Ristoranti: «Reinventarsi per non perdere la clientela»

Parola d’ordine: stare al passo con i tempi. Non ha dubbi, Massimo Suter, presidente di GastroTicino: «Non possiamo più semplicemente aprire le porte del ristorante per far entrare il cliente. Non basta più. La clientela oggi è attenta alla sostenibilità, e sempre più consumatori sono vegani e vegetariani». Ecco allora che il settore della ristorazione deve essere in grado di «dare quel qualcosa in più che spinga la gente a uscire di casa e andare a cena fuori». Anche perché, ha ricordato Suter a margine della 119. assemblea cantonale dei delegati di GastroTicino, oggi la clientela deve fare i conti con l’inflazione e con un minore potere d’acquisto che ne condiziona le abitudini. «Le ripercussioni sul nostro settore sono inevitabili: andare al ristorante non è un’esigenza primaria. E se occorre fare qualche rinuncia, la cena fuori è tra le prime cose a saltare». Di qui, dice Suter, l’importanza di lavorare sull’offerta. «Solo così potremo attirare la clientela e convincerla a venire a cena da noi». E questo, nonostante anche lo scontrino dei locali negli ultimi mesi sia lievitato. «I rincari energetici stanno pesando sul bilancio dei ristoratori e, di riflesso, questo impatta sul consumatore finale». Nessuno lo ammette apertamente - prosegue Suter - ma tutti hanno ritoccato le cifre. «È inevitabile: dobbiamo fare utili, che non servono per pagarci i macchinoni, ma per creare riserve in vista dei momenti più difficili».
Un problema che tocca tutti
Oltre all’esplosione dei costi dell’intera filiera, tra le sfide del settore c’è anche la carenza di manodopera. «Un problema - evidenzia Suter - che affligge tutti i settori, non solo il nostro. La pandemia ha cambiato le priorità e oggi si dà molto più peso al tempo libero». Per invertire la rotta, dall’assemblea è emersa qualche proposta: «Dovremo cercare di trovare le contromisure più efficaci per rendere nuovamente attrattivo il settore, magari con una settimana lavorativa da 4 giorni, oppure evitando di ‘‘spezzettare’’ il tempo di lavoro». Tuttavia, ricorda il presidente di GastroTicino, «non tutte le realtà potranno offrire queste condizioni, e non dovranno certo essere demonizzate». Ma accanto alle condizioni di lavoro, ci sono anche quelle salariali. «Lo stipendio - ammette Suter - è sicuramente un tema, ma non credo che il nostro possa essere definito un cattivo salario. Dopo essere entrati nel settore, però, sta anche al collaboratore dimostrare la volontà di guadagnare posizioni, formandosi e studiando per fare carriera».
La mancanza di personale - gli ha fatto eco il presidente di GastroSuisse, Casimir Platzer - «è anche e soprattutto un problema demografico. Nei prossimi dieci anni, un milione di babyboomers andrà in pensione, mentre solo 500 mila giovani entreranno nel mondo del lavoro. Vuol dire che ogni anno mancheranno 50 mila persone. Non è solo la nostra categoria a risentirne». Secondo Platzer, infatti, «malgrado molti abbiano lasciato il settore della ristorazione durante la pandemia, i dati sugli addetti ora indicano che siamo tornati quasi ai livelli pre-COVID. Tanti collaboratori, dunque, sono tornati».
La flessione dopo il boom
E a riprendere quota è stato anche il fatturato. «Non stiamo lavorando poco, ma non siamo neppure al livello dei due anni post pandemici, dove tutto il comparto turistico e della ristorazione ha raggiunto ottimi risultati», spiega Suter. «Sapevamo - prosegue - che la flessione sarebbe arrivata, ma non ci aspettavamo sarebbe stata così marcata. Il 2023 sarà l’anno da cui ripartire e il metro di paragone degli anni successivi». «Il nostro settore - sostiene dal canto suo Platzer - nonostante sia stato uno dei più toccati dalla pandemia, si è rimesso in sesto, tornando quasi al livello del 2019». Altre sfide, «enormi», sono però dietro l’angolo. «In primis quella legata al costo dell’energia e alla Legge sul clima, a cui siamo decisamente contrari». Secondo Platzer, «questo non significa disinteressarsi della tutela dell’ambiente, o peggio ancora essere contrari alla sua preservazione. Semplicemente, a nostro avviso si tratta di una legge non applicabile perché avrebbe costi spropositati e ci renderebbe ancora più vulnerabili dal profilo dell’approvvigionamento energetico».