La reazione

«Rischio fallimento? L’EOC è solido»

Uno studio ha evidenziato la fragilità finanziaria di parte degli istituti di cura svizzeri - Raffaele De Rosa è comunque fiducioso - Le reazioni anche di Giorgio Pellanda e dell’esperto Carlo De Pietro
© CdT/Gabriele Putzu
Giona Carcano
Paolo Galli
25.11.2019 19:24

« Un ospedale pubblico su dieci in Svizzera rischia il fallimento». A dirlo è lo studio annuale della società di consulenza PricewaterhouseCoopers, pubblicato dalla NZZ. Una frase che suona come un campanello d’allarme per l’intero sistema sanitario elvetico. Ticino compreso, perché PwC ha preso in esame 44 nosocomi di ogni regione del Paese. Ma come stanno le cose? Un decimo dei 163 ospedali acuti svizzeri potrebbe davvero chiudere?

Raffaele De Rosa, direttore del Dipartimento della sanità e della socialità: «Si deve innanzitutto chiarire che per nosocomi pubblici ticinesi si intende l’Ente Ospedaliero Cantonale con le sue 8 sedi (Ospedali regionali di Bellinzona, Locarno, Lugano e Mendrisio, gli ospedali di zona di Acquarossa e Faido e la Clinica di riabilitazione - Faido e Novaggio - e la Clinica Psichiatrica Cantonale di Mendrisio). A livello finanziario, si veda anche l’ultimo rapporto di attività dell’EOC relativo all’anno 2018, si conferma che la situazione patrimoniale dell’EOC è solida. A fronte di un capitale di dotazione di 37 mio di franchi, la quota di capitale proprio (inclusiva dei risultati d’esercizio riportati e dei diversi fondi) è buona (222.8 mio di franchi) e corrisponde al 42.1 % del passivo (lo studio parla di un quarto degli ospedali pubblici al di sotto di una quota del 33% e di 5 su 44 al di sotto del 15%). La clinica psichiatrica cantonale non presenta un bilancio a sé stante, essendo i suoi dati patrimoniali inclusi nel bilancio del Cantone».

La redditività e la sostenibilità

«Lo studio della PWC insiste molto sul concetto di redditività (EBITDA: risultato operativo prima di ammortamenti e interessi) che nel caso dell’EOC ammonta al 3% (2018), a fronte di un EBITDA considerato ottimale del 10% - continua De Rosa - Sono valori molto opinabili. Per un esame approfondito occorrerebbe un confronto tra i vari patrimoni immobiliari, valutarne la vetustà, il grado di ammortamento raggiunto, gli investimenti previsti, il grado di indebitamento, ecc.. Si ricorda che negli anni passati una situazione particolarmente favorevole ha permesso all’EOC di effettuare ammortamenti accelerati e di conseguenza, con la liquidità accumulata, di rimborsare la quasi totalità dei prestiti accesi negli anni. Mi preme comunque sottolineare che quello finanziario non è l’unico parametro: nella valutazione complessiva dell’offerta sanitaria vanno tenuti in conto anche la qualità delle cure e la sicurezza del paziente».

La situazione economica dell’EOC

De Rosa spiega: «La creazione dell’EOC è stata un’operazione vincente e lo è tuttora: la situazione economica dell’EOC non è assolutamente a rischio, si tratta di ulteriormente perfezionare la suddivisione dei costi tra i vari comparti, razionalizzare l’uso delle risorse disponibili e ottenere la giusta remunerazione di ogni comparto. Il Cantone interviene per il pagamento delle prestazioni d’interesse generale (centri di primo soccorso periferici, formazione, espianto d’organi, piani di emergenza, consultori di salute sessuale) non coperte dalla LAMal».

Il panorama tra dieci anni

Chiediamo a De Rosa una previsione sul breve-medio termine. «Sono fiducioso, proprio in queste settimane stiamo perfezionando l’accordo con la Direzione del Dipartimento della sanità del Canton Zurigo per approntare un nuovo studio sul fabbisogno di cure con orizzonte temporale 2025, al fine di poter abbozzare l’offerta di prestazioni del prossimo decennio. La facoltà di medicina che ospiterà gli studenti a partire dal prossimo anno permetterà di valorizzare ulteriormente l’intero settore sanitario così come quello della ricerca. Credo che anche questo servirà da slancio a progetti innovativi in cui il paziente sarà preso in carico da équipe multidisciplinari senza distinzione di appartenenza a un determinato comparto (ospedaliero stazionario, ospedaliero ambulatoriale, studio medico, infermiere indipendente, servizio di cura e assistenza a domicilio, case per anziani, strutture a minore intensità di cure, soggiorni temporanei,...) a favore di una minore frammentazione dei percorsi di cura che voglio immaginare sempre più integrati».

