Domande e risposte

«Ritornare pionieri del sole»

Ticino Solare compie oggi 40 anni - L’attuale situazione geopolitica conferma l’importanza di fonti di energia indigene - Ballif (EPFL): «Vanno sviluppate tutte le forme: sforzi sul fotovoltaico insufficienti» - Rudel (SUPSI): «L’accesso dovrà diventare più democratico»
Ticino Solare compie proprio oggi 40 anni. L’impianto di Trevano è ancora funzionante: continuano a operare 48 dei 288 pannelli originali, i più performanti.
Paolo Galli
13.05.2022 06:00

La guerra in corso in Ucraina ha reso chiari diversi aspetti della nostra economia, a cominciare da quello legato all’approvvigionamento energetico. La transizione, di colpo, non rappresenta più quindi solo la risposta alla crisi climatica, ma anche alla problematica dipendenza da dinamiche di mercato globali rivelatesi anacronistiche. Un ritorno a fonti indigene implica investimenti soprattutto sul fotovoltaico, un campo che in passato ci ha visti all’avanguardia. E oggi?

1)Perché stiamo parlando di fotovoltaico?

Innanzitutto per festeggiare, proprio oggi, i 40 anni di Ticino Solare - l’impianto di Trevano fu il primo in Europa a collegarsi alla rete elettrica -, ma soprattutto per fare il punto su una fonte essenziale all’interno del progetto di transizione energetica che coinvolge ogni Paese, quindi anche la Svizzera. Un progetto che ha trovato un’accelerazione negli ultimi mesi, in relazione alla guerra in Ucraina. Abbiamo scoperto, una volta per tutte, di essere troppo dipendenti da fonti di energia straniere. È un discorso che vale per tutta l’Europa e che si inserisce all’interno di un panorama già in fase di cambiamento. Basti pensare all’annuncio, lo scorso 10 febbraio, di Emmanuel Macron, che prometteva robusti investimenti sul nucleare - 6 nuovi reattori, più altri 8 allo studio -, sì, ma anche sulle rinnovabili, a cominciare proprio dal solare, che dovrebbe godere in Francia (ma non solo) di un piano di rafforzamento. Tornando in Svizzera, il Consiglio federale prevede, tra le altre cose, incentivi all’utilizzo del fotovoltaico: da deduzioni fiscali a semplificazioni delle pratiche per la realizzazione di impianti sulle facciate degli edifici.

2)Quanto sono davvero ambiziose queste prospettive, specie in questo contesto?

Lo abbiamo chiesto a Christophe Ballif, direttore del Laboratorio fotovoltaico dell’EPFL e del centro fotovoltaico del CSEM di Neuchâtel, insomma la massima autorità svizzera in materia. «Gli obiettivi di Macron sul solare sono scarsamente ambiziosi. La Svizzera, dal canto suo, agisce per compromessi. Chiaramente, gli sforzi sono ancora insufficienti, e non sono convinto che le misure proposte permetteranno davvero di implementare, quanto invece bisognerebbe sperare, l’installazione di pannelli solari. Bisognerebbe anche semplificare gli aspetti amministrativi dell’installazione di centrali solari. La guerra in Ucraina potrebbe valere una maggiore spinta agli investimenti sulle rinnovabili, ma al momento le risposte dei vari Governi appaiono modeste». Anche Roman Rudel, direttore dell’Istituto sostenibilità applicata all’ambiente costruito della SUPSI, chiede di più, chiede «un’accelerazione». Anche perché la Svizzera - sottolinea - lo scorso secolo aveva vestito panni da pioniere in queste tecnologie. «Ora ha perso terreno e sta provando a rincorrere». Rudel si chiede: «Perché non torniamo a investire in queste tecnologie? Perché Berna non crea maggiori incentivi per liberare questi investimenti, per giunta facilmente ammortizzabili?».

3)«Nel mondo di domani, o si punta con forza sul solare, o installiamo 11.000 centrali nucleari». Sono parole del professor Ballif, a Le Temps, lo scorso anno. Solare e nucleare si escludono?

«Una provocazione, la mia», sottolinea Ballif. «Undicimila centrali: l’intento era evidenziare la quantità enorme di energia che consumiamo, e mostrare quanto sia irrealistico pensare di completare la transizione solo con il nucleare - tra tempistiche, costi, scorie, rischi, proliferazione -. L’obiettivo principale è ridurre le emissioni di CO₂ e il nucleare può contribuire a questo risultato solo in parte». I vantaggi dell’energia solare, per Ballif, sono evidenti: è facile da installare, può essere a buon mercato, ha un impatto sull’ambiente limitato, l’accettazione è buona e gli investimenti possono essere fatti rapidamente e gradualmente. «Poi da sola non può bastare. Ogni Paese avrà il proprio mix di fonti energetiche. Molti scenari si basano in gran parte sul solare, sull’eolico, con il complemento dell’idroelettrico, della biomassa e a volte del nucleare». È interessante come Ballif non escluda il nucleare dal discorso. Ci ricorda insomma che la corsa alla decarbonizzazione non è una questione ideologica. «Il nucleare deve giocare un ruolo in questa transizione. Per concretizzarla in sicurezza, sarebbe meglio estendere la durata di vita delle centrali nucleari piuttosto che pensare di prolungare l’utilizzo di quelle a carbone. Nel caso della Svizzera, si può pensare di garantire un sostegno temporaneo alla produzione, in particolare in inverno».

