Il caso

Rubava identità per soldi, ora ha paura della Stampa

Un uomo è stato riconosciuto colpevole di aver danneggiato alcune compagnie telefoniche – Il fatto che sia transgender solleva alcune preoccupazioni, in particolare per la detenzione in un carcere forse non pronto ad accoglierlo
© CdT/Chiara Zocchetti

«Non sembra aver tratto insegnamento dalla sua precedente condanna, ed è evidente che ha bisogno d’aiuto». Parole che tradiscono preoccupazione, quelle del giudice Amos Pagnamenta. Parole riferite a un uomo condannato ieri per truffa e falsità in documenti per aver «rubato» le identità di altre persone e averle utilizzate per ottenere servizi da varie società, in particolare di telefonia, senza pagare le relative fatture.

Giuridicamente non gli è andata nemmeno troppo male, perché la Corte lo ha assolto per tutti gli episodi relativi a delle società che offrono carte di credito. In base ad alcune sentenze passate, la Corte ha stabilito che se queste aziende avessero verificato meglio i documenti ricevuti, quelle carte non sarebbero mai state rilasciate. In alcuni casi infatti è stato così, mentre in altri l’imputato è riuscito a spendere soldi non suoi a danno delle citate società, spesso scialacquandoli. L’esito del dibattimento, conclusosi con una condanna complessiva a 28 mesi di carcere, di cui cinque già scontati, sembra tuttavia essere secondario in questa vicenda. A preoccupare di più tutte le parti presenti in aula sono altre due cose.

«Non riesce a fermarsi»

La prima è la tendenza dell’uomo a ricadere negli stessi sbagli. Appena uscito di carcere dopo la prima condanna per reati simili, si era subito rimesso a delinquere. «Non riesce a fermarsi, ha un problema psicologico che deve curare – ha constatato il procuratore pubblico Andrea Gianini – : dobbiamo cercare di fermare questa emorragia». «La sua presa a carico dopo la prima condanna – ha ribattuto l’avvocata patrocinatrice Anna Grümann – non è avvenuta come raccomandato dal perito. Gli incontri con la psichiatra, ad esempio, si tenevano solo una volta al mese. E credo che questo sia uno dei fattori che spiegano la ricaduta del mio assistito. Oggi però è diverso: ha capito di avere un grosso problema e di aver bisogno di aiuto. E poi ha compreso l’importanza della famiglia, che gli è sempre stata vicino nonostante tutto». Sottolineando che l’uomo ha «collaborato pienamente con gli inquirenti, ammettendo anche fatti che non gli erano nemmeno stati contestati», Grümann ha chiesto il proscioglimento per la presunta truffa alle società di carte di credito. E così è stato.

«La dignità va assicurata»

Il secondo motivo di preoccupazione è il tipo di struttura carceraria in cui mandarlo. L’imputato infatti, nato donna e giunto quasi alla fine del suo percorso per diventare uomo, ha paura di essere collocato alla Stampa insieme ad altri detenuti uomini. Finora è stato alla Farera, dove aveva una cella sua e contatti limitati con gli altri carcerati. Ma da ieri la situazione è cambiata, diventando oggettivamente complicata per lui.

L’imputato tempo fa aveva chiesto di poter essere ammesso in un carcere femminile nel Canton Berna, ma la sua domanda è stata respinta perché sui documenti figura già come uomo. «Si troverà una soluzione, non si preoccupi» ha provato a rincuorarlo Gianini. In caso contrario dovrà andare alla Stampa, dove i contatti con gli altri detenuti sono molto più frequenti rispetto ad altri tipi di prigioni. Ma quali sono i diritti delle persone transgender in queste situazioni? Devono scontare la loro condanna nella sezione femminile o maschile? «I penitenziari – spiega il Cantone in un documento intitolato «I diritti delle persone LGBT*» – richiedono la separazione dei detenuti a dipendenza del loro sesso legale. In linea di principio, la determinazione del sesso si basa sull’iscrizione presso lo stato civile. Il carcere ha però l’obbligo di assicurare l’incolumità e la dignità dei carcerati durante la detenzione. Si dovrà dunque tenere in conto dei pericoli legati alla transidentità, nel momento in cui si viene alloggiati in una cella».

Una donna transgender «deve quindi poter essere inserita nella sezione femminile, se questa sembra essere la misura più appropriata e se lei lo desidera». Nell’aprile del 2018 l’allora consigliera nazionale Lisa Mazzone (Verdi, ora «senatrice») aveva depositato un postulato con cui chiedeva al Consiglio federale di elaborare un rapporto sulla situazione delle persone LGBTIQ* detenute in Svizzera (carcerazione amministrativa inclusa). In particolare, avrebbero dovuto essere identificate le violazioni dei diritti umani correlate all’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’espressione di genere e i caratteri sessuali, allo scopo di formulate raccomandazioni all’attenzione delle autorità. L’atto parlamentare, ripreso da Sibel Arslan, era stato bocciato dalla Camera bassa, ma non di tantissimo: 80 a 98. Ora l’imputato è alla Farera, in attesa che le autorità competenti prendano una decisione. Il perito psichiatrico ha indicato che, essendo recidivo, dovrà seguire un percorso in una struttura chiusa. E in Ticino l’unica è la Stampa. Si proverà a fare un altro tentativo con il carcere femminile di Berna.