La presa di posizione del Dipartimento della sanità e della socialità

«Le modifiche sul finanziamento ospedaliero, diventate effettive con la loro entrata in vigore dal 1° gennaio 2012, hanno posto sullo stesso piano istituti ospedalieri pubblici e privati. Il cambiamento legislativo federale ha comportato anche l’introduzione di una serie di strumenti contabili per permettere un calcolo delle tariffe differenziato nei vari ambiti di attività che è avvenuto per gradi e che per certi versi non è ancora completo. Si cita ad esempio la permeabilità del finanziamento tra assicurazione di base e complementare che non permette di stabilire con certezza i confini tra i costi a carico dell’uno o dell’altro comparto, ragionamento che può essere esteso anche alla suddivisione tra attività stazionaria e attività ambulatoriale. Inoltre, le forme giuridiche dei vari ospedali pubblici non favoriscono certamente un confronto a livello svizzero sereno e oggettivo, ci sono ospedali pubblici che sono delle società anonime, altri degli entri autonomi di diritto pubblico (EOC), altre ancora sono proprietà di Cantoni e Comuni e, a dipendenza della forma giuridica, di conseguenza anche la valutazione dei rispettivi costi (si pensi in particolare ai costi d’investimento) può essere incompleta. Non di secondaria importanza riveste anche la cultura dell’amministrazione della cosa pubblica che, comprensibilmente, privilegia la risposta alla domanda di prestazioni e mette in secondo piano l’esame della fattibilità in base alle risorse disponibili.

Detto questo, i risultati dello studio PWC che si susseguono da alcuni anni, vanno relativizzati e soprattutto gli allarmismi devono essere evitati».

"Dovremo continuare a investire"

Per capirne di più abbiamo chiesto un parere anche a Giorgio Pellanda, direttore generale dell’Ente ospedaliero cantonale (EOC). «Per chi lavora in questo settore, lo studio non rappresenta nulla di nuovo», dice. «Da qualche anno stiamo vivendo una stretta sulle tariffe degli ospedali. Nel 2012 è entrata in vigore la nuova regolamentazione per il finanziamento delle prestazioni ospedaliere e poi si sono succedute alcune revisioni del tariffario per le attività ambulatoriali, il famigerato Tarmed. Dico famigerato perché i partner tariffali, ospedale da una parte e assicuratori malattia dall’altra, non riescono più a trovare un accordo: così, spesso, interviene il Consiglio federale. Tagliando. Più in generale i prezzi (le tariffe) sono stabili. Sono i volumi ad aumentare anno dopo anno. Tanto è vero che gli ospedali negli ultimi anni hanno registrato un marcato aumento delle attività. Meno in ambito stazionario – la degenza – e più in ambito ambulatoriale. Quest’ultima voce cresce in media fra il 5-10% annualmente. È una tendenza che va verso il trattamento dei pazienti sempre più ambulatorialmente».

Un trend da mantenere

L’aumento delle attività di un nosocomio presuppone evidentemente un aumento delle risorse umane e tecniche, così come degli investimenti. «In campo sanitario sono fondamentali i rinnovamenti e gli adattamenti alle nuove tecnologie», prosegue Pellanda. «Ciò comporta investimenti importanti per rimanere al passo della medicina e dei materiali sempre più sofisticati. Tutto questo crea un aumento dei costi che non sono più coperti dalle tariffe. Le quali, come detto, rimangono stabili o addirittura diminuiscono. Questo è uno dei motivi principali per cui le finanze degli ospedali diventano vieppiù meno solide». Uno dei punti più critici contenuti nello studio riguarda la messa in rete dei nosocomi pubblici. Ancora oggi, numerose realtà oltre San Gottardo lavorano come singole entità. Non è il caso del Ticino, che grazie alla creazione dell’EOC nel 1982, è stato pioniere della collaborazione fra ospedali pubblici. «La storia ci insegna che l’EOC ha messo in rete i suoi ospedali, quattro regionali e due di valle», ricorda il direttore generale. «Per i primi vent’anni si è occupato della ricostruzione dei nosocomi. A fine anni Settanta il Civico era una struttura nuova. Oggi, 40 anni dopo, si parla di una sua ristrutturazione e di un suo ampliamento con la nuova piastra base. Gli ospedali hanno bisogno di crescere a livello strutturale per far fronte al progresso tecnico e tecnologico, rimanendo così performanti per il paziente. La nostra è una rete molto capillare: si va sempre di più nella direzione di distribuire le attività di base in modo periferico ma di concentrare le attività multidisciplinari più complesse e costose in un solo posto». Il Civico, ad esempio, si concentra sulle cure specialistiche per l’adulto mentre Bellinzona è il centro cantonale della pediatria. «Questo è un trend che bisognerà perseguire anche in futuro: rafforzare le concentrazioni. Perché non troveremo più medici da replicare su due o più ospedali, in particolare in ambito altamente specialistico».