4)Il paradigma dell’approvvigionamento è destinato a cambiare? E quale sarà il ruolo del solare in questo eventuale cambiamento?

Le teorie di Rudel sono per certi versi avveniristiche: «L’accesso all’energia diventerà più democratico». E poi specifica: «Con il fotovoltaico produciamo in modo decentralizzato, rispetto al paradigma di oggi. Oggi abbiamo grandi centrali che generano energia, la quale viene poi diffusa attraverso la rete, mentre con il fotovoltaico produrremo a livello di rete di distribuzione. Si passa da una produzione dettata dal consumo a un consumo dettato dalla produzione», dalla produzione di energia rinnovabile. I principali attori del cambiamento saranno quindi i consumatori-produttori, ovvero i cosiddetti prosumer. «Il consumatore per la prima volta può anche produrre, per sé e per il proprio vicinato. Questa nuova figura, il prosumer, avrà un nuovo rapporto con l’energia e tenderà a consumarla solo quando la stessa sarà disponibile. Parliamo di un mercato locale, che si sta sviluppando a livello di quartieri».

5)Già, ma nel presente abbiamo a che fare con una novità, per questa epoca: la paura di non avere abbastanza energia. Tale paura influenzerà le strategie? Ne approfitteranno anche gli attori delle rinnovabili?

Paura? Potremmo parlare persino di panico. È anche una questione legata all’esplosione dei costi, d’altronde, e quindi all’attuale situazione geopolitica. Christophe Ballif taglia corto: «Cosa ci dice questa paura? Che vale la pena sviluppare rapidamente tutte le risorse indigene, quindi solare, eolico, biomassa e geotermico. In questo senso, la paura dovrebbe anche suscitare un’accelerazione della transizione. Effettivamente assistiamo a una presa di coscienza, a livello politico, tra gli attori dell’energia e anche tra la popolazione. Il caso del solare è interessante in questo senso: anche se produce meno in inverno, più pannelli e centrali vengono installate, più riduciamo il rischio di mancanza in inverno». Per Rudel, la soluzione al panico è ragionare local, è il già citato approccio democratico all’energia. «Parliamo di un mix energetico. Rimarranno le grandi dighe, non c’è dubbio, e l’energia verrà prodotta, stoccata e consumata localmente, molto più di oggi». Come detto, «cambierà il paradigma dell’energia, anche grazie alle auto elettriche, allo sviluppo delle batterie: sempre più locale, sempre più mercati vicini, tra vicini. E quando non c’è sole? Allora entra in gioco la rete, e la gestione della rete certo diventa più complessa. Per questo motivo si introducono le smart grid (le reti intelligenti, ndr), gli algoritmi, la digitalizzazione dell’energia elettrica. Potrebbe essere un preludio alla share economy, a una nuova cultura del consumo».

6)Centrale resta lo stoccaggio dell’energia. Il fotovoltaico non ha grossi margini. E quindi?

Nessuno degli esperti del settore parla del fotovoltaico come dell’unica fonte da cui dipendere. Centrale resta il ruolo dell’energia idroelettrica. «Anche perché le batterie assicurano uno stoccaggio solo sul breve termine», sottolinea Roman Rudel. In questo senso è importante ricordare «la continua diminuzione del costo delle batterie», ma anche l’avvento di «nuove tipologie di batterie, che permetterà di avere una densità energetica più elevata, quindi con una ulteriore diminuzione dei costi». Il collega Ballif conferma: «Nel caso della Svizzera, è saggio far lavorare le fonti rinnovabili di concerto con l’energia idroelettrica, che offre una grande flessibilità. E poi entro il 2030 potremo contare sull’idrogeno, anche se ancora va capito se converrà produrlo e stoccarlo per l’inverno, con costi importanti, o acquisirlo e riceverlo attraverso gasdotti». Non vanno quindi dimenticati alcuni aspetti, ovvero «che la Svizzera resterà comunque connessa alla rete europea, e poi che potenzialmente eolico e solare si complementano molto bene sull’insieme dell’anno (estate: + sole; inverno: + eolico; notte: no sole, ma + vento), e infine che i bisogni di stoccaggio di lunga durata diminuiscono fortemente». Rudel ricorda come l’energia sia «al centro del nostro modello di benessere». «Quando si parla di paura, è anche paura di lasciare ciò che abbiamo per qualcosa di nuovo, specie in Svizzera. Ma dobbiamo essere consapevoli che non possiamo più continuare a ragionare secondo logiche del passato. O torniamo a essere leader e pionieri tecnologici, andando velocemente verso il nuovo, che offre enormi opportunità, oppure paghiamo di più, rincorrendo».

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