«Si tratta di reati terribili e io mi trovo in una situazione difficile – ha esordito nella sua arringa l’avvocato difensore Chiara Buzzi –, il mio compito però, è quello di far emergere la verità». La legale ha quindi tenuto a ricordare che quando ha conosciuto l’imputato egli «era evidentemente pentito e distrutto dal dolore», descrivendolo come «una persona fragile, piena di errori e contraddizioni, ma non un mostro». «I fatti – ha rilevato poi la difesa – sono stati ricostruiti minuziosamente anche grazie alle ampie ammissioni dell’imputato, con alcune precisazioni». In particolare, quando la minore diceva «basta», l’imputato avrebbe subito desistito dal molestarla; mentre per quel che concerne gli episodi avvenuti quando lei sosteneva di dormire, «mi sembra più credibile la versione del mio assistito», ha chiosato Buzzi, invocando il principio «in dubio pro reo». Per la difesa gli episodi di abuso (quantificati in una dozzina) non sono stati compiuti sull’arco di due anni ma risalgono al periodo compreso tra la primavera e l’autunno 2017. Contestata anche la tesi accusatoria in merito al reato di ripetuta coazione sessuale, dal quale è stato chiesto il proscioglimento. Ritenendo che la colpa del suo cliente sia «mediamente grave» e tenendo in considerazione una lieve scemata imputabilità (legata a un disturbo della personalità), nonché altre attenuanti come il sincero pentimento, l’ampia collaborazione e un rischio di recidiva ritenuto dagli esperti medio-basso («che può essere ulteriormente abbassato con un trattamento ambulatoriale»), Buzzi ha quindi richiesto una commisurazione della pena «ben inferiore rispetto a quanto prospettato dal procuratore pubblico e che la stessa sia parzialmente sospesa». Per il patrocinatore della vittima, Marco Masoni, il 60.enne «ha violato in modo meschino l’intimità di una ragazza che si stava affacciando alla vita, provocandone una bruttissima deviazione di percorso». L’avvocato ha quindi letto in aula una lettera della sua assistita, in cui esprime il disagio e le difficoltà che sta affrontando per elaborare quanto è successo. «Le sue parole – ha dichiarato al termine del dibattimento il 60.enne – accentuano il mio sentimento di vergogna e il grande pentimento per quello che ho fatto».