Gli investimenti

Sfide complesse, da giocare in un campo – la medicina – in costante evoluzione. «Per quanto riguarda la solidità finanziaria, l’EOC è ancora in buona salute» spiega Pellanda. «Ma anche il nostro risultato operativo (EBITDA) è sceso negli ultimi anni attorno al 2,5-3%. Stiamo lavorando per portarlo al 5%, dato che è comunque inferiore alle aspettative della stessa PwC, la quale sostiene che un ospedale proprietario delle sue strutture per poter garantire a lungo termine un buon finanziamento delle attività debba avere un EBITDA del 10% dei ricavi. Il doppio. Se il ricavo d’esercizio è, poniamo, di 700 milioni di franchi (il dato del 2018 era di 718,5 milioni, ndr), il 10% sono 70 milioni. Noi arriviamo a 21 milioni circa. Tuttavia con questo risultato operativo dobbiamo coprire gli ammortamenti (32 milioni nel 2018). Ecco che allora le risorse non sono sufficienti per coprire gli ammortamenti. Da qui il bisogno di migliorare la redditività. Ma siamo strutture pubbliche, e parlare di redditività è scomodo. Per garantire la qualità delle cure, dovremo continuamente investire. Penso al Civico, al nuovo San Giovanni, a Mendrisio. Sono tutti investimenti consistenti, ma se non si ha una adeguata capacità di autofinanziamento, dovrà intervenire qualcun altro. Chi? L’EOC beneficia ancora della garanzia finanziaria dello Stato, il nostro proprietario, che potrebbe procedere con un aumento del capitale proprio dell’EOC per coprire una parte degli investimenti».

"Ci fosse maggiore pressione economica non sarebbe un male"

Carlo De Pietro, professore presso il Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI, esperto in materia, relativizza: «Non mi risulta, per la Svizzera, una situazione tanto drammatica, un così alto stress del settore, anche perché non parliamo di un settore in cui vigono normali leggi di mercato. Le tariffe sono, in larga misura, particolarmente amministrate, gli istituti sono d’altronde in grande parte di proprietà pubblica. Non ha senso allora parlare di fallimento per come lo intendiamo in senso comune. Si parla anche di migliorare la competitività, ma nel settore ospedaliero non vige un sistema di concorrenza perfetta, non si parla di un mercato davvero competitivo.

Dallo stazionario all’ambulatoriale

Nello studio viene citato, come misura, il passaggio di molti servizi dallo stazionario all’ambulatoriale. «La Svizzera si è già mossa in questa direzione, con un forte esercizio di riduzione dei letti acuti. C’era margine per operare in questo senso ma ora abbiamo esaurito buona parte di questo stesso margine. Ed è chiaro che anche in futuro continueremo ad avere bisogno di molti letti, magari non tutti per cure acute, in gran parte per i bisogni legati all’invecchiamento della popolazione. Molte cure non possono essere spostate. Maggiore chiarezza sul mercato può essere poi portata dal cosiddetto finanziamento uniforme, che suddivida la quota di casse malati ed ente pubblico in modo equivalente per cure stazionarie e cure ambulatoriali».

La concentrazione

La strada della concentrazione dei servizi è già stata battuta, in ambito cantonale, ma anche nazionale. Si può fare di più? «Pascal Couchepin, ai tempi in cui era consigliere federale, citava la quota ideale di 200 ospedali. Helsana rispose che ne bastavano 50. Ecco, siamo ancora lontani da quota 200. C’è spazio, ma c’è altrettanta resistenza a livello politico. Anche in Ticino. Il sistema è frammentato, e lo vogliamo così, a quanto pare». Due le leve possibili, secondo De Pietro: «Se guardiamo all’esperienza di altri Paesi, le operazioni di concentrazione sono state frutto o di difficoltà di finanza pubblica, o di forte volontà politica e forte controllo pubblico del settore. La difficoltà economica del Paese al momento non c’è: porterebbe una maggiore pressione sul controllo della stesa pubblica. Oppure la centralizzazione, sulla stregua del modello danese: tabula rasa, disegnando su carta bianca la rete ideale che tenga conto di efficacia clinica, sicurezza per il paziente e efficienza economica. Un sistema dettato dall’alto. Un esercizio tecnocratico molto spinto, va riconosciuto». In Ticino, centralizzare ulteriormente è possibile? «L’EOC ha fatto molto bene quanto poteva fare, date le condizioni e i condizionamenti politici: ha creato un’azienda, ha lavorato con pazienza nel corso degli anni, cercando un equilibrio ragionevole tra il ruolo mantenuto dai singoli ospedali regionali e l’integrazione trasversale delle competenze e dei servizi. Non tutto è risolto, il cantiere resta aperto. Misure più drastiche comunque non ne vedo all’orizzonte. Se deve preoccuparsi? Al netto di alcuni eventi straordinari, ha chiuso gli ultimi esercizi in leggera perdita, dunque qualche preoccupazione per la sostenibilità può starci».

La previsione

Come vede De Pietro il panorama tra qualche anno? «Vedo una difficoltà crescente nel trovare le risorse e nel redistribuirle. Dal momento in cui la spesa sanitaria cresce più del PIL e dei salari, aumenta il bisogno di prendere più soldi ai contribuenti ricchi per darli a quelli più poveri. Un meccanismo molto complicato, politicamente. La fattibilità politica di questa maggiore redistribuzione è in effetti la vera sfida per il futuro prossimo». Per impedire agli ospedali di fallire. «Anche se il sistema sanitario svizzero è tra i più favorevoli per i fornitori. Non c’è motivo di preoccuparsi oltre misura. E se anche ci fosse un po’ di pressione economica in più, magari non sarebbe un male. Anzi».